Si è scritto tanto dell’Isis, senza discostarsi troppo da un approccio duale. Oriente contro Occidente, Islam contro Cristianesimo, barbarie contro modernità. In sintesi, buoni contro cattivi: i tagliagole che spargono il terrore fin dentro casa nostra e minacciano “il nostro stile di vita”.
La realtà è molto più complessa. Sono pochi i libri che hanno provato ad aggiungere qualche tassello, specie in Italia. Tra questi c’è “Stanno tornando” di Giulia Cerino.
Il punto di vista è sicuramente originale. Quello delle madri dei “foreign fighters”. Giovani partiti da ogni angolo d’Europa – Francia, Svezia, Belgio, Germania – per combattere in Siria tra le file dello Stato Islamico. A fine guerra, le famiglie dei combattenti si trovano in un paradosso giuridico. Se i parenti sono morti, non possono richiedere il rimpatrio delle salme a uno stato sconfitto e inesistente. E comunque mai riconosciuto da nessun altro Paese.
Se i parenti sono invece vivi, come cittadini di paesi europei hanno diritto al ritorno. Come terroristi li aspetta il carcere. Ma è la scelta giusta? Molti di loro si sono “radicalizzati” proprio nelle prigioni.
Qui il libro raccolta le esperienze più interessanti, come quella danese, di “deradicalizzazione”. Interventi difficili, controversi e costosi. Ma che cambiano l’approccio da quello puramente repressivo e di condanna a uno più inclusivo.
Chi sono infatti i “foreign fighters”? Dai colloqui con le madri emerge un ritratto interessante. Spesso emarginati delle periferie europee, anche se non poverissimi, sono cresciuti molte volte tra armi, droga, divertimento facile. La propaganda dell’Isis li ha colpiti. Se in Europa non c’erano prospettive, l’idea del paradiso in terra diffusa dallo Stato Islamico ha avuto un’attrattiva enorme.
Paradossalmente, l’Isis ha usato strumenti e linguaggi occidentali come i video su YouTube. Quelli rivolti al nemico erano le note immagini crudeli di esecuzione dei prigionieri. Quelli destinati ai giovani da reclutare raccontavano un futuro di prosperità e giustizia nella terra promessa tra Siria e Iraq.
Giovani di seconda o terza generazione, in genere non praticanti e cresciuti in famiglie laiche, hanno così riscoperto un’identità di cui avevano sentito parlare pochissimo. Si sono arruolati, sono partiti senza essere ostacolati e, dopo aver raggiunto il confine tra Turchia e Siria, sono diventati soldati.
Le madri, riunite in varie associazioni, hanno combattuto una dura battaglia contro quelle partenze. Hanno chiesto ai governi europei di fermarli. Quando il fenomeno è iniziato, nel 2011, solo quelle donne avevano capito. I funzionari europei rispondevano svogliati che i loro figli erano maggiorenni e cittadini francesi, belgi, svedesi. Non potevano fermarli.
Così sono diventati migliaia. Soldati per una guerra infinita, basi d’appoggio per gli attentati in Europa. Quello che era un fenomeno e una strategia ben precisa, facile da delimitare, è stato raccontato come uno scontro di civiltà e religioni. Religioni, tra l’altro, in cui la maggior parte dei contendenti all’inizio non credeva.