Rifugiati. E se fosse un conflitto tra italiani?

Rifugiati a Reggio Calabria chiedono di andare via - Fotografia di Maria Elena Scandaliato (da Facebbok)
  Gli episodi di razzismo sono sempre più numerosi. Gli italiani sono diventati all’improvviso intolleranti e crudeli? Può darsi. Però proviamo ad andare oltre e parliamo di uno scontro per le risorse pubbliche. Tra italiani.
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 “I governi giocano a palla. E la palla siamo noi”. Tra tutte le frasi che ho sentito sull’immigrazione, questa mi è sempre rimasta in mente. Si riferiva ai politici del Nord e Sud del Mediterraneo. Oggi, dopo le proteste a Goro, in provincia a di Ferrara contro 22 donne e 8 bambini richiedenti asilo, penso alla stessa espressione riveduta e corretta. “Gli italiani giocano a palla. E la palla siamo noi”.

Rifugiati a Reggio Calabria - Fotografia di Maria Elena Scandaliato (da Facebbok)
Rifugiati a Reggio Calabria chiedono di andare via – Fotografia di Maria Elena Scandaliato (da Facebook)

In altre parole, credo che alla base della questione ci sia uno scontro per le risorse i cui i migranti sono una scusa ma non l’oggetto principale della contesa.

Faccio qualche premessa:

  • gli episodi di intolleranza si estendono da Nord a Sud, in regioni insospettabili come la Toscana e sembrano riguardare ogni angolo del Paese;
  • negli ultimi anni, con la crisi, con l’impoverimento del ceto medio e con la frustrazione per un futuro incerto è cresciuto l’odio contro i “nemici”, dalla casta politica allo straniero invasore;
  • gruppi di estrema destra o movimenti populisti come Lega o i 5 stelle strumentalizzano questi sentimenti ai propri fini;
  • un razzismo di base in Italia esiste dal fascismo in poi: si traduce in poca conoscenza dell’altro, provincialismo, generico senso di superiorità, paternalismo.

Detto questo, riporto uno dei pochi commenti diverso dalla solita serie di insulti. In riferimento alla vicenda di Goro, un lettore dell’Espresso sosteneva che la spesa pubblica è stata tagliata per tutti tranne che per i migranti.

Gli italiani giocano a palla. E la palla siamo noi

È ovvio che nei centri di accoglienza “l’ospite” riceve pochi spiccioli al giorno. E neppure in moneta vera. Se non fosse così non sarebbe costretto a lavorare in nero, come accade per esempio a Crotone, Mineo e persino nel Chianti. Tempi lunghi e necessità di mandare soldi a casa hanno creato un serbatoio enorme di lavoro schiavile. Altro che hotel a cinque stelle e “clandestini serviti e riveriti”.

Ma quei soldi ci sono. E qualcuno li intasca. Questo qualcuno è il sistema emergenziale dell’accoglienza. Quella galassia di cooperative, consorzi, enti. E alberghi, strutture riciclate, mediatori. Ci sono anche tantissime esperienze positive e persone motivate. Ma da sole non bastano.

Una fetta di classe media italiana si vede allo stesso tempo sempre più impoverita e abbandonata. E osserva impotente risorse drenate verso il settore dell’accoglienza emergenziale. Che va avanti col ricatto della bontà e parallelamente produce voti e carriere. Il caso Mineo è esemplare.

Rifugiati © Flickr CC

È vero che i soldi ci sono solo da quel versante? È quello che viene percepito. Ovviamente rimangono invisibili le grandi ricchezze. Come al solito, c’è chi mangia la grossa fetta della torta e poi lascia i poveri a scannarsi.

Rifugiati

Tuttavia, non è possibile continuare a contrapporre la retorica paternalista dei “disperati che bussano alle nostre porte” con il finto buon senso dei “non possiamo farci carico dei problemi del mondo”. Oppure luoghi comuni di maggioranza con luoghi comuni di minoranza, del tipo “non è vero che ci rubano il lavoro, in fondo vanno a raccogliere pomodori”. Le migrazioni possono essere un’opportunità, ma non certo perché possiamo sfruttarli.

Non è questo il punto. Il punto è che l’attuale politica non serve a nessuno, meno che mai ai migranti, rifugiati o meno.

Il sistema dell’emergenza non è una risposta per nessuno

L’attuale sistema di accoglienza emergenziale non è una risposta e va smantellato subito per essere sostituito con qualcosa che somiglia agli Sprar. L’attuale politica sui migranti è una trappola che incastra per anni i superstiti dei naufragi, li confina per anni in posti irraggiungibili, finge che il fenomeno sia emergenziale e non strutturale, non si occupa della cause delle partenze (la guerra in Siria e Libia, le dittature di Gambia ed Eritrea, solo per fare qualche esempio), usa l’asilo come unico canale di accesso, prevede procedure barocche e lunghissime, vede nei centri di emergenza il fulcro del sistema – con relativi scandali – mantiene appena venti commissioni per un numero crescente di richiedenti. E non prevede per nessuno canali di accesso legali e sicuri.

Basta così? No. La politica di accordi con dittatori e regimi equivoci (Nigeria, Afghanistan, Eritrea, Gambia, Egitto, Turchia, Sudan …) rafforza le cause delle partenze producendo un circolo vizioso. Con i soldi europei i dittatori diventano più forti. Aumentano la repressione. E aumentano anche i rifugiati.

Si potrebbe continuare all’infinito. Senza contare che la maggior parte dei migranti non vuole rimanere nei nostri confini. E la politica italiana chiede all’Unione europea soldi per trattenerli, per il suo ruolo di gendarme, esattamente come faceva Gheddafi rispetto all’Italia. “E la palla siamo noi”.

Rifugiati © Flickr CC

Chi sono poi i rifugiati? Non lo sa nessuno, perché a parte qualche storia strappalacrime sono sempre una massa indistinta, buona o cattiva secondo di un punto di vista precostituito. Un buon punto di partenza sarebbe la conquista del cognome. Non raccontare solo di Abdul che ha attraversato il deserto a piedi e ha tanto sofferto, ma parlare di uomini e donne a tre dimensioni. Con pregi, difetti, speranze, professionalità e limiti. Con un nome e un cognome.

Esattamente come gli italiani che da anni emigrano alla ricerca di un futuro che questo paese nega.

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