Se vogliamo capirne di più sul terrorismo islamico è molto utile confrontare questi tre articoli. Il primo è un esempio di apparente progressismo e buoni sentimenti. L’editorialista de “La Stampa” Gramellini invita i musulmani a schierarsi dalla nostra parte.
Il secondo spiega alcune dinamiche che hanno portato al golpe turco. Emergono lotte di potere tra Asia e Stati Uniti. Persino una setta islamica di impronta “calvinista”, ben integrata in America. Voltafaccia e scontri di potere in cui la religione è uno strumento, non un fine. L’obiettivo è banalmente il potere.
Infine, questo articolo di Le Monde. È di fine 2015 ma assolutamente attuale, in particolare dopo l’attentato di Nizza. Spiega che i terroristi francesi hanno tutti lo stesso background: non sono migranti ma nati in Europa; non erano religiosi (anzi, con biografie contrarie ai principi islamici); all’improvviso si sono radicalizzati alla ricerca di un esito nichilista.
In altre parole, il musulmano potrà diventare nostro fratello e aderire ai valori dell’Occidente (e magari, come chiede Gramellini, rinunciare alla sua lingua). Questo non sposterà di una virgola il problema. La questione terrorismo non si gioca sullo scontro di civiltà. Ognuno (in Occidente e in Oriente) dovrebbe schierarsi contro questa guerra di potere permanente che usa ogni mezzo: dai dollari alla promessa del paradiso.