narcotica

Narcotica

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Libro scritto da:   Alessandro Scotti
Un viaggio allucinato nei luoghi di produzione e smistamento della droga. Dalla Colombia all'Afghanistan, dalla Thailandia all'Africa occidentale. Il Triangolo d'oro, Medellin, Birmania, Caraibi, il confine pakistano. Storie e vicende che dimostrano come nella grande economia dei narcotici, alla fine, in pochi diventano miliardari. Per gli altri rimangono le catene della povertà  e la tentazione della dipendenza

In Tajikistan la polizia di frontiera non ha i soldi per le apparecchiature da radiografia, allora si ingegna con un finto pugno in pancia; se il sospettato ha inghiottito gli ovuli con la droga fa un salto indietro per la paura che gli scoppino nello stomaco, l’equivalente di una confessione firmata. In Afghanistan i coltivatori di oppio ringraziano Allah alla fine di ogni raccolto. Nei campi ai margini della giungla i campesinos colombiani sono stretti tra le “vaccinazioni” (il pizzo) dei guerriglieri e dei paramilitari e le micidiali fumigazioni dell’esercito finanziato ed addestrato dagli Stati Uniti. Nelle vie delle città le squadracce della “limpieza social” ammazzano a freddo tossici e senza casa.

Al confine del Pakistan i pasti liofilizzati della texana Halliburton sono la prova della “shock economy” descritta da Naomi Kein. A Bissau, l’oceano e la giungla africana permettono di vivere senza lavorare grazie a pesci abbondanti e frutti tropicali, ma si può lavorare senza vivere, perché anche i funzionari statali non sanno quando arriverà il prossimo stipendio.


Sono alcuni dei fotogrammi di Narcotica, un viaggio sorprendente condotto nei
luoghi di produzione della droga, dall’America Latina al Medio Oriente fino ai nuovi snodi africani.
“Ma queste foto sono davvero scattate in Colombia?”, dice un soldato di Bogotà di fronte ad alcuni scatti che ritraggono un paese in guerra, in cui il militare non riesce a riconoscere la propria nazione. E’ un indizio rivelatore della capacità di adattamento degli esseri umani, che in condizioni estreme danno vita all’economia più folle, violenta ed imprevedibile: quella degli stupefacenti.

Nella Colombia dove tutto è eccesso, “pesca miracolosa” è il nome metaforico dato al presidio di una città da parte dei paramilitari: i “pesci” possono essere i pochi averi dei coltivatori locali, oppure uno straniero, ottimo per un sequestro lampo, oppure un paio di taniche di gasolio prese ad un contadino che andava a fare rifornimento.
Nel paese degli eccessi può capitare di incontrare un boss del narcotraffico rinchiuso in galera che si arrangia vendendo Viagra ai carcerati in visita coniugale. Scarface è sempre il mito globale di ogni narcoboss, dall’America latina alla provincia di Napoli tutti sognano la villa dove Al Pacino sfida tutto e tutti. Onedollar o Usnavy  (conservando la pronuncia spagnola) sono i nomi che una madre filoamericana può dare al proprio figlio nato a Bogotà.


Oltre gli elementi di colore (ma quel “colore” che ha dato vita ad una
letteratura da premio Nobel) rimane la catena dei produttori di coca, contadini diventati relativamente benestanti nel decennio d’oro (gli anni ’80) e poi successivamente colpiti da tutti gli attori del perenne conflitto colombiano. Oggi, tolte le fluttuazioni del mercato, il caffé è pagato poco più della foglia di coca. Al livello poco più alto della piramide (il proprietario dei piccoli laboratori chiamati ‘cocinas’) il guadagno inizia a salire. Stesso discorso in Afghanistan, i coltivatori del papavero da oppio vivono a stento e non vedono neanche da lontano i tre miliardi di dollari del valore della loro produzione, che prenderà la strada di investimenti esteri: immobili di prestigio negli Emirati, immacolati conti bancari europei, traffico d’armi.

Quella del narcotrafficante, del resto, è una vera professione-mito, celebrata da decine di film, canzoni messicane, brani colombiani, leggende asiatiche. Ma per un boss ricco ci sono decine di spacciatori poveri destinati a morire con una siringa nel braccio, contadini alla fame, mediatori senza futuro. Tutta gente che sogna il vertice della piramide, come quelli che vogliono fare il calciatore o l’attore.
Ma la lotta è continua: i cartelli non ci sono più, e così è sparito il loro controllo territoriale e la capacità di imporre i prezzi. Le fumigazioni, condotte da spericolati piloti abili ad evitare la contraerea della guerriglia, sono protette dagli elicotteri dell’esercito e dai Black Hawk costruiti negli Stati Uniti. Alle armi si contrappone la fantasia, in quel mondo violento e magico dove il confine con la realtà è spesso molto sottile.
Tra le storie che i locali amano raccontare, quello di un furto di un camion che trasportava profilattici, il lavoro di una notte per coprire ad uno ad uno i papaveri da oppio, l’inutile fumigazione del giorno dopo, il raccolto seguente, il più gradito e gioioso della storia dell’agricoltura americana.

Mondi clandestini, incontri, scontri lungo le vie del narcotraffico. Il libro è il frutto di sei anni  trascorsi ripercorrendo le strade della merce più preziosa al mondo dall’Afghanistan alla Colombia, dai Carabi alla Birmania, dove la droga diventa allo stesso tempo strumento di sopravvivenza, ossessione, motivo di vita, merce di scambio ed infine ago della bilancia di delicati equilibri politici, specie tra Nord e Sud del mondo.
In Afghanistan l’oppio può diventare un anestetico alle sofferenze, in Asia le anfetamine sono promosse dalle stesse aziende per migliorare la produttività dei lavoratori. Gli intrugli segreti dei laboratori chimici nascosti nella giungla o nel deserto, le avventure dei mercenari salvati dai corvi, i torturatori licenziati dalla CIA ma con il fax in carcere nel cuore dell’Afghanistan, i trafficanti che si rimangiano le capsule che hanno appena defecato sono altri dettagli della leggenda delle droghe, raccontate da uno straordinario reportage, costruito peraltro con una solida base teorica.



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Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.

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