“Quando parlo con qualcuno al telefono e poi lo incontro di persona, mi viene sempre da ridere. Per la sua faccia stupita”. Francisca parla infatti con l’accento napoletano, ma ha la pelle nera. “Allora bisogna specificare: sono italiana. E lo stupore aumenta”. Più volte al giorno deve ribadire la sua nazionalità. Solo lei sa quanto è stato faticoso: sette anni di lotte. Diciamo meglio: è italiana da sempre, si sente italiana. Ma per la legge non è così semplice.
Troppo presto
Da quando è in discussione il cosiddetto Ius Soli, in Italia c’è un dibattito surreale. C’è chi dice che tutta l’Africa verrebbe a partorire qui. In realtà, si tratta banalmente di rendere meno difficile la vita a chi è nato nei nostri confini ed è – per cultura, per abitudini, per autorappresentazione – italiano.
In quale parte dell’Africa si trova? Ma è un paese della Liguria
In questi mesi sono circolate tante storie su seconde generazioni e burocrazia italiana. La legge in vigore è una corsa ad ostacoli kafkiana. Per esempio, il problema di Francisca è che i genitori sono arrivati troppo presto. Nei primi anni ’80 non c’era ancora una legge che regolava l’immigrazione. Così arrivano dallo Sri Lanka e si stabiliscono a Zoagli, provincia di Genova. Non pensano a prendere la residenza, anche perché nessuno glielo chiede.
Il libretto dei vaccini
Molti anni dopo questo diventerà un ostacolo insormontabile. A 18 anni la figlia chiede la cittadinanza. Deve dimostrare di non aver mai lasciato l’Italia. È così, ma nei primi cinque anni di vita c’è il buio (legale). Forse un modo c’è: il libretto dei vaccini. Nonostante sia emesso dalla Asl ligure, la burocrazia non lo considera un elemento valido.
Parentesi comica: quando parla di Zoagli, un funzionario dell’anagrafe di Napoli chiede: in quale paese dell’Africa si trova?
Ma ormai non c’è molto tempo. La legge assegna un anno per chiedere la cittadinanza. Dopo è tardi. E dodici mesi passano in fretta, anche perché – per un errore di trascrizione dei suoi nomi e cognomi srilankesi – la domanda non è considerata valida.
Una ragazza nata in Italia viene trattata come una appena sbarcata
Inizia un calvario di sette anni. Una ragazza nata qui, cresciuta qui, che ha studiato sempre in Italia e non ha mai messo piede in Sri Lanka, viene trattata come se fosse appena sbarcata. Infatti deve rinnovare il permesso di soggiorno. Ne ottiene uno per “coesione familiare”, ma a 24 anni le dicono che non può più vivere con i genitori (che nel frattempo hanno ottenuto la carta di soggiorno).
Coesione familiare
Le danno un appuntamento alla Questura di Napoli. Venerdì alle 15.30. Arriva e scopre che gli uffici non sono aperti al pubblico. Urlando e piangendo riesce a farsi aprire. Alla fine, le concedono un permesso per “studio illimitato”.
“Non credo neppure che esista” racconta. “Ricordo che di fronte a me hanno tagliato il vecchio permesso. Il nuovo, però, mi arriverà soltanto dopo un anno e mezzo dalla richiesta. Al colmo della sfortuna, nello stesso periodo mi scippano, quindi rimango pure senza carta d’identità”.
Sono stanchi di spiegare, ogni santo giorno, di essere italiani
Mentalmente è una mazzata. Significa entrare nel labirinto dei documenti con la scadenza; rapportarsi con le questure anziché gli uffici comunali; e appena finita l’università dovrà trovare subito un lavoro. C’è sempre il timore, remoto ma teoricamente possibile, della reclusione in un Cie e dell’espulsione in un paese che dove non ha mai messo piede.
C’è l’ultima possibilità. Inizia la lunga procedura della cittadinanza per concessione. Scrive a Napolitano. Alla fine, a 25 anni, è finalmente italiana anche per la legge.
Ius soli e rinunce
“In sette anni ho dovuto rinunciare, tra le altre cose, al servizio civile e a un viaggio a Londra”, dice. Oltre che a varie occasioni di lavoro, molto più problematiche per chi ha un permesso di soggiorno come documento. “Dopo mi sono sentita rinata”, confessa. “Più sicura”.
Incontro altri “G2”, come li chiamano. I “nuovi italiani”. Sono un’avanguardia in un paese incartapecorito. Ironizzano sulle facce stupite, sulle gaffe, sull’ignoranza di chi li tratta da migranti. Persino su una legge che non passa solo per un meschino calcolo elettorale. Ma sono anche stanchi. Specialmente di dover spiegare, ogni santo giorno, di essere italiani.