Alla rete del lavoro agricolo di qualità, promossa dal Ministero, hanno aderito circa 300 aziende. Una piccolissima percentuale, nonostante requisiti molto semplici per partecipare. Questo ennesimo fallimento dovrebbe portare a regole condivise e valide per tutti, non premi per pochi volontari
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Il ministro dell’Agricoltura ha comunicato che più o meno 300 aziende hanno aderito alla “Rete del lavoro agricolo di qualità”.
Secondo l’ultimo censimento Istat, in Italia ci sono circa 1 milione e 600mila aziende agricole. Al momento quindi, l’agricoltura “di qualità” rappresenterebbe lo 0,02 % del totale.
Eppure, i requisiti non erano particolarmente stringenti: non aver riportato condanne penali e sanzioni amministrative; essere in regola con contributi previdenziali.
Dunque, stando a questi numeri, praticamente tutta l’agricoltura italiana è fuori legge. Ovviamente non è così. Allora, forse, gli agricoltori sono diffidenti rispetto alle iniziative degli organi statali. E vedono queste autodichiarazioni come un invito a fare ulteriori controlli.
Dopo il fallimento di questa politica, lo Stato sta inviando un messaggio dalle conseguenze disastrose.
Esistono settori speciali, come l’agricoltura, diversi dagli altri
Nei settori speciali, le regole non valgono per tutti
Il rispetto delle regole avviene su base volontaria
Non è chiaro cosa accade per chi non le rispetta.
O si promuovono regole democratiche valide per tutti, e non solo per chi volontariamente decide di aderire, oppure si diffonde il messaggio che le leggi sono opzionali; che i controlli sono a campione e possono arrivare come arriva una grandinata, una disgrazia che si mette in conto; infine, che sfruttare è una necessità dettata dalla sopravvivenza.
Una indicazione di conservazione di cui non c’è assolutamente bisogno.
Lavoro agricolo di qualità. Regole per tutti o premi ai virtuosi?
Secondo l’ultimo censimento Istat, in Italia ci sono circa 1 milione e 600mila aziende agricole. Al momento quindi, l’agricoltura “di qualità” rappresenterebbe lo 0,02 % del totale.
Eppure, i requisiti non erano particolarmente stringenti: non aver riportato condanne penali e sanzioni amministrative; essere in regola con contributi previdenziali.
Dunque, stando a questi numeri, praticamente tutta l’agricoltura italiana è fuori legge. Ovviamente non è così. Allora, forse, gli agricoltori sono diffidenti rispetto alle iniziative degli organi statali. E vedono queste autodichiarazioni come un invito a fare ulteriori controlli.
Dopo il fallimento di questa politica, lo Stato sta inviando un messaggio dalle conseguenze disastrose.
O si promuovono regole democratiche valide per tutti, e non solo per chi volontariamente decide di aderire, oppure si diffonde il messaggio che le leggi sono opzionali; che i controlli sono a campione e possono arrivare come arriva una grandinata, una disgrazia che si mette in conto; infine, che sfruttare è una necessità dettata dalla sopravvivenza.
Una indicazione di conservazione di cui non c’è assolutamente bisogno.
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