“Dove faccio la spesa per non favorire lo sfruttamento?” è una domanda giusta ma posta male. Perché presuppone una risposta individuale a un problema politico. Il libro “Lo sfruttamento nel piatto” elenca almeno undici soluzioni che possono risolvere il problema. Adesso
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Si parla di caporalato e grave sfruttamento in agricoltura ormai da trent’anni. Ad ogni denuncia, sempre più spesso segue la domanda: “E allora dove faccio la spesa?”.
Questa domanda parte da un presupposto sbagliato: quello secondo cui, di fronte a un problema di carattere generale, occorre cercare una soluzione individuale.
L’idea è il frutto avvelenato del “consumerismo”, la versione responsabile dell’ideologia liberale: da soli, di fronte a un bancone del supermarket, abbiamo un grande potere; votiamo facendo la spesa, etc…
I consumatori organizzati svolgono un ruolo positivo, ma la loro azione rimarrà marginale se non iniziamo a ragionare in termini politici. Per fare un esempio, una buona legge cambia le cose subito molto più del lavoro lento e sotterraneo di migliaia di persone.
La libertà del consumatore è condizionata dal contesto, non è mai una libertà assoluta
In realtà da soli non decidiamo nulla, perché le nostre scelte individuali sono condizionate. Non basta “prendere coscienza”. Occorre disponibilità finanziaria e di tempo. Occorre una libertà effettiva, sostanziale.
È giunto il tempo di ragionare su risposte politichea problemi politici. Risposte che derivano da lungo e costante lavoro di associazioni, sindacati, ricercatori, reti di produttori e acquirenti. Un lavoro che dura da anni e che qui è stato soltanto raccolto insieme.
Per i braccianti
Salario minimo dignitoso
1. Il produttore sfrutta i braccianti perché “schiacciato“ dai soggetti forti della filiera? Se avesse più soldi, automaticamente pagherebbe paghe giuste? È la teoria liberista del trickle-down, lo sgocciolamento dall’alto verso il basso. Più ricchi saranno i ricchi, meno poveri saranno i poveri. La realtà è molto diversa. Anziché aspettare le gocce dall’alto, meglio puntellare il ”pavimento”. Per esempio con un salario minimo orario sotto il quale non si può scendere. La filiera non regge? Si cambierà la filiera, non le persone.
Divieto di ogni forma di caporalato, comprese le forme oggi legali
2. Il subappalto a cooperative spurie o “senza terra” è una delle forme più ricorrenti di caporalato mascherato. Nelle vendemmie è una pratica consueta. Al contrario, deve essere affermata la responsabilità in solido in tutta la filiera. Subappaltare non significa scaricare costi, obblighi e responsabilità sugli altri livelli.
Riforma dell’indennità di disoccupazione
3. Capita spesso che il welfare previsto per i braccianti finisca a chi nei campi non va mai. Al contrario, bisogna cancellare truffe e abusi e assegnare l’indennità di disoccupazione a chi lavora realmente, anche se si tratta di un migrante. Inoltre, bisogna combattere il lavoro grigio con una riforma delle giornate lavorate. L’attuale sistema permette di “aprire un ingaggio” e di aggiungere a posteriori le giornate solo in caso di controlli.
Liste di prenotazione e collocamento pubblico
4. Le liste di prenotazione possono affermare la centralità del collocamento pubblico in agricoltura, sostituendo le forme private che sfociano nel caporalato.
Per le imprese
Pac condizionata a criteri etici
5. La PAC è il più grande programma al mondo di sostegno all’agricoltura. Rappresenta la prima voce del bilancio dell’Unione. Eppure i fondi europei sono concessi senza alcun controllo sui salari minimi e sulle condizioni di lavoro, abitative e di sicurezza.
Etichetta narrante
6. È fondamentale che le imprese abbiano l’obbligo di un’etichetta “narrante” che indichi almeno la composizione del prezzo, gli indici di congruità, i passaggi della filiera.
Corsie alternative alla GDO
7. Le imprese lamentano giustamente lo strapotere della grande distribuzione, che riesce a imporre prezzi al ribasso. Ma non vanno oltre il lamento oppure utilizzano la consueta scorciatoia: rifarsi comprimendo il costo del lavoro. Una buona soluzione potrebbe essere creare sbocchi alternativi per i produttori agricoli ripristinando la corsia diretta Op – mercati generali – mercati rionali. Oltre che rendere effettivo il divieto di vendita sottocosto, previsto solo sulla carta.
Da parte dello Stato
Ispezioni tramite indice di congruità
8. L’indice di congruità incrocia la quantità di prodotto di un’azienda con i contributi pagati ai lavoratori. È un controllo relativamente semplice che può ridurre gli abusi più gravi.
Mano pubblica etica
9. La domanda pubblica può orientare le produzioni premiando eticità, rispetto ambientale e qualità. Mense scolastiche e universitarie, quelle degli enti pubblici e degli ospedali dovrebbero basare i loro acquisti su questi principi. Allo stesso tempo, buoni pasto e buoni spesa non dovrebbero essere spendibili soltanto nei supermercati, ma in tutti gli altri punti di distribuzione, GAS compresi. Il cibo etico deve diventare normale.
Accoglienza diffusa e mediazione abitativa
10. I ghetti sono visti come il problema, anziché come la spia che segnala il problema. L’approccio umanitario-emergenziale è sempre quello prevalente. Sono poche le esperienze di mediazione abitativa, orientate a ripopolare i borghi rurali. Eppure andrebbe perseguita come la strada principale.
Politica aperta di rilascio dei documenti
11. Il lavoratore sfruttato è quello più ricattabile. Paradossalmente, è proprio lo Stato a rendere deboli i braccianti. La politica dei dinieghi sui permessi soggiorno crea enormi bacini di manodopera marginalizzata, sfruttabile e debole. Rilasciare documenti per tutti i migranti è il primo passo per invertire la rotta.
Quello che non bisogna fare
L’approccio sistemico è il contrario delle idee che capovolgono la realtà. Tra queste sono da segnalare:
– la rete del lavoro agricolo di qualità e la concezione premiale dell’eticità d’impresa. Lo sfruttamento è già reato per legge, dunque perché premiare chi rispetta le regole? Perché creare un albo delle imprese corrette? Pagare un giusto salario è un presupposto, non un traguardo;
– le ipotesi riduzioniste, per esempio pensare al caporalato come una serie di bande paramafiose che inquinano il mercato. Questo significa ignorare che è il mercato stesso a richiedere figure come i caporali;
– l’etnicizzazione e la visione paternalista e “miserabilista” dell’immigrazione; i migranti non sono il problema, sono semplicemente la fascia più debole e ricattabile del mercato del lavoro; se domani sparissero, non sparirebbe certo lo sfruttamento in Italia;
– il vittimismo degli imprenditori e l’idea dello sfruttamento per necessità: chi sfrutta è costretto a farlo? Falso. Ma anche se fosse vero, rifarsi sul più debole è cannibalismo, non una soluzione;
– il circolo vizioso tra “imprenditori illuminati”, esempi positivi e buone pratiche. Dobbiamo affrontare l’aspetto sistemico del problema. Poche eccezioni positive servono solo a coprire tutti gli altri.
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne. Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti. Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.
Ricominciano le presentazioni del libro! Resta aggiornato per conoscere le prossime date
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La parte positiva. Risposte politiche al caporalato
Si parla di caporalato e grave sfruttamento in agricoltura ormai da trent’anni. Ad ogni denuncia, sempre più spesso segue la domanda: “E allora dove faccio la spesa?”.
Questa domanda parte da un presupposto sbagliato: quello secondo cui, di fronte a un problema di carattere generale, occorre cercare una soluzione individuale.
L’idea è il frutto avvelenato del “consumerismo”, la versione responsabile dell’ideologia liberale: da soli, di fronte a un bancone del supermarket, abbiamo un grande potere; votiamo facendo la spesa, etc…
I consumatori organizzati svolgono un ruolo positivo, ma la loro azione rimarrà marginale se non iniziamo a ragionare in termini politici. Per fare un esempio, una buona legge cambia le cose subito molto più del lavoro lento e sotterraneo di migliaia di persone.
In realtà da soli non decidiamo nulla, perché le nostre scelte individuali sono condizionate. Non basta “prendere coscienza”. Occorre disponibilità finanziaria e di tempo. Occorre una libertà effettiva, sostanziale.
Nel libro “Lo sfruttamento nel piatto” ho provato a mettere insieme una serie di possibili risposte.
È giunto il tempo di ragionare su risposte politiche a problemi politici. Risposte che derivano da lungo e costante lavoro di associazioni, sindacati, ricercatori, reti di produttori e acquirenti. Un lavoro che dura da anni e che qui è stato soltanto raccolto insieme.
Per i braccianti
Salario minimo dignitoso
1. Il produttore sfrutta i braccianti perché “schiacciato“ dai soggetti forti della filiera? Se avesse più soldi, automaticamente pagherebbe paghe giuste? È la teoria liberista del trickle-down, lo sgocciolamento dall’alto verso il basso. Più ricchi saranno i ricchi, meno poveri saranno i poveri. La realtà è molto diversa. Anziché aspettare le gocce dall’alto, meglio puntellare il ”pavimento”. Per esempio con un salario minimo orario sotto il quale non si può scendere. La filiera non regge? Si cambierà la filiera, non le persone.
Divieto di ogni forma di caporalato, comprese le forme oggi legali
2. Il subappalto a cooperative spurie o “senza terra” è una delle forme più ricorrenti di caporalato mascherato. Nelle vendemmie è una pratica consueta. Al contrario, deve essere affermata la responsabilità in solido in tutta la filiera. Subappaltare non significa scaricare costi, obblighi e responsabilità sugli altri livelli.
Riforma dell’indennità di disoccupazione
3. Capita spesso che il welfare previsto per i braccianti finisca a chi nei campi non va mai. Al contrario, bisogna cancellare truffe e abusi e assegnare l’indennità di disoccupazione a chi lavora realmente, anche se si tratta di un migrante. Inoltre, bisogna combattere il lavoro grigio con una riforma delle giornate lavorate. L’attuale sistema permette di “aprire un ingaggio” e di aggiungere a posteriori le giornate solo in caso di controlli.
Liste di prenotazione e collocamento pubblico
4. Le liste di prenotazione possono affermare la centralità del collocamento pubblico in agricoltura, sostituendo le forme private che sfociano nel caporalato.
Per le imprese
Pac condizionata a criteri etici
5. La PAC è il più grande programma al mondo di sostegno all’agricoltura. Rappresenta la prima voce del bilancio dell’Unione. Eppure i fondi europei sono concessi senza alcun controllo sui salari minimi e sulle condizioni di lavoro, abitative e di sicurezza.
Etichetta narrante
6. È fondamentale che le imprese abbiano l’obbligo di un’etichetta “narrante” che indichi almeno la composizione del prezzo, gli indici di congruità, i passaggi della filiera.
Corsie alternative alla GDO
7. Le imprese lamentano giustamente lo strapotere della grande distribuzione, che riesce a imporre prezzi al ribasso. Ma non vanno oltre il lamento oppure utilizzano la consueta scorciatoia: rifarsi comprimendo il costo del lavoro. Una buona soluzione potrebbe essere creare sbocchi alternativi per i produttori agricoli ripristinando la corsia diretta Op – mercati generali – mercati rionali. Oltre che rendere effettivo il divieto di vendita sottocosto, previsto solo sulla carta.
Da parte dello Stato
Ispezioni tramite indice di congruità
8. L’indice di congruità incrocia la quantità di prodotto di un’azienda con i contributi pagati ai lavoratori. È un controllo relativamente semplice che può ridurre gli abusi più gravi.
Mano pubblica etica
9. La domanda pubblica può orientare le produzioni premiando eticità, rispetto ambientale e qualità. Mense scolastiche e universitarie, quelle degli enti pubblici e degli ospedali dovrebbero basare i loro acquisti su questi principi. Allo stesso tempo, buoni pasto e buoni spesa non dovrebbero essere spendibili soltanto nei supermercati, ma in tutti gli altri punti di distribuzione, GAS compresi. Il cibo etico deve diventare normale.
Accoglienza diffusa e mediazione abitativa
10. I ghetti sono visti come il problema, anziché come la spia che segnala il problema. L’approccio umanitario-emergenziale è sempre quello prevalente. Sono poche le esperienze di mediazione abitativa, orientate a ripopolare i borghi rurali. Eppure andrebbe perseguita come la strada principale.
Politica aperta di rilascio dei documenti
11. Il lavoratore sfruttato è quello più ricattabile. Paradossalmente, è proprio lo Stato a rendere deboli i braccianti. La politica dei dinieghi sui permessi soggiorno crea enormi bacini di manodopera marginalizzata, sfruttabile e debole. Rilasciare documenti per tutti i migranti è il primo passo per invertire la rotta.
Quello che non bisogna fare
L’approccio sistemico è il contrario delle idee che capovolgono la realtà. Tra queste sono da segnalare:
– la rete del lavoro agricolo di qualità e la concezione premiale dell’eticità d’impresa. Lo sfruttamento è già reato per legge, dunque perché premiare chi rispetta le regole? Perché creare un albo delle imprese corrette? Pagare un giusto salario è un presupposto, non un traguardo;
– le ipotesi riduzioniste, per esempio pensare al caporalato come una serie di bande paramafiose che inquinano il mercato. Questo significa ignorare che è il mercato stesso a richiedere figure come i caporali;
– l’etnicizzazione e la visione paternalista e “miserabilista” dell’immigrazione; i migranti non sono il problema, sono semplicemente la fascia più debole e ricattabile del mercato del lavoro; se domani sparissero, non sparirebbe certo lo sfruttamento in Italia;
– il vittimismo degli imprenditori e l’idea dello sfruttamento per necessità: chi sfrutta è costretto a farlo? Falso. Ma anche se fosse vero, rifarsi sul più debole è cannibalismo, non una soluzione;
– il circolo vizioso tra “imprenditori illuminati”, esempi positivi e buone pratiche. Dobbiamo affrontare l’aspetto sistemico del problema. Poche eccezioni positive servono solo a coprire tutti gli altri.
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Il libro
La Spoon River dei braccianti
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.