ROMA – «L’Islam non è in grado di creare posti di lavoro in un’economia moderna. Per questo in Egitto c’è stato un grande cambiamento». Con questa frase Serge Telle, delegato dell’Eliseo per il Mediterraneo, introduce una nuova contrapposizione. Da un lato Francia e Inghilterra, dall’altro i paesi del Golfo come Qatar e Arabia Saudita (“Stati che oggi hanno un ruolo diverso rispetto a tre anni fa”). E nessuno gli ricorda che il “cambiamento” era in realtà un colpo di stato militare che ha affossato una rivoluzione.
Da un lato ci sono primavere, nuove costituzioni, dittatori in fuga, guerre civili, ondate di profughi e nuove generazioni che usano le reti per creare democrazie. Dall’altro, i soliti vecchi colonialisti che vedono nel Mediterraneo un incrocio di gasdotti e poco più.
Il nostro modello
«Noi dobbiamo imporre il nostro modello», continua Telle. E per noi intende i paesi capaci di pronto intervento, «perché l’Unione Europea è troppo lenta». Accanto a lui, Bernardino Leon da Malaga, rappresentante della Commissione per le regioni del Sud, non fa una piega. Telle spiega che gli stati del Golfo possono anche inondare di soldi i paesi usciti dalle “primavere” (cita 80 miliardi di euro portati in Egitto), ma quelli europei possono fare molto di più: imporre un modello educativo; creare posti di lavoro; assicurare l’istruzione a tutti; far fronte alle questioni sociali.
«Il mondo arabo deve riscoprire un’esperienza del X secolo», conclude il delegato di Hollande. «Il califfo di Bagdad aprì la casa della saggezza dove tutti i saperi venivano dibattuti. Se si vuole arrivare al mondo moderno bisogna correre tutti i rischi. Noi europei ci assumiamo il rischio della conoscenza. Finora non siamo stati capaci di dire a queste persone quello che sono».
Il dinamismo dei mercati emergenti
Il Mediterraneo rimane dunque uno scacchiere dove giocano gli adulti; i popoli che lo agitano bambini da accompagnare alla modernità. E se l’Unione Europea appare un grande apparato burocratico pensato solo per elargire fondi, il ruolo dell’Italia sembra ancora peggiore. Un paese in crisi di identità in attesa delle briciole. E delle decisioni altrui.
Almeno questo emerge dal Forum Internazionale «Per un nuovo Euromediterraneo», tenuto alla Camera dei Deputati lo scorso 23 gennaio. E appare piuttosto probabile che il Nord Africa, con la sua popolazione giovane e cosmopolita, tenderà a sostituire il Sud dell’Europa come riserva di manodopera e risorse (“L’Europa ha bisogno del dinamismo dei mercati emergenti”). Come accadde per il Meridione italiano, i mercati possono essere creati con forti investimenti strutturali da scambiare con braccia a basso costo. «Se non facciamo un’integrazione commerciale e democratica col Mediterraneo saremo un grande museo senza futuro», conclude Leon.
Si concludono gli ultimi interventi nella “prestigiosa” Sala della Regina di Montecitorio che ha ospitato l’incontro. Un pensiero ossessivo non vuole sparire: quanti profughi sono morti in mare durante le tre ore della conferenza?