La retorica umanitaria dice che i profughi fuggono da “guerre e persecuzioni”. Ma chi arma quei conflitti? Chi sostiene quei dittatori? Quali paesi ne destabilizzano altri per aumentare il proprio potere?
Possiamo dividerci sull’accoglienza e parlare solo dei problemi a valle. Possiamo occuparci solo degli effetti o consolarci con luoghi comuni come “le migrazioni sono inevitabili” oppure “aiutiamoli a casa loro”.

Possiamo evitare di riflettere sui motivi. Il silenzio sulle cause rafforza il “retropensiero” secondo cui loro “plebi da educare” e noi possiamo solo accoglierli o respingerli. Se siamo, a seconda dei casi, buoni o cattivi.
Oppure buoni interessati, magari con interessi nei centri d’accoglienza.
Le migrazioni nel Sud Europa degli ultimi tempi sono sempre meno dovute a motivi economici. Paesi come l’Italia e la Grecia non sono certo appetibili in questo momento. Basta guardare i numeri. In Italia si arriva (e spesso, si transita soltanto) soprattutto da pochi paesi. Oltre metà dei profughi arriva dai confilitti endemici e delle dittature: Siria, Nigeria, Eritrea, Somalia, Gambia.
Arrivi in Italia da gennaio a giugno 2015. Fonte: Ministero dell’Interno
Gli interessi contrapposti. Il risiko che produce profughi
- Siria: Usa / Russia – Iran / Emirati (Qatar) / Turchia
- Libia: Francia – Italia – Usa – Regno Unito / Emirati
- Afghanistan e Iraq: Usa, paesi occidentali / arcipelago islamico
Le dittature o i conflitti endemici
I numeri parlano chiaro. Nel 2015 la maggior parte degli arrivi viene da zone di guerra dove gli interventi italiani e occidentali hanno prodotto danni irreparabili. Altro paese di provenienza è il Gambia, dove la dittatura locale non è stata mai interessata da nessuna azione diplomatica. Anzi, l’Italia vorrebbe stringere accordi per il rimpatrio. In Nigeria i conflitti etnici e religiosi non sono risolti, ma usati. L’importante, specie per l’Italia, è l’accesso alle risorse energetiche.

Se le potenze globali (Russia, Usa) e quelle regionali (Turchia, Iran, Emirati) ragionano anche in termini di potere e zone d’influenza, i paesi europei si limitano ad accaparrarsi risorse, senza una vera politica. Un misto tra risiko e Bismark per una generazione di diplomatici che non si è mai rinnovata.
Le guerre attuali non derivano da scontri tribali tra incivili ma da una serie di cause:
- la politica di potere dei paesi che vengono dalla guerra fredda (Usa e Russia con i rispettivi alleati), con le stesse logiche di contrapposizione del passato;
- l’azione degli emirati che dall’Iraq alla Siria, fino ai paesi del Nord Africa (ma anche alla Bosnia) vogliono espandere la loro zona d’influenza usando l’Islam;
- le politiche di potenze regionali come Turchia e Iran, che tendono a espandere le rispettive zone d’influenza.
Una caratteristica comune è il doppiogiochismo. Gli emirati sono nemici dell’Occidente ma anche partner commerciali. Le alleanze si formano e sfaldano in tempi brevi.
Un fattore chiave è il traffico d’armi. Ogni attore arma le proprie fazioni senza nessun controllo o limite. Infine, il consiglio dell’Onu. Le risoluzioni sono bloccate da veti incrociati stile “guerra fredda”.
I conflitti come quello siriano colpiscono famiglie normali, lavoratori, città dove si viveva in pace. Ma li abbiamo trattati con indifferenza e il razzismo che si riserva a quelli che “si ammazzano tra loro”.
Oggi dobbiamo cambiare rapidamente idea. Perché in un mondo globalizzato non esistono più problemi che non ci riguardano. È solo questione di tempo.
“Scappano dalle guerre”. Ma chi crea i conflitti?
La retorica umanitaria dice che i profughi fuggono da “guerre e persecuzioni”. Ma chi arma quei conflitti? Chi sostiene quei dittatori? Quali paesi ne destabilizzano altri per aumentare il proprio potere?
Possiamo dividerci sull’accoglienza e parlare solo dei problemi a valle. Possiamo occuparci solo degli effetti o consolarci con luoghi comuni come “le migrazioni sono inevitabili” oppure “aiutiamoli a casa loro”.
Possiamo evitare di riflettere sui motivi. Il silenzio sulle cause rafforza il “retropensiero” secondo cui loro “plebi da educare” e noi possiamo solo accoglierli o respingerli. Se siamo, a seconda dei casi, buoni o cattivi.
Oppure buoni interessati, magari con interessi nei centri d’accoglienza.
Le migrazioni nel Sud Europa degli ultimi tempi sono sempre meno dovute a motivi economici. Paesi come l’Italia e la Grecia non sono certo appetibili in questo momento. Basta guardare i numeri. In Italia si arriva (e spesso, si transita soltanto) soprattutto da pochi paesi. Oltre metà dei profughi arriva dai confilitti endemici e delle dittature: Siria, Nigeria, Eritrea, Somalia, Gambia.
Arrivi in Italia da gennaio a giugno 2015. Fonte: Ministero dell’Interno
Gli interessi contrapposti. Il risiko che produce profughi
Le dittature o i conflitti endemici
I numeri parlano chiaro. Nel 2015 la maggior parte degli arrivi viene da zone di guerra dove gli interventi italiani e occidentali hanno prodotto danni irreparabili. Altro paese di provenienza è il Gambia, dove la dittatura locale non è stata mai interessata da nessuna azione diplomatica. Anzi, l’Italia vorrebbe stringere accordi per il rimpatrio. In Nigeria i conflitti etnici e religiosi non sono risolti, ma usati. L’importante, specie per l’Italia, è l’accesso alle risorse energetiche.
Se le potenze globali (Russia, Usa) e quelle regionali (Turchia, Iran, Emirati) ragionano anche in termini di potere e zone d’influenza, i paesi europei si limitano ad accaparrarsi risorse, senza una vera politica. Un misto tra risiko e Bismark per una generazione di diplomatici che non si è mai rinnovata.
Le guerre attuali non derivano da scontri tribali tra incivili ma da una serie di cause:
Una caratteristica comune è il doppiogiochismo. Gli emirati sono nemici dell’Occidente ma anche partner commerciali. Le alleanze si formano e sfaldano in tempi brevi.
Un fattore chiave è il traffico d’armi. Ogni attore arma le proprie fazioni senza nessun controllo o limite. Infine, il consiglio dell’Onu. Le risoluzioni sono bloccate da veti incrociati stile “guerra fredda”.
I conflitti come quello siriano colpiscono famiglie normali, lavoratori, città dove si viveva in pace. Ma li abbiamo trattati con indifferenza e il razzismo che si riserva a quelli che “si ammazzano tra loro”.
Oggi dobbiamo cambiare rapidamente idea. Perché in un mondo globalizzato non esistono più problemi che non ci riguardano. È solo questione di tempo.
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La Spoon River dei braccianti