Le sezioni di Danimarca, Regno Unito e Norvegia dell’Ethical Trade Initiative hanno prodotto un rapporto molto dettagliato sul pomodoro italiano.
I risultati sono prevedibili, ma non le conclusioni. I lavoratori ricevono in media il 40% in meno rispetto alle soglie minime di legge. Buona parte della raccolta è caratterizzata da condizioni di grave sfruttamento. Il ruolo del caporalato è esteso.
Detto questo, si propone quello che la campagna #FilieraSporca ha chiesto ai produttori di arance.
Nel rapporto Eti suggerisce ai gruppi distributivi del Regno Unito di effettuare subito una mappatura delle loro catene di approvvigionamento, privilegiando le aree a maggior rischio di sfruttamento dei lavoratori migranti e realizzando una valutazione sui salari pagati e ore lavorate. Per questo motivo l’Eti ha predisposto dei questionari e dei documenti di controllo da inviare ai fornitori italiani di pomodoro (pagina 18-19 dello studio) nell’intento di responsabilizzare socialmente le aziende (ItaliaFruit).
In Italia, invece, la responsabilità sociale di impresa è un discorso per pochissimi. I media ripropongono articoli sempre uguali sugli effetti e ignorano le cause. Qui un recente esempio del Corriere della Sera su Rosarno, ma ce ne sarebbero tantissimi altri.