- Ottant’anni di colonie. E quel senso di superiorità che non scompare
- Sciara Sciat. Le deportazioni di Giolitti
- Quando Gheddafi voleva annettere le Tremiti
- Il colonialismo della Repubblica. La bonifica dei somali
Tutto comincia nel 1882, quando lo Stato liberale acquista la baia di Assab, in Eritrea, inizialmente occupata dalla società di navigazione Rubattino. Dal presidio sul Mar Rosso parte l’espansione coloniale, che a tutti gli effetti termina soltanto nel 1960 con la fine dell’amministrazione fiduciaria in Somalia.
C’è ovviamente una enorme differenza tra il possesso di un porto da parte del fragile Stato liberale, la proclamazione di un “impero” fascista e l’affiancamento di una entità africana da parte della repubblica appena nata. Ma non è sbagliato dire che il colonialismo italiano dura circa 80 anni.
Nonostante le differenze tra le varie fasi, rimane un filo rosso comune: quel senso di superiorità nei confronti dei colonizzati e allo stesso tempo, caso unico tra le potenze coloniali, l’autoassoluzione del proprio operato. Di qualunque aspetto.
Lo stato liberale ha commesso crimini in Africa come quello fascista
I crimini coloniali non sono esclusiva del fascismo. Neppure un delitto orribile come la deportazione di migliaia di libici alle Tremiti e a Ustica, iniziata nel 1911, fa parte della nostra memoria storica.
Lo scopo di questa serie è quello di riportare alla memoria una serie di fatti storici poco conosciuti ma altamente significativi. Così come analizzare la cultura con retroterra coloniale, per evidenziare reticenze e capire come è nato il luogo comune per eccellenza, quello degli italiani “brave persone”.
L’autoassoluzione
L’autoassoluzione e l’occultamento dei crimini non è soltanto una questione di memoria. Ha effetti molto concreti sull’oggi. Disegna il paese che siamo. Così, infatti, si perde l’effetto duraturo della mentalità coloniale sulle politiche dell’immigrazione e sul discorso pubblico che riguarda i migranti, specie quelli di origine africana.
Ma anche l’anticolonialismo è spesso superficiale.
Il colonialismo italiano non è l’assalto uniforme ad africani brava gente che vivevano in pace, ma un processo lungo, complesso e pieno di contraddizioni.
Riguarda alleanze coi colonizzatori, gruppi in lotta fratricida, imperi feudali, società pastorali, tradimenti da ambo le parti, alleanze e cambi di prospettiva, doppi giochi, viltà con una serie molto vasta di attori in campo. Solo a titolo di esempio, impero ottomano, tribù berbere, ascari eritrei, resistenti etiopi, eserciti imperiali etc.
Brava gente
Sostituire “italiani brava gente” con “africani brava gente” significa rimanere nel recinto di un approccio coloniale. Non ha senso neppure stimolare il senso di colpa sui crimini del passato, se non viene proiettato sul presente. La mentalità del colonialismo, in particolare l’inferiorizzazione e la contrapposizione “noi contro loro” – perdura infatti ancora oggi nell’immaginario italiano.
Con il passaggio alla Repubblica, non c’è nessuna cesura con la mentalità coloniale
Un elemento chiave è il passaggio alla Repubblica. Chiedendo l’amministrazione fiduciaria della Somalia, la classe politica uscita dal fascismo rinunciava a fare i conti con la mentalità coloniale e attribuiva al regime precedente tutti i crimini “africani”.
Purtroppo sia il personale impiegato che la mentalità “civilizzatrice” nei confronti della Somalia erano in piena continuità. Da allora è rimasto inalterato l’atteggiamento di auto-assoluzione.
“Non siamo razzisti” è il mantra che ci accompagna quando si parla di sbarchi, nuovi cittadini, migranti. Anche se in Italia il più longevo partito al potere – la Lega – si nutre di un immaginario direttamente collegato a quello nazista. A partire dall’idea che si è italiani per diritto di sangue.