Agromafia e caporalato, grave sfruttamento in agricoltura, migranti schiavi nei campi, ghetti. Ma esattamente di cosa stiamo parlando? Il tema è l'”emergenza migranti” o il modo di produrre dell’agricoltura contemporanea?
Il progetto “Filiere” vuole spostare l’attenzione dall’effetto – i migranti sfruttati – alla causa: una filiera iniqua dominata dalla grande distribuzione
Ormai da trent'anni l'agricoltura italiana è macchiata dal grave sfruttamento di lavoratori migranti e italiani. Non c'è solo il caporalato. Gravi violazioni dei diritti umani si compiono ai danni di lavoratrici e lavoratori da Nord a Sud.
L'attenzione è sempre concentrata sui ghetti, sulle situazioni visibili (paradossalmente definite "invisibili"). Ma cosa accade nel percorso dai campi agli scaffali dei supermercati?
Proviamo ad agire. Informiamoci sulle filiere. Impegnamoci a non consumare i prodotti più a rischio che si trovano sugli scaffali dei supermercati finché la GDO non ci fornirà informazioni dettagliate sul rispetto dei diritti dei lavoratori.
In nero le situazioni critiche
Il caporalato è un modo di organizzare il lavoro funzionale alle imprese: in questo modo evitano assunzioni e risparmiano sui costi. Il caporalato fa parte del più ampio tema dello sfruttamento. È una parte del problema, non è "il" problema.
Il caporale organizza le squadre di raccolta, si accorda con i padroni sui tempi del lavoro e le paghe, distribuisce i soldi, gestisce le modalità del lavoro.
Le imprese usano i caporali quando il prodotto deperisce rapidamente e occorre una forza lavoro disponibile in tempi rapidi. Esistono situazioni di sfruttamento in agricoltura senza la presenza di caporalato.
Con "agromafia" si indicano le attività della criminalità organizzata nel settore agro-alimentare. Ma come si distingue ciò che è mafia da ciò che non lo è?
Da molte cronache, sembra che l’imprenditore mafioso sia semplicemente il "migliore" tra i capitalisti: è quello che si muove meglio sul mercato, ha disponibilità finanziarie infinite, non ha problemi sindacali e garantisce i prezzi più competitivi.
Spesso si parla dei migranti nei campi come "nuovi schiavi".
Secondo alcuni, pur avendo la possibilità di spostarsi (non sono giuridicamente legati a un padrone o fisicamente incatenati), sono comunque fortemente vincolati da uno stato di necessità.
La necessità non è solo dettata dal bisogno di denaro (per sé o per i familiari) ma anche da leggi fortemente discriminatorie che li vincolano al possesso di un contratto di lavoro e di un certificato di residenza.
Sempre più spesso, nei luoghi di grave sfruttamento, si sente parlare di accoglienza dei migranti.
Così si dimentica che stiamo parlando di lavoratori, che non riescono ad affittare normali abitazioni perché appunto sfruttati.
In condizioni normali, senza il ricatto di leggi speciali, e con salari equi, non esisterebbe la necessità dell'accoglienza.
I politici di destra definiscono parlano dei migranti come "clandestini". La situazione, in realtà, è molto fluida:
Ma il senso del termine è un altro, chiaramente spregiativo. Lascia intendere che i clandestini sono quelli cattivi, che hanno qualcosa da nascondere. È falso: nessuno vuole vivere senza accesso ai diritti fondamentali. Sono leggi ingiuste a far scivolare nell'irregolarità.
L'Italia è il paese delle emergenze. Con questo termine ci si riferisce ai problemi che rimangono insoluti. In realtà, le prime tracce del grave sfruttamento in agricoltura risalgono a 30 anni fa, nella zona di Villa Literno.
Eppure si decide ancora di intervenire con strumenti emergenziali: vertici in Prefettura, comitati straordinari, tendopoli della Protezione civile.
Dimenticando che si tratta di raccolta dell'ortofrutta e non di terremoti.
Negli ultimi sei anni, circa 1500 lavoratori sono morti nei campi. Bruciati vivi negli incendi dei ghetti. Investiti da un treno. Deceduti di febbre o d'infarto. Da Nord a Sud: Veneto, Piemonte, Sicilia, Puglia, Calabria.
Becky è morta tra le fiamme. Soumayla ucciso a fucilate. Arcangelo è morto di caldo. Marcus di freddo.
L’agricoltura sembra una guerra. Muoiono italiani, romeni, subsahariani, arabi. Per il caporalato, come i 139 polacchi in Puglia. Per la mafia, come le decine di africani a Rosarno. Nel silenzio generale, producendo cibo sporco di sangue.
Nel 1996 "Life" pubblicò la foto di bambini pakistani che cucivano palloni per la Nike. L’azienda si difese dicendo di non conoscere tutti i livelli della subfornitura. Allora ci sembrò qualcosa che riguardava il terzo mondo.
Nel 2012 "The Ecologist" scrisse che Coca Cola utilizzava le arance di Rosarno raccolte dagli africani sfruttati. Allora sembrò che il problema riguardasse i migranti.
Oggi sappiamo che il tema riguarda tutti. Perché il sistema della competizione selvaggia e della produzione a basso costo non risparmia nessuno.
Le aziende citate non sono in alcun modo colpevoli. Si segnalano semplicemente alcuni casi emersi da atti giudiziari e inchieste giornalistiche e si pone un problema: le misure prese per assicurarsi che nella propria filiera non ci siano prodotti provenienti da grave sfruttamento sono sufficienti?
Le centrali di acquisto della grande distribuzione e le società multinazionali che controllano il mercato agroalimentare sono sempre meno. È in atto un grande processo di concentrazione. In Italia, esistono oggi appena nove centrali di acquisto. Il mercato europeo è controllato da appena 14 società.
Con l'omicidio di Jerry Esslan Masslo, rifugiato sudafricano, l'Italia scoprì l'immigrazione. Subito dopo arrivarono la prima grande manifestazione antirazzista e la legge Martelli, oltre che il riconoscimento dell'asilo politico, fino ad allora non regolamentato. Masslo lavorava nella raccolta del pomodoro a Villa Literno, già allora in condizioni di grave sfruttamento e sotto caporalato. Morì dopo aver subito una rapina.
Il reportage di Fabrizio Gatti sull'Espresso svela all'opinione pubblica le condizioni della raccolta del pomodoro. In Capitanata, nel foggiano, lavoratori dell'Est Europa e africani vivono in condizioni durissime. Sono taglieggiati dai caporali e guadagnano pochi spiccioli.
Dopo l'ennesima aggressione a colpi di arma da fuoco, i braccianti africani presenti a Rosarno si ribellano. Sono vittime di grave sfruttamento ma anche della violenza mafiosa che li usa come bersagli. Alla loro protesta segue la reazione di squadre armate. In breve tempo, tutti i neri presenti sul territorio sono trasportati via dalla polizia.
Un gruppo di africani guidati dal camerunense Yvan Sagnet decide di interrompere la raccolta dei pomodori e delle angurie chiedendo condizioni migliori. Sono appoggiati dai gestori della masseria Boncuri e dal sindacato. È la prima volta che braccianti stranieri organizzano autonomamente uno sciopero.
I reportage dell'Espresso e del Guardian svelano che molte donne romene presenti nel ragusano sono vittime non solo di sfruttamento lavorativo ma anche sessuale. Vivono praticamente segregate, spesso con i figli piccoli, ma devono sottostare alle richieste dei padroni delle serre.
Durante l'estate muoiono numerosi braccianti, tra cui alcuni italiani. Il caso più noto è quello di Paola Clemente, assunta tramite un'agenzia interinale.
Da gennaio ad agosto è una vera strage di lavoratori e migranti che vivono nei ghetti: da Becky Moses a Soumayla Sacko, fino ai 16 braccianti africani morti nel foggiano in seguito a incidenti con camion che trasportano pomodori
È ormai evidente che i prodotti frutto di sfruttamento finiscono anche nei banconi dei grandi supermercati.
Le aziende si difendono con le liberatorie fatte firmare ai propri fornitori. Oppure chiudendo i contratti a fronte di situazioni imbarazzanti. Questi comportamenti non sono più accettabili.
Dobbiamo essere tanti e far capire alla GDO che l'informazione sui diritti dei lavoratori per noi è importante.
Sospendiamo i nostri acquisti di ortofrutta nei supermercati finché non troveremo in etichetta ogni informazione sul rispetto dei diritti dei lavoratori
Nel piatto che hai di fronte ci sono le urla di Becky, mentre la baraccopoli da duemila persone le brucia intorno. Ci sono i denti di Dominic, che battono di febbre mentre muore in una tenda nella campagna calabrese e pensa che è sfuggito alla guerra in Africa per morire in Europa. Ci sono le lacrime di Luana, che sopporta lo sfruttamento sessuale in una serra siciliana per regalare una vita migliore ai figli.
Questo libro è un viaggio da Nord a Sud: Asti, Saluzzo, Chianti, Foggia, Rosarno, Vittoria. Nelle serre e nei ghetti. Tra pomodori, vino, arance e mele. In mezzo a contadini e multinazionali. Alla scoperta dell’orrore dietro l’etichetta del supermercato.
Rimani aggiornato, clicca su "Mi piace"