Qualcuno abbia il coraggio di dire ad uno dei tanti ragazzi ivoriani, ghanesi o burkinabé che hanno lavorato per tutto l’inverno a 20 euro al giorno (“di più non possiamo darvi”) che intorno a loro sta iniziando a circolare un mare di soldi che vedranno solo da lontano. Spiegategli, se trovate le parole, che dagli anni ’90 all’altro ieri sono stati il passatempo dei balordi del paese, un lancio di pietre e via col motorino; ma da domani potrebbero essere il pretesto per nuovi sprechi.
L’accoglienza a Rosarno potrebbe essere uno degli interventi previsti nell’ambito del PON sicurezza (200.000 euro annunciati), del POR Calabria (20 milioni di euro complessivi), dei fondi del Ministero e di quelli degli enti locali. Potrebbe, perché finora non si è visto nulla di tangibile o risolutivo. Persino il riuso sociale dei beni confiscati alla criminalità potrebbe offrire ottime occasioni per organizzare l’accoglienza. Nella regione si trova infatti il 15% del totale nazionale delle confische, peraltro facilitate dal familismo sospettoso delle ‘ndrine, le quali non sanno inventarsi di meglio che intestare ditte, terreni e fabbricati a familiari o addirittura a pregiudicati[1].
Un eventuale centro di accoglienza non potrebbe avere un carattere diurno, perché il problema principale per i lavoratori africani è trovare un posto dove dormire. I raccoglitori stagionali di arance si alzano alle cinque del mattino e terminano di lavorare al tramonto. I neocomunitari, ad esempio bulgari e romeni, trovano appartamenti in zona. Ma per gli africani, è la legge stessa a proibirlo: chi affitta ad un irregolare rischia il sequestro dell’immobile. Ed i regolari sono una piccola parte del totale, quindi non avrebbe senso aprire un centro solo per loro.
L’esperienza di Cassibile, del resto, dovrebbe insegnare qualcosa. Si tratta di un paese alle porte di Siracusa dove in primavera gli immigrati si concentrano per la raccolta delle patate: nel 2007 viene finanziata con fondi pubblici una tendopoli della Croce Rossa, dove all’ingresso si controllano i documenti. Ovviamente è rimasta quasi sempre deserta. L’anno dopo è stata spostata ad Avola, ancora più distante dai luoghi di lavoro. Nel 2009 l’esperienza è stata definitivamente abbandonata[2]. Il nodo è chiaramente un altro: la regolarizzazione dei lavoratori impegnati nell’agricoltura stagionale, in particolare nel Meridione.
Teatro, cinema e kiwi
Sotto la spinta degli africani e delle loro rivendicazioni, nell’inverno del 2008 la politica locale e nazionale avrebbe potuto esibire un territorio accogliente e solidale, modello per tutta l’Europa abbrutita dall’egoismo e capace di intervenire oltre la logica dell’emergenza. Invece le immagini della “cartiera” di Rosarno, emergenza umanitaria permanente a partire dagli inverni dei primi anni ‘90, hanno fatto ripetutamente il giro del mondo. La risposta è stata come minimo inadeguata.
Cifre a molti zeri stanziate dagli enti locali, o addirittura promesse dal governo di destra e dal ministro leghista, ma mai concretizzate in interventi tangibili o risultati apprezzabili. Progetti fumosi, addirittura grotteschi. Misteriosi stanziamenti da rendicontare, conflitti di competenze e risultati evanescenti producono dubbi sulla destinazione del denaro.
Durante il durissimo inverno del 2008, quella di Rosarno è stata definita come una emergenza umanitaria di livello internazionale, secondo notissime organizzazioni (Medici Senza Frontiere), testate estere ed italiane ed è apparso chiarissimo anche a chiunque abbia dato anche un’occhiata veloce all’interno della ex Modul System. Nel mondo civile, di fronte ad una catastrofe umanitaria si interviene con strumenti eccezionali e rapidamente. Sembrava che questo fosse acquisito dopo ogni conferenza stampa ed in seguito ad ogni annuncio solenne.
La BBC ed Al Jazeera, il Guardian e la France Presse, Rai, Mediaset e La 7, il salotto tv di Ilaria D’Amico e persino uno stranamente commosso Emilio Fede non sono bastati a spingere ad una soluzione del problema. Tanti giornali, radio, siti web: tutti a raccontare la stessa cosa, una “vergogna per l’umanità” in piena Europa, un pezzo di Darfur in una terra formalmente europea, le condizioni disumane in cui vivono gli africani divisi in tre luoghi dell’orrore.
Ogni inverno, ormai dai primi anni ’90, è più o meno la solita storia. Inviati, politici e giornalisti, tutti con le stesse parole: la Cartiera è un “lager”, la condizione dei raccoglitori degne di un “inferno”. Nel corso degli anni gli inverni rosarnesi sono stati scanditi da visite frequenti da parte di giornalisti, attivisti e politici, oppure sono stati segnati da mesi a base di solitudine, freddo e violenza, come quella balorda dei bulli di paese per i quali gli africani sono stati troppo spesso un bersaglio facile ed una alternativa alla noia dei pomeriggi di gennaio. La situazione, tuttavia, anno dopo anno, è rimasta sostanzialmente identica.
L’alibi della clandestinità
“Sono clandestini. Non possiamo fare niente”. E’ la frase più frequente che associazioni e semplici cittadini si sono sentiti opporre dopo aver formulato una richiesta di intervento urgente alla Cartiera. Eravamo nell’inverno del 2008. Magicamente, però, quegli immigrati a favore dei quali non si può intervenire diventano i beneficiari, magari indiretti, di numerosi progetti ed interventi promossi dalla provincia, dalla regione, dalla società civile ed addirittura dal governo di destra. Se questi progetti fossero diventati pienamente operativi gli africani che a dicembre 2008 non avevano neppure acqua corrente, che vivevano tra cumuli di spazzatura, a cui ad un certo punto sono stati persino tolti i bagni chimici, che andavano ai campi con le ciabatte infradito e le magliette a mezze maniche avrebbero potuto godere di un centro attrezzato (la “fabbrica” ristrutturata) per fare attività sportiva e teatrale, corsi di avviamento al lavoro e di “integrazione con i residenti”, rapporti con gli enti e le autorità pubbliche. E cinema e laboratori didattici per lo studio e la formazione. Infine un museo dell’agricoltura, con l’immancabile negozio di prodotti tipici.
Queste ultime idee erano tra quelle contenute nel piano presentato il 2 gennaio 2008 al Comune, ovvero al Commissario prefettizio dell’ente sciolto per mafia, da un gruppo di associazioni locali, guidate dall’ex sindaco Saccomanno e capeggiate dal Rotary.
La Provincia, nello stesso periodo, metteva in moto un progetto rivolto a tutto il territorio provinciale, con un budget da 400.000 euro, finalizzato – tra le altre cose – al potenziamento dei servizi sanitari rivolti agli immigrati, alla costituzione di “Info Point” per la sensibilizzazione ed all’erogazione di borse lavoro per coltivare kiwi a Rizziconi[3].
Alla fine di gennaio, la Regione avrebbe stanziato 50.000 euro, messi nella disponibilità dei comuni di Rosarno e San Ferdinando; qualche settimana dopo, il ministro leghista Maroni in visita a Reggio ne annuncia 200.000. Il “Dipartimento Libertà Civili” del ministero dell’Interno, su indicazione del ministro in persona, annunciava infatti di aver messo a disposizione del prefetto di Reggio Calabria 200 mila euro per i “primi interventi assistenziali in relazione alla situazione di forte disagio presente a Rosarno ed in altre aree della provincia per la presenza di immigrati”. Il Viminale avrebbe inoltre chiesto al prefetto di Reggio Calabria “di pianificare con i responsabili del governo del territorio un progetto più articolato, da finanziare con il Pon sicurezza nell’ambito di competenza del dipartimento libertà civili per quanto riguarda la gestione dell’impatto migratorio”[4].
Dove sono finiti questi soldi, o almeno quelli effettivamente stanziati per Rosarno? A metà aprile il comune di San Ferdinando, competente per territorio sulla ex Cartiera, ordina alla ditta fornitrice di ritirare i bagni chimici alla fabbrica: il contratto di locazione è scaduto. Nuovi interventi? No, si torna indietro. In quei giorni la Regione avrebbe erogato parte dei fondi annunciati, ed atteso la rendicontazione degli enti locali. I WC venivano provvisoriamente spostati dalla Cartiera e parcheggiati presso la “Rognetta” di Rosarno, luogo in cui c’erano ancora migranti, ma anche bagni funzionanti locati dal comune rosarnese. I bagni erano originariamente otto, cui se n’erano aggiunti altri dieci dopo il famoso stanziamento di cinquantamila euro. La proteste degli immigrati inducevano il personale della ditta a lasciare nella cartiera quattro WC, comunque insufficienti per le esigenze delle persone ospitate[5]. Ma perché togliere i bagni da un luogo in cui sono necessari per allocarli inutilizzati in un altro, peraltro formalmente una ex fabbrica diroccata? Perché costringere i migranti – in quel periodo ne erano rimasi circa 150 – provati da un durissimo inverno e da una stagione andata male all’ennesima protesta?
In una nota pubblicata dall’Ansa, l’Osservatorio migranti notava giustamente che riportare i bagni significava banalmente rendere “leggermente meno tragiche le condizioni di vita di esseri umani che piano piano stanno abbandonando il nostro territorio in cerca di lavoro in altre zone dell’Italia: appunto un dovere prima da uomini e poi da amministratori”.
In primavera, i pochi sfortunati rimasti a Rosarno per mancanza di alternative si ritrovano ancora più poveri in mezzo ad un mare di soldi[6]. Il panorama è nel complesso desolante. I consigli comunali di Rosarno, Gioia Tauro e San Ferdinando sciolti dal governo di identico colore politico (i primi due per mafia); i capannoni abbandonati nella zona industriale fantasma testimoni muti ma eloquenti dell’uso che si è fatto del denaro pubblico; il rimpianto senza rimedio dell’epoca d’oro della fiorente economia agrumicola della Piana, distrutta con metodo da quella che l’ex sindaco Lavorato definisce “filiera mafiosa”[7]; l’incapacità patologica di far seguire a proclami, stanziamenti, annunci da conferenza stampa interventi minimi essenziali.
Il primo dell’Italia meridionale
Nel gennaio del 2007, alla Prefettura di Reggio, veniva firmato un Protocollo d’intesa con l’obiettivo di trasformare la “Cartiera” in un centro d’aggregazione sociale. “A Rosarno prima realizzazione nell’Italia Meridionale: i lavoratori extracomunitari avranno una casa”, annuncia la stampa locale.
Il centro sarà “destinato ad ospitare gli extracomunitari nella stagione della raccolta degli agrumi. […] La struttura, già in locazione provvisoria, sorgerà nell’ex cartiera Modul System”. Il documento portava le firme dei sindaci di Rosarno (Martelli) e San Ferdinando (Barbieri), del direttore dell’ASL 10, del presidente di “Piana Sicura” e di quello di “Piana Ambiente” e di alcuni rappresentanti delle organizzazioni di volontariato. I due comuni avrebbero avuto la disponibilità della struttura grazie alla deliberazione adottata dal giudice del Tribunale dell’esecuzione di Reggio Calabria, con la formula della “locazione provvisoria”, in attesa di una successiva – e mai effettuata – asta pubblica.
Dopo dieci anni l’idea sarà riproposta, come abbiamo visto.
Ma al momento rimane solo il ricordo dell’ultimo inverno. Lo scheletro di cemento, il tetto sfondato, pochi bagni, docce disastrate, ed a volte non viene neppure raccolta la spazzatura. Pioggia e freddo rendono la permanenza durissima. La protezione civile della Regione prova ad intervenire (ipotesi tendopoli; conferenza stampa; individuazione del terreno; no, qui non si può fare; allora intervenire alla Cartiera; bene, vedremo), ma ben presto è impegnata a risolvere l’ordinaria emergenza di un territorio in stato di dissesto. Il 13 gennaio 2008 un uragano (definizione della Protezione civile nazionale) si abbatte sulla regione. Ma il peggio deve ancora arrivare. Saranno settimane di piogge fortissime, freddo pungente. Nella Piana l’umidità entra nelle ossa; alla “Cartiera” ci si riscalda e si cucina bruciando rametti raccolti nei dintorni. Il fumo che esalano è micidiale. Bisogna essere molto forti, sia moralmente che fisicamente, per superare la prova dell’inverno rosarnese. A novembre un ragazzo del Ghana non ce la fa, s’impicca. Gli altri tengono duro. Passerà pure questo, se Dio vuole, come sono passati il Sahara ed i poliziotti libici, il mare assassino e gli scogli di Lampedusa, i volontari coi guanti di lattice dei CPT e i politici calabresi. Alla Cartiera una parte del tetto è rotta, e nessuno la riparerà. Alla “Rognetta”, una ex fabbrica di trasformazione degli agrumi in pieno centro che fa da “casa” per i maghrebini, il tetto non c’è da tempo immemorabile.
[1] E’ quanto accaduto per i sequestri di beni al clan Piromalli ed a quello Bellocco, rispettivamente di Gioia Tauro e Rosarno, tra i maggiori della regione. Il 15 giugno 2009 ai rosarnesi sono stati confiscati immobili per 500.000 euro, intestati ad un pregiudicato quarantenne. Quindi giorni dopo un sequestro da 10 milioni di euro ai danni di Pino Piromalli, conosciuto nell’ambiente come “Facciazza”, nipote del più celebre don Mommo: terreni della Piana, coltivati ad ulivi e kiwi, uno stabile a Gioia, immobili del centro di Milano e due aziende, di cui una impegnata nella coltura degli agrumi e l’altra, con sede nel capoluogo lombardo, attiva nell’import – export di ortofrutta. I beni erano intestati alla moglie ed alla figlia del boss.
[2] Cfr. i reportage da Cassibile di Gabriele Del Grande (http://fortresseurope.blogspot.com) ed il documentario “U stisso sangu – Storie a Sud di Tunisi” di Francesco Di Martino e Sebastiano Adernò (2009) – www.ustissosangu.com.
[3] Si tratta del progetto “Assi”, presentato pubblicamente dalla Provincia di Reggio Calabria il 30 dicembre 2008.
[4] Cfr. Maroni: «Venti nuovi 007 della Polizia a Reggio e 200mila euro per l’emergenza Rosarno», Il Quotidiano, 31 marzo 2009.
[5] Cfr. cronache locali dell’11 e del 12 aprile 2009
[6] Il procuratore capo di Reggio definì la Calabria “una terra poverissima che affoga in un mare di soldi”, riferendosi al denaro pubblici sperperato ed ai proventi del narcotraffico in mano ad una ristretta cerchia di criminali.
[7] Giuseppe Lavorato, Rosarno: memoria corta e filiera mafiosa, terrelibere.org, 1 giugno 2009, http://www.terrelibere.org/terrediconfine/rosarno-memoria-corta-e-filiera-mafiosa