Pubblicato su l’Espresso
REGGIO CALABRIA – “Se dico zingari, a cosa pensate?”. Domenico Modafferi è il presidente della cooperativa “Rom 1995”. Sta parlando a cento ragazzi delle medie. Attendono qualche attimo. Poi si lasciano andare senza convenevoli: “Puzzano, rubano, sono sporchi”. Quello che avrebbero detto tutti. “E se io invece rispondessi: aiutano l’ambiente, lottano contro la mafia, lavorano onestamente?”.
Modafferi inizia a raccontare una storia incredibile, poco conosciuta anche sul territorio. A metà anni ’90 i Rom erano concentrati al “208”, un campo del quartiere Sbarre. Un luogo famoso per il degrado. Ma anche per i “cavalli di ritorno”. Quando spariva un’auto si andava a cercarla lì. Il mezzo tornava solo dietro pagamento.
Nel 2007 il campo fu smantellato. Molti andarono a finire in quartieri a loro volta degradati. Alimentando diffidenza e razzismo. Per proporre un’alternativa vera nacque la cooperativa. Esattamente vent’anni fa.
Ecologia, cultura, sensibilizzazione, in particolare con le scuole. Queste le attività principali. “Non stiamo parlando di nomadi o migranti”, spiegano. “Sono persone arrivate qui dal ‘400”. Pur essendo ormai cittadini italiani, hanno mantenuto alcuni tratti culturali, in particolare la lingua, ma anche una sostanziale separazione dalla comunità locale.
Rendere utile quello che fanno già
L’idea per uscirne è semplice. Legalizzare e rendere di pubblica utilità quello che i Rom fanno da sempre. La raccolta “differenziata” nei cassonetti della città. Nasce così un servizio comunale. I cittadini telefonano e i temuti “zingari” entrano in casa e portano via lavatrici, divani, materassi. Tutte cose che prima venivano abbandonate per strada.
“All’inizio c’era molta diffidenza”, spiega Modafferi. “Poi una vicina raccontava all’altra di operatori gentili e professionali. E così la paura spariva”.
Anche la sede ha una storia particolare. Si trova a Condera, un quartiere su una collina con vista sullo Stretto di Messina. Palazzi non finiti, buche lungo le vie in salita e strade senza nome, indicate spesso come “secondo tronco” o “seconda traversa”.
L’edificio era uno scatolone coi pilastri in vista e i ferri sporgenti. Senza intonaco. Ma era anche proprietà degli Aquilino, i boss della zona. Attivi nel racket dei fiori del vicino cimitero. Nel 1999 il capo famiglia è stato ucciso proprio di fronte al suo chiosco. Un luogo senza pace. Lo scorso 11 febbraio un altro negozio di fiori è stato completamente incendiato.
In un contesto di guerra, i Rom portano avanti la loro battaglia di normalità. Nel 2002, il bene degli Aquilino è confiscato. Diventa la sede della cooperativa. Ma, soprattutto, un ammasso di ferro e cemento si trasforma in un bel posto: una sala con ampie vetrate per gli incontri educativi; murales e manifesti; cassoni colorati per la raccolta. “Rom diversi, lavoratori uguali”, dice uno dei poster.
Isola ecologica
Nasce il centro per la raccolta dei rifiuti. Pesati e differenziati. Con rilascio di ricevuta. È l’unica isola ecologica della città. Smaltisce anche il materiale dismesso dalle scuole e i manifesti affissi abusivamente.
Il progetto è appoggiato Italo Falcomatà, tra i sindaci reggini più amati. Sarà la leucemia a interrompere il suo mandato. Poi è il turno di Scopelliti, sindaco della destra. Nonostante le rassicurazioni, la “Rom 1995” perde l’appalto. La vicenda è controversa. Parallelamente, senza connessioni con la revoca, la gestione dei rifiuti comunali è travolta da scandali e infiltrazioni criminali.
Nel 2010 le attività sono sospese e i lavoratori finiscono in cassa integrazione. L’anno dopo alcune attività riprendono. Ma la crisi non è ancora superata.
I Rom della cooperativa non sono rappresentativi di tutti quelli presenti in città. “Non si può negare il degrado e l’emarginazione, che producono microcriminalità. La gente si indigna per scippi e furti d’auto. Non fa altrettanto per i crimini della ‘ndrangheta”, spiega Modafferi. “Quello che serve è una reale opportunità di emancipazione. La nostra esperienza è una risposta all’idea che non c’è nulla da fare quando si tratta di Rom”.
Ripartire
Mentre il gruppo dei lavoratori è rimasto compatto, scegliendo la strada della protesta pubblica, le istituzioni non sono state coerenti.
Anzi, hanno accumulato paradossi. Come quello della ricicleria. Quando il progetto era completo, tutto era pronto per recuperare e vendere oggetti che di solito finivano nelle discariche dei torrenti. Divani, mobili. Ma l’appalto non è stato confermato. Non si poteva più raccogliere. Soldi buttati.
I lavoratori hanno comunque voglia di ripartire. C’è un nuovo sindaco, è un giovane di 31 anni ed è il figlio del rimpianto Falcomatà. La città dei sequestri alle aziende delle ‘ndrine, delle assunzioni clientelari e del profondo rosso dei bilanci comunali è al suo anno zero. Magari partendo dall’esempio dei Rom. Il paradosso è che la gente adesso li rimpiange: «Era l’unico servizio comunale che funzionava».