Chi vive nelle case occupate a Roma? Lavoratori sottopagati

  Dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza si è parlato di emergenza immigrati e accoglienza. Ma nelle case occupate vivono eritrei arrivati dieci anni fa, famiglie peruviane, giovani italiani che lavorano nella scuola. Tramite cooperative che ricordano il caporalato. Talmente precari da non poter permettersi un affitto
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ROMA – “Con 400 euro al mese cosa vuoi affittare?” Marco non è un rifugiato ma un italiano che lavora nelle scuole con i ragazzi disabili. Vive in una casa occupata. Come tanti eritrei, peruviani, somali, arabi. E italiani. Dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza si è parlato di “emergenza immigrazione” e di “accoglienza”. Come se si trattasse di gente appena sbarcata. Ai presidi degli sgomberati incontriamo invece gente presente da almeno dieci anni, famiglie con bambini, lavoratrici e lavoratori ingabbiati nel sistema delle cooperative in subappalto che ormai in ogni settore (istruzione, corrieri, pulizie) ha creato una generazione di nuovi schiavi. Costretti a costruirsi il diritto alla casa.

La scuola

“Non è un lavoro facile, prendi anche calci e sputi da ragazzi autistici”, spiega Marco. L’assistente specialistico alla comunicazione è una figura di aiuto agli alunni disabili. Le condizioni sono pessime. “In sette anni, ho avuto sette contratti diversi. Dalla prestazione occasionale alla partita Iva. Anche se nei fatti sono un dipendente, con orari e una sede di lavoro”.

In sette anni ho avuto sette contratti diversi

“Puoi lavorare 15 giorni a settembre e fare 400 euro e 20 giorni a maggio e guadagnarne 700. Dipende dalle scuole, dagli appalti, dalle chiamate. Possono chiamarti per una sostituzione anche la mattina stessa. Conosco gente che non ha preso soldi da gennaio a giugno. In Italia ci sono 10mila lavoratori come me”. Maria fa lo stesso lavoro. Con un figlio piccolo, l’unica scelta possibile è vivere in occupazione.

Funziona così. Un ente mette i soldi, la scuola pubblica un bando, le coop partecipano, una vince. Se tutto si incastra, hai un contratto da precario. Secondo Marco, la coop prende 19,20 euro l’ora, al lavoratore ne vanno 6,50.

“Nella mia occupazione la percentuale di italiani è del 20%. Ma non è così diverso per gli stranieri, ci sono arabi da dieci anni in Italia. Io lotto per la casa, non per rimanere in occupazione. Col decreto Lupi non abbiamo accesso alla residenza. Le conseguenze? Solo per fare un esempio, niente medico”.

I corrieri

I.B. invece è un profugo. Vive in Italia da otto anni. Lavora per Sda, il corriere di Poste Italiane, controllata dal Ministero dell’Economia. Anche lui col sistema delle cooperative.

Negli ultimi tempi la sua situazione è migliorata. “Prima eravamo slaves (lo dice in inglese). Lavoravamo 13 ore al giorno per 750 euro al mese. Anche dalle 3 del mattino alle 17 del pomeriggio. I capi ci insultavano. Adesso abbiamo conquistato diritti nuovi”. Ma per vivere in una casa in affitto, deve superare l’ultima barriera. Il razzismo degli italiani. “Quando dico che sono eritreo, i padroni di casa chiudono il telefono”.

Alberto Violante è un sindacalista del Si Cobas. Conosce tutte le vertenze del settore. “Ancora alla fine degli anni ’90 la logistica era diversa, c’erano normali stipendi operai e assunzioni. Poi la concentrazione degli operatori, la corsa al ribasso sui prezzi e l’uso massiccio di lavoratori ricattabili, in gran parte migranti, ha devastato il settore”.

Quando dico che sono eritreo, nessuno vuole affittare la sua casa

Il percorso era sempre lo stesso: l’accoglienza, lo status di rifugiato, il lavoro come facchino. Eppure il lavorare non significa uscire dai ghetti. Ci sono persone da anni qui non parlano italiano. “Se non l’hanno imparato al centro di accoglienza, non lo faranno certo vivendo in occupazione tra connazionali o lavorando come magazzinieri”. Molte eritree lavorano nelle pulizie nelle camere d’albergo e nelle cucine. Spesso con lo stesso sistema della logistica e con lo stesso giro di consorzi di cooperative, spesso negli hotel del centro.

Emergenza, sempre emergenza

Tra uomini e donne che vivono nelle case occupate di Roma non ci sono italiani e stranieri. Ci sono solo sfruttati. Tutti con lo stesso sistema. Quello delle cooperative in subappalto. Il committente può essere il ministero dell’Istruzione, una catena di alberghi, un corriere controllato dal ministero dell’Economia. Il risultato è quasi sempre lo stesso. Il ricatto della mancata riassunzione, salari che variano da un mese all’altro, pagamenti in ritardo.

case occupate
Presidio degli sgomberati di Piazza Indipendenza

In una città dove gli affitti rimangono proibitivi (500 euro una stanza, 1000 un appartamento da famiglia), le occupazioni sono state un ammortizzatore fino a ieri tollerato. Sono 3000 i rifugiati che vivono a Roma in occupazione. La maggior parte lavora. Sono il carburante sottocosto che fa girare l’economia cittadina, dagli alberghi del centro ai magazzini degli spedizionieri fuori dal raccordo.

I nomi di questo articolo sono stati cambiati. Quelli dei rifugiati eritrei per ovvi motivi. Ma anche quelli dei precari italiani. Che tra sgomberi e mancati rinnovi di contratto temono di perdere anche il poco che hanno.

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