La vigilanza. Quando il Tribunale scavalca i sindacati

  I provvedimenti della Procura di Milano nei confronti delle maggiori aziende di vigilanza sono un caso unico. Per i magistrati, è illegale il salario stabilito dai contratti nazionali se non garantisce una vita dignitosa
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Da un lato del tavolo, le aziende. Dall’altro, 100mila addetti della sicurezza. In mezzo, a difenderli, non c’è il sindacato. C’è la Procura di Milano. Un caso unico nella storia italiana.

Tutto inizia con una serie di provvedimenti di commissariamento datati luglio 2023. Le tre maggiori aziende del settore finiscono sotto amministrazione giudiziaria: MondialPol,  Cosmopol e Sicuritalia.

Dopo appena un mese, MondialPol aumenta gli stipendi del personale non armato “fino al 38%”. Così termina il provvedimento della magistratura.  Le altre fanno qualcosa di simile e la vicenda si conclude.

La prima difesa era improntata sulla legalità dei comportamenti: noi applichiamo i contratti nazionali firmati dalle maggiori organizzazioni sindacali.

In realtà è vero. Ma in alcune fasce contrattuali, il contratto prevedeva appena 5 euro lordi l’ora. Quanto prende il più sfruttato dei braccianti. Tuttavia, in apparenza, non c’è nessuna illegalità. Tutto perfettamente secondo le regole. Il contratto non è neppure etichettatile come “pirata”, perché in calce ci sono le firme dei maggiori sindacati italiani.

Il cortocircuito è stato risolto con un’iniziativa delle aziende, che “volontariamente” hanno alzato gli stipendi. Così sono state restituite ai proprietari, estinguendo le accuse.

Qualcuno ha commentato scandalizzato: la magistratura ha imposto una specie di riscatto. E poi cosa c’entrano col caporalato aziende che fatturano centinaia di milioni di euro, applicano i contratti e vincono appalti pubblici? Nell’immaginario corrente, infatti, i caporali stanno nei campi di pomodoro, le vittime sono “immigrati clandestini”.

Ma il diritto non si basa sui luoghi comuni. Così è la Cassazione stessa a decretare il 22 gennaio 2024: «La Costituzione pretende una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia».

La Costituzione pretende una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia

I provvedimenti di Milano si inseriscono quindi «in un progetto a lungo periodo della Procura nel tentativo di contrastare le nuove forme di caporalato, specie nei settori dove il contratto nazionale è garantito ma alle volte si hanno poi stipendi sotto il livello-soglia di povertà assoluta fissata dall’Istat».

Nonostante il “lieto fine”, la sensazione è quella di un grande fallimento. Il diritto penale, come accade ormai dagli anni ’90, fa da supplente alle mancanze della società civile, dei sindacati, della politica.

Basti penare che Cosmopol aveva vinto appalti in società pubbliche come Poste, Enel, Leonardo, Fiera di Milano. Ciò significa che l’azienda è stata selezionata nel rispetto delle procedure di legge, magari secondo il criterio del massimo ribasso.

Il nodo del contratto nazionale

La vicenda è quasi un punto di non ritorno. Prima esisteva una barriera, citata anche dalla legge 199 del 2016: il contratto nazionale di categoria.

Quando si configura il reato di sfruttamento? Nel momento in cui un lavoratore è pagato meno rispetto a quel documento. Con le aziende di vigilanza, questo parametro è miseramente crollato.

Un cortocircuito che è arrivato fino in Cassazione. Il punto è dirompente. In questo modo, la magistratura mette potenzialmente sotto accusa buona parte dell’economia italiana: quella che paga salari non idonei “a consentire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. E, in più, ricatta il lavoratore sfruttando il suo stato di bisogno.

Se da un lato c’è un pezzo di Stato che produce leggi basate sul precariato, l’intermediazione di manodopera, la riduzione dei controlli e la ricattabilità del lavoratore, dall’altro lato c’è un altro pezzo di Stato che afferma: i risultati di quelle leggi sono illegali.

Il luogo comune

Lo scenario del caporalato legato soltanto all’agricoltura del Sud è rapidamente cambiato da quando è in vigore la legge 199/2016. La norma è infatti uno strumento in mano alle Procure che permette di intervenire su qualunque tipo di sfruttamento, anche slegato dall’intermediazione; in ogni settore; su tutto il territorio nazionale.

Così si è arrivati, nel corso degli ultimi anni, alle indagini o all’amministrazione giudiziaria delle multinazionali Uber Eats, Ceva Logistics, Geodis, DHL, UPS.

Così come di importanti aziende italiane: BRT Bartolini, Mondo Convenienza, Grafica Veneta.

Gli inquirenti hanno aperto indagini anche sulla catena di fornitura di  Fincantieri, azienda a capitale pubblico.
Queste aziende non hanno necessariamente commesso reati e tutte le vicende si sono concluse positivamente, ovvero hanno sanato le situazioni finite sotto la lente delle Procure.

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Fino, per ultimo, all’azienda di moda Alviero Martini. In questo caso i magistrati hanno applicato un criterio innovativo: i marchio capofila è responsabile di quanto succede nei livelli inferiori, fosse pure un sottoscala dove donne sfruttate cuciono senza sosta. La classica scusante delle catene di approvvigionamento (“Non sappiamo cosa succede tra i nostri fornitori”) oggi non vale più.

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