Era la sera del 18 settembre 2008. I camorristi si fermarono al km 43 della Domiziana. Arrivati alla sartoria “Ob Ob Exotic Fashion”, indossarono pettorine della polizia, misero un lampeggiante della sul tetto dell’auto e presero i kalashnikov. Spararono alla cieca.
Kwame Julius Francis, Affun Yeboa Eric, El Hadji Ababa, Jeemes Alex, Christopher Adams e Samule Kwabo rimasero a terra. Come loro anche Joseph Ayimbora, in un lago di sangue. Finse di essere morto e poi accusò i camorristi. La presidenza della Repubblica gli assegnò la medaglia d’oro al valor civile, ma non riuscì a ritirarla perché un anno dopo sarebbe morto di aneurisma cerebrale. Avrebbe dovuto ritirarla la moglie, ma vive in una località protetta e per lei non è semplice neppure ritirare una onorificenza.
Da 11 anni le associazioni della zona ricordano quella strage. Sottolineano che i ghanesi sono stati uccisi due volte, la prima ad opera dei criminali, la seconda dai dubbi sulla loro innocenza. “Erano venuti qui a lavorare, cercavano solo di assicurare un futuro alle loro famiglie”, ricorda Mimma D’Amico del centro sociale ex Canapificio. “Dove ognuno nasce giudicato”, canta un rapper napoletano. Se sei africano di Castel Volturno, la tua innocenza la devi provare anche da morto.
Dopo la strage tutti gli africani protestarono contro la camorra. Pochi se ne ricordano. In una puntata di Gomorra ispirata a quei fatti gli stranieri sembrano tutti spacciatori e sono sparite le tracce della ribellione.
Il libro
La Spoon River dei braccianti
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne. Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti. Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.
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Undici anni fa, la strage di Castel Volturno
Era la sera del 18 settembre 2008. I camorristi si fermarono al km 43 della Domiziana. Arrivati alla sartoria “Ob Ob Exotic Fashion”, indossarono pettorine della polizia, misero un lampeggiante della sul tetto dell’auto e presero i kalashnikov. Spararono alla cieca.
Kwame Julius Francis, Affun Yeboa Eric, El Hadji Ababa, Jeemes Alex, Christopher Adams e Samule Kwabo rimasero a terra. Come loro anche Joseph Ayimbora, in un lago di sangue. Finse di essere morto e poi accusò i camorristi. La presidenza della Repubblica gli assegnò la medaglia d’oro al valor civile, ma non riuscì a ritirarla perché un anno dopo sarebbe morto di aneurisma cerebrale. Avrebbe dovuto ritirarla la moglie, ma vive in una località protetta e per lei non è semplice neppure ritirare una onorificenza.
Da 11 anni le associazioni della zona ricordano quella strage. Sottolineano che i ghanesi sono stati uccisi due volte, la prima ad opera dei criminali, la seconda dai dubbi sulla loro innocenza. “Erano venuti qui a lavorare, cercavano solo di assicurare un futuro alle loro famiglie”, ricorda Mimma D’Amico del centro sociale ex Canapificio. “Dove ognuno nasce giudicato”, canta un rapper napoletano. Se sei africano di Castel Volturno, la tua innocenza la devi provare anche da morto.
Dopo la strage tutti gli africani protestarono contro la camorra. Pochi se ne ricordano. In una puntata di Gomorra ispirata a quei fatti gli stranieri sembrano tutti spacciatori e sono sparite le tracce della ribellione.
Il libro
La Spoon River dei braccianti
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.