Una recluta entra in camerata. All’improvviso, e senza una ragione plausibile, gli anziani lo circondano. Dopo una breve discussione lo prendono a calci e pugni. Un colpo all’inguine, più violento degli altri, costa al ragazzo la perdita di un testicolo e due settimane di permanenza all’ospedale di Bologna. Il luogo dell’aggressione è la scuola dei paracadutisti di Pisa, meglio nota come campo d’addestramento della brigata Folgore.
La vicenda risale all’aprile del 1998, e si ricollega ad un episodio simile accaduto il mese prima nello stesso posto: un ragazzo che aveva rifiutato il “pizzo” di sigarette ai nonni viene costretto a bere un bicchiere di urina. I genitori denunciano il fatto e i due casi costano il posto al colonnello Enrico Nardi, comandante della Scuola di Paracadutismo Militare (Smipar).
Il ministro della Difesa Andreatta aveva annunciato un criterio chiaro ed inequivocabile, un automatismo: “Se le informazioni sui soprusi vengono da fonti diverse dai comandi, i comandanti verranno rimossi”.
Il generale Pierluigi Bortoloso, comandante della Regione Tosco-emiliana, ammette che “ci sono stati episodi di nonnismo a Pisa, cose non gravi, che succedono anche nelle scuole e nei collegi”, ma “l’Esercito ha sempre combattuto questo tipo di cose”.
La “linea dura” di Andreatta parte da un episodio accaduto ad Anzio: i nonni aggrediscono una recluta, la provocano ripetutamente: l’inseguimento si interrompe contro una vetrata. Davide Macera subisce un intervento all’addome per rimuovere le schegge dei vetri, ed il generale di brigata Granatiero viene rimosso.
Il telefono “grigio-verde” avviato da un paio di anni per iniziativa del senatore De Luca ha permesso di evidenziare svariati soprusi, che possono essere divisi nelle seguenti categorie: intimidazioni, taglieggiamenti sulle paghe, vessazioni psicologiche, atti di violenza fisica ed a sfondo sessuale.
Tra le denunce e le cronache dei quotidiani è possibile tracciare una panoramica significativa della quotidianità delle caserme: nella “Pisano” di Capo Teulada, vicino Cagliari, un soldato ha subito violenza sessuale da un commilitone ubriaco (ottobre 97); ad un altro hanno incendiato il materasso mentre dormiva (marzo 98); altre aggressioni ad Anzio e nelle caserme fiorentine “Perrotti” e “Gonzaga”, dove ha sede tra gli altri uno dei battaglioni della Folgore (aprile 98). Nello stesso periodo, quattro nonni accendono due candele ai piedi di un commilitone nella “Ruffo” di Roma, teatro nel ’95 della misteriosa morte di Claudio Leonardini, un granatiere volato giù da una terrazza della caserma. Il pm parlò di nonnismo e di omicidio preterintenzionale, chiese diversi anni di carcere per il comandante e per alcuni commilitoni, ma tutto finì in assoluzione.
Molte violenze sono segnalate tra gli alpini. Presso il reggimento di Borgo San Dalmazzo, un tenente di compagnia avrebbe detto ad un soldato “vuoi ballare ?”e quindi gli sparò al piede. Il prezzo dello “scherzo” fu un intervento chirurgico con innesto osseo. Nella caserma Maricentro di La Spezia un giovane cagliaritano, studente di ingegneria, è stato sottoposto a vessazioni di tutti i tipi, tra cui il gioco della moneta: fermare con la testa cento lire che scivolano lungo la parete. Uno degli aspetti più raccapriccianti sono i riti tribali, spesso a sfondo sessuale. In una caserma torinese un ragazzo è stato costretto a masturbarsi davanti a tutta la camerata, che urlava e gli sputava addosso.
Molte telefonate al numero “grigioverde” del senatore De Luca rimangono anonime e sono effettuate al termine del servizio, per evitare ritorsioni. Non solo da parte dei nonni, ma anche delle stesse strutture militari. Un giovane in servizio presso l’XI battaglione autocarri di Roma è oggetto di schiaffi, scherzi, sopraffazioni. Viene persino filmato con una telecamera portatile durante i soprusi. Alla fine, dopo il ricovero all’ospedale del Celio, il colpevole è lui: congedato come “soggetto a crisi d’ansia”. Non si tratta di un caso isolato. E i danni prodotti dalle violenze non si fermano alla data del congedo. Una donna di Pinerolo racconta del figlio congedato cinque anni fa “per motivi psicologici”: “Ancora oggi si sveglia la notte urlando che non vuole fare il militare”.
Le vittime delle caserme: alcuni tra gli episodi più gravi di violenza
marzo 95
Un giovane paracadutista si suicida a Chiavari in seguito alle sopraffazioni dei nonni.
luglio 95
Claudio Fausto Leonardini muore nella caserma “Ruffo” di Roma in circostanze misteriose, dopo un volo da una terrazza. Aveva denunciato le violenze su un collega ferito dai nonni. Il processo si è chiuso con una assoluzione generale.
marzo 97
Nella caserma “Medici” dei carabinieri di Milano alcuni ausiliari in congedo versano cera bollente sulla schiena di una recluta incappucciata. Tutti assolti dalla Procura militare di Torino.
maggio 97
Giovanni Catalano viene colpito con un pugno allo stomaco in una caserma di Bologna. Gli viene asportata la milza.
luglio 97
Un sottotenente viene ferito gravemente a Torino con cera fusa versata sulla schiena.
luglio 97
Giovanni Sannino viene torturato col tubo di un compressore nella caserma Lamarmora di Torino. L’aria compressa gli danneggia il retto e l’intestino. Gli viene asportato il colon.
agosto 98
In una caserma di Firenze un giovane è brutalmente percosso dagli anziani. Il soldato ha avuto la milza spappolata.
agosto 99
Emanuele Scieri muore in circostanze misteriose nella caserma Gamerra di Pisa.
Solo nel 1995, 220 soldati hanno lasciato la vita in caserma. I dati provengono direttamente dal Ministero della Difesa: 15 suicidi, 93 incidenti, 60 casi di malattie.
Di recente, il ministro Scognamiglio ha annunciato che i reati di percosse, lesioni personali, ingiurie e minacce saranno perseguibili anche a querela della persona offesa, mentre al momento l’articolo 260 del codice militare di pace permette il perseguimento di questi reati solo dopo la querela del Comandante. I diritti costituzionali non sono quindi in vigore all’interno delle mura delle caserme. In realtà, già una proposta di legge dello scorso anno avanzava queste richieste, ma è rimasta lettera morta, nonostante fosse stata proposta da un parlamentare della maggioranza di governo.
Giustizia per Lele !
“Troppo labile è il confine tra la burla e la sopraffazione, quindi niente sarà più tollerato”: è la solenne dichiarazione anti-nonnismo dei generali dell’esercito italiano. Siamo all’otto ottobre dello scorso anno e il ministro della Difesa Andreatta annuncia il “pugno di ferro” contro i soprusi in caserma.
La notte tra il 13 ed il 14 agosto del 1999 Emanuele Scieri precipita per sei – sette metri da una torre usata abitualmente per mettere ad asciugare i paracadute.
Il quotidiano “La Sicilia” ha pubblicato uno schema che riassume le ‘piste’ seguite dalla magistratura per risolvere il “mistero” della “Gamerra” di Pisa.
La prima tesi è quella del suicidio. L’unico argomento a favore è rappresentato dagli antidepressivi trovati nell’armadietto. Ma la tesi è contraddetta dalle tracce organiche (sangue ?) ritrovate sulla scala a chiocciola della torre, dalla posizione supina del cadavere. Ed ancora le ecchimosi e le lesioni da taglio sulle mani, le scarpe slacciate, le impronte lasciate sul muro della torre sono incompatibili con il gesto del suicidio.
Seconda pista: la sfida con se stesso. Emanuele avrebbe provato a risalire la scala con la sola forza delle braccia, per mettersi alla prova in vista degli imminenti test. Ma è insensato pensare che il ragazzo abbia deciso di arrampicarsi appena arrivato – era la sua prima sera a Pisa – e proprio a tre quarti d’ora dal contrappello in camerata, per di più al buio e su una struttura a lui ignota.
Ultima ipotesi: un atto criminale di nonnismo. A favore, le lesioni riscontrate sul cadavere, le tracce sul muro della torre, le provocazioni ricevute durante il trasferimento in camion dalla caserma “Lupi di Toscana” fino a Pisa. Contro questa pista, l’assenza di testimonianze.
“La Sicilia in confronto a quella caserma è la Svizzera”, ha detto Ettore Randazzo, legale della famiglia Scieri e autore della denuncia-querela contro i militari della Folgore per omicidio, omissione di soccorso e istigazione a delinquere. “Senza l’omertà registrata nelle caserme si arriverebbe prima alla soluzione di tutta la vicenda”.
Il 16 settembre si svolge un serrato confronto tra parlamentari e governo sul caso Scieri. Il ministro Scognamiglio afferma che contro la Folgore non sarà preso nessun provvedimento, che il generale Celentano è rimasto al suo posto perché ogni atto contro di lui sarebbe equivalso ad una condanna, infine che sarebbe autolesionistico per il paese privarsi di un “corpo scelto” di tale livello.
La conclusione è sconcertante semplicemente: sarà l’esercito professionale da mille miliardi l’anno – così come previsto dal “nuovo modello di difesa” – la soluzione per sconfiggere definitivamente il nonnismo.
E intanto 40 uomini della Folgore costituiscono il contributo italiano alla “forza internazionale di pace” inviata a Timor Est.
Un corpo scelto
Andrea Iob all’epoca aveva 23 anni e pieno di entusiasmo era partito dal Friuli per andare alla scuola di addestramento della Folgore. Un manico di scopa scagliatogli in faccia da un commilitone gli costò la perdita di un occhio. I genitori presentarono al ministero della Difesa una richiesta di indennizzo. Eravamo nel 1993. E da allora nessuno si è fatto vivo.
Fabrizio Falcioni è rimasto impiccato nel paracadute durante un rischiosissimo lancio a tecnica rapida, il 26 ottobre del ’94. Nel giro di un anno, e nello stesso modo, sono morti i diciannovenni Claudio Cappellini e Claudio Triches. L’uscita rapida è una invenzione del generale Loi, il capo della spedizione somala finito sotto processo a Lucca proprio per queste morti.
Charlie Barnao è un palermitano finito nella Lamarmora di Siena, sede del 186.mo Reggimento paracadutisti Folgore. Ha raccolto in un diario la cronaca dei mesi trascorsi in caserma: l’obiettivo degli ufficiali è creare paracadutisti “massicci e incazzati”, ed a questo scopo lasciano le finestre aperte di notte anche in febbraio, picchiano e aggrediscono le reclute, e predispongono esercitazioni al limite del sadismo, a partire dalla “pompa”, le flessioni con le spalle appesantite dall’attrezzatura da lancio.
In realtà il caso Scieri è solo l’ultimo ed il più grave di una lunga, infinita, serie. I due episodi che sono costati il posto al comandante Nardi nell’aprile dello scorso anno avevano riproposto l’emergenza Folgore. Da allora nessuno ha più parlato della questione, finché un giovane siracusano è precipitato da una torre – asciugatoio della caserma “Gamerra” di Pisa.
“Emanuele Scieri viene trovato morto tre giorni dopo la sua scomparsa” ricorda Falco Accame, fondatore dell’”Associazione assistenza vittime arruolate nelle Forze Armate”. “O le ronde non sono state fatte o non sono state capaci di individuare il giovane. Il corpo di guardia poi non è stato in grado di dire se Emanuele era uscito oppure no. Infine dopo il contrappello delle prima sera – posto che sia stato fatto – è stata attivata un’immediata azione notturna di ricerca ?”.
Secondo Calogero Cirneco, comandante della “Gamerra”, le ronde sono passate accanto al corpo senza accorgersi di nulla. E qualcuno avrebbe effettuato dei lavori nei pressi della torre, il mattino dopo, ma anche in questo caso non videro.
Alla fine, a rimetterci è stato Cirneco, rimosso per placare l’ondata di indignazione. “Il sottosegretario alla Difesa Massimo Brutti” ricorda ancora Accame, “era intervenuto con decisione ottenendo la rimozione del generale Celentano, comandante della Folgore ed autore di quella schifezza razzista che è lo Zibaldone – stampato e distribuito a spese del contribuente. Il ministro Scognamiglio l’ha smentito. Brutti avrebbe dovuto dimettersi, per la sua dignità”.
Un gruppo di fascisti, un pugno d’esaltati
Alle sei e mezzo c’è l’alzata (“Sveglia porco Dio ! Giù dalle brande cani morti !”: dal diario di Barnao). Seguono le pulizie personali, la colazione, l’adunata e l’alzabandiera alle otto: “inno nazionale cantato obbligatoriamente a squarciagola, discorso del comandante Celentano inneggiante ai ‘tempi che furono’. E’ il rituale fascista di ogni giorno”.
Poi comincia l’addestramento, che dura fino alle quattro del pomeriggio, interrotto da una pausa a metà mattina e da un’altra interruzione per il pranzo. Dalle cinque i soldati sono in libera uscita, con l’obbligo di rientrare entro le 23. Chi vuole può fermarsi in caserma, attrezzata anche per il tempo libero con cinema, palestra, pizzeria. E’ questa la giornata-tipo alla Folgore.
“Dalle cinque del pomeriggio fino alle otto della mattina seguente in tutte le caserme della Repubblica è difficile trovare un numero sufficiente di ufficiali e sottufficiali” osserva ancora Accame. “E’ chiaro, allora, che i nonni esercitano in qualche modo un ruolo di controllo”.
Ecco un episodio, raccontato nuovamente da Barnao, estremamente istruttivo: “Il caporale di giornata ci porta marciando al refettorio. Il canto di oggi è ‘come folgore dal cielo’. Arrivati ad una ventina di metri dalla porta ci ritroviamo di fianco all’Undicesima Peste anch’essa in marcia. Nelle manovre di avvicinamento ce la troviamo di fronte e nessuno dei due caporali di giornata che guidano le rispettive compagnie accenna a cambiare direzione. Ci incrociamo ed è lo scontro. Volano calci e pugni. Si sa, nessuno può passare impunemente tra i ranghi di una compagnia in marcia. E tutti sappiamo di non rischiare alcuna punizione per quello che sta accadendo. I quadri dei paracadutisti guardano con benevolenza questi sfoghi, anche violenti, simbolo di un sano spirito competitivo tra le diverse compagnie”.
Barnao conferma che “paracadutisti si rimane per tutta la vita”. In altre parole, dopo il congedo, organizzazioni paramilitari di estrema destra contattano quelli che sono passati dalla caserme della Folgore per attività “ricreative e addestrative”.
Il 18 dicembre del ’98 il generale Celentano stampa su carta intestata del “Comando Brigata Folgore” un manuale delle torture (bicicletta: alcol spruzzato sui piedi e incendiato; sbrandamento: il militare che dorme viene scaraventato a terra; e così via) e numerosi spunti di riflessione (l’Italia finisce in “Padania”, il resto è “continente nero”, i terroni devono morire; i ministri sono incapaci, i neocomunisti distruggono la gerarchia con l’obiezione di coscienza; e così via).
Lo “Zibaldone” viene spedito da Celentano a tutti i comandi paracadutisti della Toscana, con tanto di numero di protocollo. Non si tratta dunque di un centinaio di fogli clandestini, ma di un documento ufficiale dell’Esercito italiano. In uno Stato democratico, quelle parole dovrebbero bastare e avanzare per la rimozione da ogni carica pubblica dell’autore, indipendentemente dal caso Scieri.
Il sito della Folgore è stato invaso da messaggi pro e contro. Difese basate su “onore e fedeltà” e insulti durissimi. Il fronte a difesa dei paracadutisti è formato principalmente da militari, esponenti della destra (in genere vicini ad Alleanza Nazionale), ma anche cappellani militari, politici progressisti ed esponenti del mondo economico.
Secondo don Battista Pellegrino, cappellano alla “Gamerra”, “la caserma è un’isola felice, c’è un clima quasi familiare, i ragazzi sono tranquilli e stanno come in albergo”. Monsignor Giuseppe Mani è ordinario militare, riveste cioè la più alta carica religiosa delle Forze Armate. Dice: “Non si può incriminare un’istituzione come la Folgore che si è sempre distinta per opere altamente meritorie”.
Massimo Brutti, sottosegretario Ds alla Difesa, pensa che “sulla Folgore, il giudizio del governo e del Paese è altamente positivo”. Il suo collega di partito, senatore Forcieri aggiunge che “l’ipotesi dello scioglimento è un’idea estremistica che favorisce l’arroccamento”.
Secondo il sindaco di Pisa, Paolo Fontanelli, “non c’è mai stata contrapposizione tra la Folgore e la città, fatta eccezione per il periodo a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Ma è storia passata. E adesso i militari portano ricchezza”. Convinta di questo assunto, la Confesercenti pisana ha distribuito un documento di solidarietà coi paracadutisti.
Scheda
Da Livorno a Mogadiscio mille e un motivo per sciogliere la Folgore
“Avrà avuto sei o sette anni quella bambina. Alcuni soldati le dicevano di spogliarsi e le tiravano un dollaro, per tre o quattro dollari potevano farle infilare dei bastoni raccolti per terra”. La testimonianza è di Andrea, paracadutista del “14.mo Pantere” della brigata Folgore in missione umanitaria in Somalia nel settembre – ottobre del ‘93.
Racconti e fotografie di uno dei peggiori crimini dell’esercito italiano: una giovane somala terrorizzata e circondata da soldati sghignazzanti. Un ragazzo somalo steso a terra, mentre il sergente Valerio Ercole inizia la tortura con gli elettrodi ai genitali, dopo averlo bagnato per rendere più violenta la scossa. E poi le immagini di una ragazza violentata ed ancora un giovane incappucciato, legato con lo spago e trascinato via come fosse un animale.
Le fotografie dei somali incaprettati furono pubblicate durante “Restore Hope” dal settimanale “Epoca”. In quel periodo sulla poltrona di ministro della Difesa stava seduto Fabio Fabbri, socialista. “Prima di emettere un giudizio infamante, aspettiamo di conoscere il contesto”, disse.
Quando “Panorama” pubblicò le immagini delle torture e degli stupri alla Difesa c’era Andreatta del Ppi. Lo stesso che da ministro degli Esteri del governo Ciampi si era distinto per il sostegno ai generali Loi e Corcione, all’epoca capo di stato maggiore dell’Esercito e di lì a poco ministro della Difesa nel governo Dini.
L’intera questione fu dunque gestita da vecchie cariatidi Psi-Dc e dagli “uomini forti” che oggi occupano le poltrone-chiave della Repubblica. Sono dunque loro i custodi dei misteri somali, dagli omicidi Alpi, Hrovatin e Palmisano fino al proiettile vagante che uccise Li Causi.
E il buio più fitto circonda ancora le quaranta coltellate ed il colpo di pietra alla testa che nel ’95 hanno ucciso sulla scogliera livornese del Romito Marco Mandolini, maresciallo del “Col Moschin” della Folgore e caposcorta del generale Loi in Somalia.
Scheda
“Noi vogliamo solo che sia fatta giustizia”
“Siamo giovani e non abbiamo alcun potere se non quello della nostra forza interiore, intelligenza e determinazione. Anche se non abbiamo fatto il militare nella Folgore, abbiamo sufficiente coraggio e voglia di affrontare e risolvere, da persone mature e consapevoli delle difficoltà da superare, quanto la vita metterà sul nostro cammino, a cominciare da questo episodio che annoveriamo sicuramente come il più triste e tragico della nostra ancor breve esistenza”.
Dopo la tragica morte di Emanuele Scieri, un gruppo di amici siracusani si è stretto intorno alla famiglia del ragazzo. Si sono costituiti in comitato permanente, hanno scritto al prefetto di Siracusa, all’arcivescovo, al procuratore della Repubblica. Sono arrivati fino a Pisa, sono entrati nella “Gamerra” ed hanno portato la loro voglia di giustizia fino davanti dal comandante della caserma.
Oggi, il comitato permanete è diventato l’associazione “Giustizia per Lele”. Dopo la manifestazione, dopo il concerto in piazza Duomo, a Siracusa, oggi pensano nuove iniziative per tenere viva l’attenzione e per chiedere la conclusione dell’inchiesta giudiziaria. La necessità più urgente, al momento, è raccogliere fondi per sostenere le spese legali.
“Noi giovani avremmo motivo di forte sfiducia nello Stato e nelle Istituzioni se non si facesse giustizia”, concludono gli amici di Emanuele. “Vogliamo continuare a credere che la giustizia sia un diritto di ogni cittadino”.
Fonti
- L’Unità 6 aprile 98, 21 agosto 99; Corriere della Sera 13 marzo 98, 19 marzo 98; 5 aprile 98; la Repubblica 19 marzo 98; 5 aprile 98; 15 aprile 98; La Stampa 19 marzo 98, 27 agosto 99; L’Unione Sarda 15 aprile 98; Famiglia Cristiana 15 aprile 98; Avvenire 11 aprile 98; Il Messaggero 10 aprile 98; La Stampa 8 aprile 98; Il Mattino 8 aprile 98; Il Domani della Calabria 6 settembre 99; Famiglia Cristiana n.35/99; La Sicilia 24 agosto 99, 10 settembre 99; Liberazione 14 giugno 97.
- Www.esercito.difesa.it/unita/Brigfolgore.HTM; www.folgore.com; www.siracusanet.it/giustiziaperlele.
- Intervista a cura dell’autore a Ornella Genovese e Peppe Sindona dell’associazione “Giustizia per Lele”, Catania 4 ottobre 1999.
Autore: Antonello Mangano
Catania, ottobre 1999.