Il sequestro di Uber Eats evidenzia una filiera dove tutti competono e "raggiungono gli obiettivi" abbassando il costo del lavoro ed evitando responsabilità. Così siamo tutti liberi. Di essere schiavi
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Il 29 maggio 2020 il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Uber Eats Italy. Un provvedimento senza precedenti che non ha avuto molta eco sui media. Nel marzo 2021 il Tribunale ha considerato risolto il problema revocando il provvedimento di amministrazione giudiziaria.
Nei giorni successivi, la notizia del sequestro è postata soltanto una volta nel gruppo Facebook dei fattorini di Uber. Tra i circa 700 membri, in pochissimi si lamentano. “Ti sembrano poche 3 euro a consegna? Puoi farne di più”, risponde un fattorino. E altri aggiungono: “Se non ti sta bene vai da un’altra parte”.
Sulle testate principali la notizia ottiene poca evidenza. Gli opinionisti tendono a minimizzare: c’è chi nota che il guadagno presunto di un fattorino è di circa 1000 euro netti, quindi un reddito “normale”. Altri mostrano stupore e scetticismo sull’inchiesta giudiziaria. Altri ancora interpretano la vicenda in modo ideologico, osservando che il caporalato “si infiltra” persino nelle multinazionali. Ma i consumatori, col loro potere, possono scegliere tra buoni e cattivi e punire questi ultimi.
Le cose che contano
Pochi giorni dopo il sequestro, Uber invia mail di riattivazione per chi non ha completato la registrazione. “Diventa il capo di te stesso”, dicono. Gestisci da solo il tuo tempo.
Anche dal punto di vista giuridico, il provvedimento è motivato con la salvaguardia del mercato. Nell’opinione dominante, il caporalato è un corpo estraneo che infetta quello sano. Le azioni chirurgiche dei magistrati e le scelte dei consumatori possono rimuovere il tumore.
Sopravvivono soltanto i cannibali
Queste interpretazioni sono consolatorie e tendono a salvaguardare l’impianto della nostra economia, ormai basata su attività a basso valore aggiunto e ad altissimo tasso di sfruttamento. Analizzando i fatti, è evidente che le dinamiche del mercato selvaggio spingono verso il grave sfruttamento. I manager devono raggiungere gli obiettivi, le imprese in subappalto devono rientrare nei costi e ottenere un margine. Persino il rider che guadagna troppo poco a sua volta subappalta l’account al migrante senza documenti.
Notifica di licenziamento
Basta per un messaggio per “disconnettere” il lavoratore. Nel caso specifico, al fattorino è rimproverato l’uso contemporaneo di due account. Basta questo per far scattare il messaggio di rescissione del contratto.
Non siamo quindi di fronte a una “infiltrazione”, ma a una catena a più livelli. Tutti dicono di essere innocenti. In fondo non fanno altro che competere o “raggiungere gli obiettivi”. Non è un caso che la filiera dell’agricoltura sia identica. Così come quella logistica e mille altre catene che virano verso il cannibalismo. Sopravvivi soltanto “mangiando” qualcuno più debole di te.
In queste filiere sopravvivi soltanto “mangiando” qualcuno più debole di te
Alcuni “sovranisti”, nel frattempo, osservano su Facebook che “prima degli sbarchi non esistevano i rider”. La colpa è quindi di chi vuole le frontiere aperte, permettendo la creazione del famoso “esercito di riserva”.
Gamification
L’app premia l’affidabilità del rider con gli “slot”, ovvero le fasce orarie migliori in cui si fanno più consegne e si guadagna di più.
Il punteggio deriva anche dalla disponibilità a lavorare di notte e nei festivi e dal mancato rifiuto di sessioni di lavoro.
Peccato che i rider esistono da molti anni. Anzi, inizialmente la consegna in bici è stata presentata come un “lavoretto per arrotondare”, roba da studenti. Un secondo lavoro svolto soprattutto da italiani. Già allora le condizioni erano pessime. Solo di recente il food delivery ha attinto al bacino dei richiedenti asilo, creato consapevolmente da leggi che favoriscono la schiavitù.
Infografica / La filiera
Non ci sono assunzioni, ma “connessioni”
Le vittime del grave sfruttamento sono dunque sia italiane che straniere. Il punto non è questo. Non serve colpevolizzare le vittime. Dobbiamo colpire le cause: la giungla del mercato del lavoro, talmente libera da vincoli da permettere una catena di subappalti che annulla tutte le responsabilità: nessuno assume più ma mette in connessione.
Chi minimizza il problema, osserva che un rider “che ha voglia di lavorare” può raggiungere uno stipendio “normale”. Il problema è “come”. Correndo ai semafori, accettando soprusi, convivendo con la minaccia perenne della disconnessione, immergendosi dentro la “gamification”, cioè la perenne competizione con gli altri.
Emergenza Covid
Se “desideri” ricevere il kit di protezione puoi compilare il modulo.
I rider sono stati in prima linea durante l’emergenza, consegnando durante il lockdown. Il loro è stato ritenuto un servizio essenziale.
Molto meno pronte le aziende, che hanno scelto formule come questa per proteggere i lavoratori.
Una soluzione può essere un “pavimento” minimo, un salario base sotto il quale non si può andare. Con un costo del lavoro fisso la filiera deve adeguarsi. Cancellando l’orrore di uomini e donne costretti a una vita d’inferno.
Può essere facile consolarsi pensando che si tratta di un problema che riguarda gli altri. Migranti, giovani, disoccupati. Ma le condizioni estreme all’inizio sembrano all’inizio isolate a un solo settore, a un gruppo etnico, a un territorio. Poi si espandono a macchia d’olio coinvolgendo tutti.
Problemi chiave ->
il lavoratore non è assunto ma esternalizzato;
nei vari passaggi della filiera si usano mediatori che reclutano e organizzano la forza lavoro;
i livelli superiori accumulano grandi profitti limitando i margini dei livelli inferiori;
il livello superiore è sempre meno responsabile di quello che accade in basso;
i bacini di lavoratori ricattabili sono essenziali per questo sistema;
l’opacità è un altro elemento critico.
Soluzioni ->
documenti per i lavoratori migranti;
responsabilità di filiera del soggetto più forte;
assunzione diretta;
diritti dal basso della filiera: salario minimo e cancellazione del cottimo;
Ricominciano le presentazioni del libro! Resta aggiornato per conoscere le prossime date
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Sequestro Uber. Assunzioni? No, soltanto connessioni
Il 29 maggio 2020 il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Uber Eats Italy. Un provvedimento senza precedenti che non ha avuto molta eco sui media. Nel marzo 2021 il Tribunale ha considerato risolto il problema revocando il provvedimento di amministrazione giudiziaria.
Nei giorni successivi, la notizia del sequestro è postata soltanto una volta nel gruppo Facebook dei fattorini di Uber. Tra i circa 700 membri, in pochissimi si lamentano. “Ti sembrano poche 3 euro a consegna? Puoi farne di più”, risponde un fattorino. E altri aggiungono: “Se non ti sta bene vai da un’altra parte”.
Sulle testate principali la notizia ottiene poca evidenza. Gli opinionisti tendono a minimizzare: c’è chi nota che il guadagno presunto di un fattorino è di circa 1000 euro netti, quindi un reddito “normale”. Altri mostrano stupore e scetticismo sull’inchiesta giudiziaria. Altri ancora interpretano la vicenda in modo ideologico, osservando che il caporalato “si infiltra” persino nelle multinazionali. Ma i consumatori, col loro potere, possono scegliere tra buoni e cattivi e punire questi ultimi.
Le cose che contano
Pochi giorni dopo il sequestro, Uber invia mail di riattivazione per chi non ha completato la registrazione. “Diventa il capo di te stesso”, dicono. Gestisci da solo il tuo tempo.
Anche dal punto di vista giuridico, il provvedimento è motivato con la salvaguardia del mercato. Nell’opinione dominante, il caporalato è un corpo estraneo che infetta quello sano. Le azioni chirurgiche dei magistrati e le scelte dei consumatori possono rimuovere il tumore.
Sopravvivono soltanto i cannibali
Queste interpretazioni sono consolatorie e tendono a salvaguardare l’impianto della nostra economia, ormai basata su attività a basso valore aggiunto e ad altissimo tasso di sfruttamento. Analizzando i fatti, è evidente che le dinamiche del mercato selvaggio spingono verso il grave sfruttamento. I manager devono raggiungere gli obiettivi, le imprese in subappalto devono rientrare nei costi e ottenere un margine. Persino il rider che guadagna troppo poco a sua volta subappalta l’account al migrante senza documenti.
Notifica di licenziamento
Basta per un messaggio per “disconnettere” il lavoratore. Nel caso specifico, al fattorino è rimproverato l’uso contemporaneo di due account. Basta questo per far scattare il messaggio di rescissione del contratto.
Non siamo quindi di fronte a una “infiltrazione”, ma a una catena a più livelli. Tutti dicono di essere innocenti. In fondo non fanno altro che competere o “raggiungere gli obiettivi”. Non è un caso che la filiera dell’agricoltura sia identica. Così come quella logistica e mille altre catene che virano verso il cannibalismo. Sopravvivi soltanto “mangiando” qualcuno più debole di te.
Alcuni “sovranisti”, nel frattempo, osservano su Facebook che “prima degli sbarchi non esistevano i rider”. La colpa è quindi di chi vuole le frontiere aperte, permettendo la creazione del famoso “esercito di riserva”.
Gamification
L’app premia l’affidabilità del rider con gli “slot”, ovvero le fasce orarie migliori in cui si fanno più consegne e si guadagna di più.
Il punteggio deriva anche dalla disponibilità a lavorare di notte e nei festivi e dal mancato rifiuto di sessioni di lavoro.
Peccato che i rider esistono da molti anni. Anzi, inizialmente la consegna in bici è stata presentata come un “lavoretto per arrotondare”, roba da studenti. Un secondo lavoro svolto soprattutto da italiani. Già allora le condizioni erano pessime. Solo di recente il food delivery ha attinto al bacino dei richiedenti asilo, creato consapevolmente da leggi che favoriscono la schiavitù.
Infografica / La filiera
Non ci sono assunzioni, ma “connessioni”
Le vittime del grave sfruttamento sono dunque sia italiane che straniere. Il punto non è questo. Non serve colpevolizzare le vittime. Dobbiamo colpire le cause: la giungla del mercato del lavoro, talmente libera da vincoli da permettere una catena di subappalti che annulla tutte le responsabilità: nessuno assume più ma mette in connessione.
Chi minimizza il problema, osserva che un rider “che ha voglia di lavorare” può raggiungere uno stipendio “normale”. Il problema è “come”. Correndo ai semafori, accettando soprusi, convivendo con la minaccia perenne della disconnessione, immergendosi dentro la “gamification”, cioè la perenne competizione con gli altri.
Emergenza Covid
Se “desideri” ricevere il kit di protezione puoi compilare il modulo.
I rider sono stati in prima linea durante l’emergenza, consegnando durante il lockdown. Il loro è stato ritenuto un servizio essenziale.
Molto meno pronte le aziende, che hanno scelto formule come questa per proteggere i lavoratori.
Una soluzione può essere un “pavimento” minimo, un salario base sotto il quale non si può andare. Con un costo del lavoro fisso la filiera deve adeguarsi. Cancellando l’orrore di uomini e donne costretti a una vita d’inferno.
Può essere facile consolarsi pensando che si tratta di un problema che riguarda gli altri. Migranti, giovani, disoccupati. Ma le condizioni estreme all’inizio sembrano all’inizio isolate a un solo settore, a un gruppo etnico, a un territorio. Poi si espandono a macchia d’olio coinvolgendo tutti.
Problemi chiave ->
Soluzioni ->
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