
“Gli immigrati di Rosarno sono per la maggior parte irregolari. E finiscono inevitabilmente per alimentare anche il flusso criminale”. L’ex presidente della Camera, Pierferdinando Casini, politico navigato, arriva in Calabria per sostenere uno dei candidati alle comunali rosarnesi.
E rilascia dichiarazioni surreali. Ripetendo sostanzialmente quello che disse l’ex ministro Maroni nel 2011. L’idea che i migranti alimentano il flusso criminale è il classico luogo comune da “imprenditore della paura”. Particolarmente ridicolo in territori dove la criminalità non lascia spazi a nessuno. E offensivo nei confronti di quelle comunità che nel 2008 e nel 2010 hanno protestato con forza contro la ‘ndrangheta, rischiando in prima persona.
Anche l’idea che abbiamo di fronte dei “clandestini”, è smentita dai dati di Medu (Medici per i diritti umani), una Ong che da anni lavora su quel territorio: due migranti su tre sono regolari. Al contrario, sono gli italiani che non rispettano le regole: la maggior parte dei migranti lavora infatti in nero.
Basta una semplice analisi per scoprire che i migranti che lavorano nelle campagne del Sud possono essere divisi in tre categorie:
- i “profughi”
- gli “operai”
- i “napoletani”.
I primi provengono dall’“emergenza Nord Africa” del 2011 e dagli arrivi degli anni successivi. Vivono da tempo tra centri d’accoglienza, pratiche burocratiche per l’asilo, ricorsi e lavoro in campagna. Sono letteralmente incastrati nella burocrazia italiana e bloccati dai regolamenti europei. Molti, se potessero, andrebbero in paesi con maggiori opportunità, come quelli dell’Europa settentrionale.
Gli operai lavoravano nelle fabbriche del Nord e vivevano in normali appartamenti. Sono stati i primi a pagare la crisi e a cercare nuove opportunità in agricoltura.
La terza categoria è composta dagli africani che vivono nell’area di Castel Volturno (che chiamano genericamente “Napoli”) e si spostano stagionalmente per le raccolte, ma anche per organizzare piccole attività commerciali e servizi ai margini dei “ghetti”. Accanto a loro, ci sono sacche di irregolarità diffuse in tutte il Sud, per esempio magrebini che sono da molto tempo in Italia ma che non hanno avuto opportunità di regolarizzarsi, per esempio perché non sono rientrati in nessuna delle sanatorie. Oppure ancora, perché sono stati ingannati da truffatori che hanno permesso il loro ingresso con contratti di lavoro falsi, per poi abbandonarli al loro destino. Stessa cosa per molti lavoratori indiani.
Si arriva al paradosso per cui tra regolarità e cosiddetta clandestinità c’è una linea molto sottile, fatta di causalità, opportunità che si aprono e chiudono, leggi surreali e truffe.
L’esempio della Piana di Gioia Tauro-Rosarno, in Calabria, è estremamente significativo.
Come dicevamo, secondo i dati di Medu, che sostanzialmente coincidono con quelli di Emergency, due migranti su tre hanno il permesso di soggiorno e dunque sono perfettamente regolari.
In questa fase, quindi, la grande parte dei braccianti stranieri nelle campagne è formata da profughi e da cittadini europei, cioè bulgari e rumeni.
Eppure è facile, per ragioni brutalmente elettorali, riferirsi ai “clandestini”. Che evocano paure e alimentano insicurezze. Le stesse paure che portano da anni voti a politici mediocri. Ma che soprattutto ci deresponsabilizzano. Così, persino nelle zone dove la mafia ammazza i bambini e opprime la popolazione, possiamo prendercela col nemico venuto da fuori.