Al mercato con Aida

Al mercato con Aida

Una donna senegalese in Sicilia

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Libro scritto da:   Brigida Proto
Un racconto del Sud e dal Sud, basato su una indagine etnografica condotta da due donne, una siciliana e una senegalese, per riflettere sui mercati come nuove frontiere di democrazia in società urbane sempre più in affanno

I mercati urbani sono ancore di salvezza per un numero crescente di italiani e stranieri. Lo sa bene Aida Fall, una donna senegalese che ogni anno, da primavera ad autunno inoltrato, vende bigiotteria nei mercati in Sicilia: Portopalo, Gela, Noto, Vittoria, Catania ma anche Reggio Calabria.

Nel 2013, la ricercatrice Brigida Proto ha affiancato Aida nella sua attività per dare voce ai problemi quotidiani di una donna straniera al mercato, denunciare le discriminazioni di cui fa esperienza nel rapporto con clienti, colleghi e istituzioni, mostrare la forza e l’ironia della femminilità senegalese con cui riesce a superarli.

Senegal – Italia

Il libro inizia come un road movie, con il viaggio Sicilia – Africa in una vecchia Mercedes 200 grigia. La prima tappa è in autostrada, da Catania a Palermo. Poi in nave fino a Genova e in traghetto per Tangeri. Ancora 3240 chilometri da Tangeri a Dakar. L’autostrada c’è solo in Marocco. Poi è tutta strada nazionale a doppio senso. Il problema vero, però, sono quattro chilometri di pista al confine con la Mauritania, nel Sahara occidentale. E la corruzione dei poliziotti alle frontiere.
Ma Aida, la protagonista del libro, porta a termine come ogni anno la sua impresa. Tornare a casa, da sola, in auto.

La storia di Aida non è di quelle che siamo abituati a leggere. Non fugge dalla fame e dalla disperazione. È la vicenda di una donna che vuole determinare la sua vita. In Senegal ha un buon lavoro, addirittura un posto al ministero. Poi però divorzia col marito perché non ne condivide la mentalità (“Stare in casa ad aspettare non fa per me”), ma per una donna senegalese questo significa ricominciare da capo. Il suo obiettivo è permettere alla figlia di studiare in Francia e darle un futuro migliore.

Perché hai scelto di venire in Italia? “In Senegal vogliamo più bene a quelli che vengono in Italia. Seguono quelli che stanno in Spagna, Stati Uniti, ultimi quelli in Francia. Perché? Sono intellettuali e non possono guadagnare subito”.
Ma a volte prevale lo sconforto, per esempio durante le liti coi vigili urbani di Vittoria per il rispetto dei posti assegnati. “Non ce la faccio più. Il vigile non capisce niente ma vuole fare il padrone. Tornare in Senegal per ricominciare non è possibile, ma lì ero impiegata al ministero degli Interni. Sono andata via e ho perso il lavoro. Se tu sapessi cosa pensa la gente di trovare qua”, dice.

Ma anziché vergognarsi, si diverte quando le sue foto al mercato, ritratta come ambulante, circolavano a Dakar e scandalizzavano conoscenti che la ricordavano sempre elegante.

Catania

Cettina, una signora che fa da punto di riferimento per i senegalesi di Catania, riassume così il rispetto delle differenze: tu mangi thiebou yapp (il piatto tipico senegalese) e io spaghetti al pomodoro. La storia di Aida si svolge parallelamente a quella di tutta una comunità, arrivata già negli anni ’80 e insediata nel centro storico, tra le case diroccate, i fili elettrici a vista, i contatori, il buio degli androni, i grandi portoni di legno, i fregi barocchi sotto i balconi, i cinema porno in pieno centro, quel senso di decadenza e di splendore che ti fa pensare: come fai a integrarti in posto che somiglia così tanto a casa tua?

I problemi dei senegalesi non riguardano quindi l’ambiente quanto  le sanatorie, i documenti, i permessi, la burocrazia da Questura. Per il permesso di soggiorno come lavoratore autonomo serve una serie di adempimenti, tra cui dimostrare un reddito minimo di circa 5mila euro l’anno e l’idoneità dell’alloggio, per esempio regolari forniture di acqua e luce (a Catania però tante famiglie italiane avevano allacci abusivi).

Il rinnovo del permesso di soggiorno può essere un incubo. Si racconta di una domanda fatta a luglio, del prelievo delle impronte a dicembre e poi del permesso rilasciato dopo altri due mesi. Una pratica può rimanere ferma anche due anni: così il permesso arriva già scaduto. Nel frattempo non si può viaggiare in Europa. E per tornare a Dakar bisogna passare da Istanbul, sempre che lì venga accettata come valida la ricevuta di richiesta di rinnovo.

Un abitare itinerante

Come tanti senegalesi, anche Aida si dedica al commercio ambulante. La sua vita è segnata dagli spostamenti. Catania, Vittoria, Gela, Siracusa, Bronte, Avola, Comiso. Ritorna a Dakar nel periodo morto, tra gennaio e aprile. Va in Calabria per la stagione estiva.

I mercati funzionano così: paghi una licenza e occupi lo spazio pubblico, il passaggio di proprietà si registra da un notaio. Lo spazio è diviso in titolari di posteggio, spuntisti (chi occupa i posti rimasti liberi in quel determinato giorno), abusivi. Ogni singolo giorno di mercato si apre con i conflitti tra queste tre categorie. Gli arbitri, quelli che dovrebbero dirimere i conflitti, cioè vigili e “sindacalisti”, non sempre sono all’altezza del compito.

Il commercio ambulante è in crescita negli ultimi anni, non solo per merito degli stranieri ma soprattutto dei siciliani. È una risposta alla disoccupazione, al lavoro precario, all’illegalità. È un modo di guadagnarsi il pane senza sottostare allo sfruttamento delle imprese private e alla criminalità.

Cosa si vede dall’altra parte di una bancarella? Uno spaccato desolante. I tentativi di furto, per esempio, anche da parte di signore della classe media (accade a Reggio, a Vittoria, a Gela); poi le notti passate in macchina, la mattina a lavarsi dove capita, le strade dissestate percorse su una vecchia Mercedes. Poi, al mattino, colazione al bar; conquistarsi lo spazio, difenderlo dagli abusivi; montare l’ombrellone e il tavolo. Lo spazio è fondamentale. Una buona posizione significa buon guadagni. Un posto defilato vuol dire rimetterci anche i soldi della benzina per arrivare da Catania.

Il degrado di un territorio si riflette anche dalla giungla del mercato. Abusi più o meno grandi si registrano a Catania, Vittoria, Gela. A Reggio Calabria è un vero delirio. Spesso sono i senegalesi a chiedere il rispetto delle regole. “Da noi la donna non parla mai. Da te è diverso? Tornatene in Africa!”, dice un responsabile dell’assegnazione dei posti al mercato reggino. La subcultura locale appare ancora più conservatrice di quella africana. Ma soprattutto sarà la ribellione di Aida a scardinare quel misto di corruzione, tangenti e improvvisazione che scavalca le regole.

La vendita di bigiotteria attira ovviamente tante donne. Sono tre i tipi negativi di clienti. Donne villane (sminuiscono il valore della merce), truffaldine (contrattano fino allo sfinimento anche pochi centesimi) e ladre (rubano alla minima distrazione oppure prendono in prestito merce che poi noi pagano).
C’è anche una forma di razzismo in questi comportamenti da parte di altre donne? In qualche caso sì. Per alcuni, la donna nera è più stupida e debole, quindi da sottomettere.

Ambulanti, terminali dell’economia globale

La merce per il commercio ambulante viene dai grossisti cinesi, che tipicamente non rilasciano fattura. Alla fiera o luni – il grande mercato nel centro di Catania – ci sono botteghe cinesi in penombra, in genere gestite da donne. Si tratta dei terminali di un “opaco circuito internazionale”, merce sia contraffatta che regolare, prodotta nei villaggi di campagna e nei laogai, campi di lavoro forzato per dissidenti o ex tossicodipendenti costretti a 18 ore di lavoro al giorno.

I prodotti arrivano stoccati in container nei porti ritenuti più permeabili, Gioia Tauro, Genova, Taranto. Ma la vera porta d’ingresso resta Napoli. Catania, Napoli, Prato, Milano, Roma sono le città da dove partono le rimesse verso la Cina, ma anche le capitali dell’evasione fiscale. Al contrario, i venditori senegalesi sono sottoposti al vincolo fiscale per il mantenimento dello status giuridico. Cioè, se non pagano le tasse e non hanno tutto in regola, non posso rinnovare il permesso di soggiorno.

La politica

Le interazioni di Aida con gli altri senegalesi e con gli italiani antirazzisti sono illuminanti.
A una riunione in cui si organizzava un corteo, Aida osserva: “Io non so nulla dei miei diritti, prima dovrei capire. Perché manifestare adesso? Solo per il colore della mia pelle?”.

Poi osserva le divisioni all’interno della comunità: quelli che chiama “i vecchi saggi”, certi del loro status giuridico, sono contrari alle proteste perché temono la competizione con i giovani, se fossero stati regolarizzati.

I momenti più drammatici sono quelli delle sanatorie, quando c’è appunto la possibilità di regolarizzare i documenti. L’ultima è diventata una vera truffa. Per prima cosa era aperta solo al lavoro domestico. Così tanti dovevano mascherarsi come colf. A Catania, alcuni avevano consegnato 3mila euro al datore di lavoro che doveva regolarizzarli. Molti sono spariti con i soldi. Per i truffati non restava che l’autodenuncia, ma così ammettevano di essere irregolari che avevano presentato un contratto falso.

Infine, Aida vive con disagio quelle situazioni di compassione, quando ascolta discorsi generici sull’Africa, espressioni come “poverini”. Come a dire: vogliamo tanto sentirci buoni.

Scritture

Il metodo del libro è un’osservazione partecipante puntuale, sistematica. L’autrice vive insieme ad Aida l’esperienza dei mercati, dorme in macchina, monta tavoli e ombrelloni. Soprattutto prende appunti su tutto quello che vede e sente.

Probabilmente il metodo riflette l’esperienza internazionale dell’autrice, che ha vissuto tra l’altro a Chicago e Berlino, mantenendo – come si vede dal testo – solide radici catanesi.
Dal punto di vista teorico, Brigida Proto nota subito che lo straniero, facendo della mobilità la sua condizione fondamentale di vita, genera “territori di circolazione”. Nello specifico, “il mercato diventa un abitare itinerante”. Che sembra riflettere la condizione naturale del migrante, ma che invece sposa bene anche quella dei siciliani.



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