Filiere. Dietro l'etichetta

Agromafia e caporalato, grave sfruttamento in agricoltura, migranti schiavi nei campi, ghetti. Di cosa stiamo parlando? Il problema è l’”emergenza migranti” oppure il modo di produrre dell’agricoltura contemporanea? Il “progetto filiere” vuole spostare l’attenzione dall’effetto – i migranti sfruttati – alla causa: una filiera iniqua dominata dalla grande distribuzione. Il cibo è troppo importante per lasciarlo ai giochi del mercato
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Il progetto

Ricostruire la filiera dai campi agli scaffali del supermercato

Lo sfruttamento

Ormai da trent'anni l'agricoltura italiana è macchiata dal grave sfruttamento di lavoratori migranti e italiani. Non c'è solo il caporalato. Gravi violazioni dei diritti umani si compiono ai danni di lavoratrici e lavoratori da Nord a Sud

Il consumo

L'attenzione è sempre concentrata sui ghetti, sulle situazioni visibili (paradossalmente definite "invisibili"). Ma cosa accade nel percorso dai campi agli scaffali dei supermercati?

Che fare?

Proviamo ad agire. Informiamoci sulle filiere. Impegniamoci a non consumare i prodotti più a rischio che si trovano sugli scaffali dei supermercati finché la GDO non ci fornirà informazioni dettagliate sul rispetto dei diritti dei lavoratori.

Le filiere

Prodotti e luoghi di produzione in Italia
filiera dell'arancia

Il percorso delle arance

Rosarno

La filiera del pomodoro

Foggia

Serre per tutto l'anno

Ragusa

L'export della frutta

Saluzzo

Il percorso del vino

Asti e Chianti

I braccianti indiani

Latina

La mappa

In nero le situazioni critiche

La strage dei campi

Negli ultimi anni, circa 1500 lavoratori sono morti nei campi. Bruciati vivi negli incendi dei ghetti. Investiti da un treno. Deceduti di febbre o d’infarto. Da Nord a Sud: Veneto, Piemonte, Sicilia, Puglia, Calabria

2012. I rumeni di Rossano
Un treno travolge il furgone con cui tornano dai campi. Le imprese di pompe funebri si contendono i cadaveri a calci e pugni
2015. Paola Clemente
Muore per il caldo e le condizioni di lavoro. Assunta fittiziamente da un'agenzia interinale. Formalmente legale, nella realtà caporalato mascherato
2017. Mamadou Konate e Nouhou Doumbia
Durante l'incendio del ghetto di Rignano (Foggia), due ragazzi del Mali perdono la vita
2018. Becky Moses a Rosarno
Durante l'incendio del ghetto, una ragazza nigeriana muore bruciata viva
2018. Soumayla Sacko
Un sindacalista originario del Mali è ucciso a fucilate mentre aiuta i compagni a raccogliere lamiere in una fabbrica abbandonata
2018. I 16 di Foggia
Il 4 agosto quattro braccianti di ritorno dai campi muoiono in uno scontro con un camion che trasporta pomodori. Due giorni dopo, un analogo incidente con 12 morti
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Glossario. Di cosa stiamo parlando

Un metodo di produzione

Il caporalato è un modo di organizzare il lavoro funzionale alle imprese: in questo modo evitano assunzioni e risparmiano sui costi. Il caporalato fa parte del più ampio tema dello sfruttamento. È una parte del problema, non è “il” problema.

Il caporale organizza le squadre di raccolta, si accorda con i padroni sui tempi del lavoro e le paghe, distribuisce i soldi, gestisce le modalità del lavoro.

Le imprese usano i caporali quando il prodotto deperisce rapidamente e occorre una forza lavoro disponibile in tempi rapidi. Esistono situazioni di sfruttamento in agricoltura senza la presenza di caporalato.

Chi sono i mafiosi?

Con “agromafia” si indicano le attività della criminalità organizzata nel settore agro-alimentare. Ma come si distingue ciò che è mafia da ciò che non lo è?

– è mafioso chi usa un metodo basato sull’uso effettivo o potenziale della violenza ed è organizzato secondo un modello associativo;

– è mafioso chi impone la signoria territoriale attraverso l’uso sistematico dell’intimidazione;

– il gruppo mafioso, pur non esercitando la violenza o l’illecito, è riconosciuto come tale su un territorio e quindi gode dei vantaggi che tale riconoscimento comporta.

Da molte cronache, sembra che l’imprenditore mafioso sia semplicemente il “migliore” tra i capitalisti: è quello che si muove meglio sul mercato, ha disponibilità finanziarie infinite, non ha problemi sindacali e garantisce i prezzi più competitivi.

Le catene invisibili

Spesso si parla dei migranti nei campi come “nuovi schiavi”.

Secondo alcuni, pur avendo la possibilità di spostarsi (non sono giuridicamente legati a un padrone o fisicamente incatenati), sono comunque fortemente vincolati da uno stato di necessità.

La necessità non è solo dettata dal bisogno di denaro (per sé o per i familiari) ma anche da leggi fortemente discriminatorie che li vincolano al possesso di un contratto di lavoro e di un certificato di residenza.

Confondere profughi e lavoratori

Sempre più spesso, nei luoghi di grave sfruttamento, si sente parlare di accoglienza dei migranti.

Così si dimentica che stiamo parlando di lavoratori, che non riescono ad affittare normali abitazioni perché appunto sfruttati.

In condizioni normali, senza il ricatto di leggi speciali, e con salari equi, non esisterebbe la necessità dell’accoglienza.

Semplicemente senza documenti

I politici di destra definiscono parlano dei migranti come “clandestini”. La situazione, in realtà, è molto fluida:

    • ci sono persone che hanno chiesto asilo e rischiano di rimanere senza documenti a causa del diniego;
    • rifugiati con documenti che scadono;
    • lavoratori che non possono rinnovare i documenti a causa di un licenziamento.

Ma il senso del termine è un altro, chiaramente spregiativo. Lascia intendere che i clandestini sono quelli cattivi, che hanno qualcosa da nascondere. È falso: nessuno vuole vivere senza accesso ai diritti fondamentali. Sono leggi ingiuste a far scivolare nell’irregolarità.

Un fenomeno trentennale

L’Italia è il paese delle emergenze. Con questo termine ci si riferisce ai problemi che rimangono insoluti. In realtà, le prime tracce del grave sfruttamento in agricoltura risalgono a 30 anni fa, nella zona di Villa Literno.

Eppure si decide ancora di intervenire con strumenti emergenziali: vertici in Prefettura, comitati straordinari, tendopoli della Protezione civile.

Dimenticando che si tratta di raccolta dell’ortofrutta e non di terremoti.

Le aziende

Filiera, supermercati e multinazionali

La struttura della filiera

Il cuore del problema

Alcuni casi esempio

Clicca per ingrandire

La struttura a tre strati della filiera:

  • piccoli produttori quasi sempre individualisti e poco organizzati
  • strutture intermedie (organizzazioni di produttori, cooperative, grandi commercianti)
  • acquirenti finali (grande distribuzione organizzata, società multinazionali)

Nel 1996 “Life” pubblicò la foto di bambini pakistani che cucivano palloni per la Nike. L’azienda si difese dicendo di non conoscere tutti i livelli della subfornitura. Allora ci sembrò qualcosa che riguardava il terzo mondo.

Nel 2012 “The Ecologist” scrisse che Coca Cola utilizzava le arance di Rosarno raccolte dagli africani sfruttati. Allora sembrò che il problema riguardasse i migranti.

Oggi sappiamo che il tema riguarda tutti. Perché il sistema della competizione selvaggia e della produzione a basso costo non risparmia nessuno.

Il tema

Nel 2012 “The Ecologist” scrive che Coca Cola acquisterebbe le arance raccolte dagli africani sfruttati. Un fornitore rosarnese venderebbbe a Fanta. Pochi giorni prima dell’articolo il contratto sarebbe stato comunque rescisso, a causa di una richiesta di aumento del prezzo. L’azienda locale chiuderà in breve, per motivi mai chiariti.

Nel 2015 e nel 2016, il rapporto FilieraSporca evidenziava le criticità della filiera siciliana del succo d’arancia: lavoro sfruttato dei migranti dell’Est (intere famiglie, anche minori, sottopagati) e dei rifugiati, in particolare quelli in attesa di documenti che vivono al Cara di Mineo.

La replica

Più volte Coca Cola ha dichiarato una disponibilità a intervenire in progetti per i migranti sul territorio calabrese. Interpellata dalla campagna FilieraSporca, sempre nel 2015, ha comunicato i suoi fornitori, tutti siciliani: Agrumi Gel, Citrofood, Ortogel, Fratelli Branca e Agrumaria Corleone.

Il tema

Nel 2015 una serie di inchieste giornalistiche mettevano in evidenza il doppio sfruttamento – lavorativo e sessuale – che colpiva la “fascia trasformata” delle serre intorno a Vittoria.

Si tratta di un distretto che rifornisce la grande distribuzione in Italia e in Europa. Da anni molte imprese locali vantano un rapporto con Coop.

La replica

Coop ha confermato la sua vocazione etica avviando prontamente una serie di ispezioni presso i suoi fornitori e senza riscontrare criticità.

Il tema

Secondo gli atti del processo per la morte del bracciante sudanese Mohamed Abdullah, i pomodorini raccolti sotto caporale nelle campagne pugliesi venivano consegnati ad alcune tra le più grandi aziende di trasformazione del pomodoro.

Funzionava così: la piccola ditta di Nardò assoldava un caporale sudanese, che formava le squadre per la raccolta. Il pomodoro era conferito a una cooperativa più grande, nei pressi di Andria, che a sua volta riforniva numerose importanti ditte.

È un verbale dei carabinieri a svelare il percorso dei camion e dei cassoni: i destinatari finali erano Mutti, Conserve Italia (Cirio-Valfrutta) e La Rosina. Sarebbe coinvolta anche Princes, multinazionale con sede a Londra e controllata dalla giapponese Mitsubishi.

La replica

Le aziende coinvolte hanno risposto di non conoscere tutti i passaggi della filiera, ma solo il primo fornitore, a cui generalmente fanno firmare un codice di condotta. “Nel 2017”, comunica l’azienda, “l’81% delle aziende agricole partner di Princes ha conseguito la certificazione “Global G.A.P. GRASP” o “SA8000””.

Il tema

Tra i maggiori operatori della Piana di Gioia Tauro c’è la “Agrumi Gaetano Rao”, che vanta uno storico rapporto con Esselunga. Rao è stato a lungo assessore provinciale all’agricoltura.

La ditta tratta prodotti “a rischio”, cioè raccolti da migranti sfruttati? Al momento non lo sappiamo.

La replica

La campagna FilieraSporca ha chiesto informazioni alla ditta Rao, che non ha mai risposto. Ha invece risposto Esselunga: “Lavoriamo con fornitori ai quali è richiesto di sottoscrivere e rispettare il Codice etico adottato dalla società che prevede, quale principio fondamentale, il rispetto dei diritti umani e della dignità di ogni persona”.

Il tema

Un’inchiesta delle giornaliste Stefania Prandi e Pascale Müller ripropone il tema dello sfruttamento sessuale – lavorativo nel distretto delle serre di Huelva, Spagna. Le fragole di Huelva finirebbero anche nei supermercati tedeschi come Lidl.

La replica

Lidl ha risposto che la “responsabilità sociale e ambientale” fa parte del codice di condotta aziendale, al quale aderiscono tutti i fornitori. La propria filiera è certificata Global GAP e ogni fornitore è sottoposto a controlli regolari. “Siamo lontani da ogni violazione dei diritti umani e del lavoro”, hanno detto, aggiungendo che saranno indagate tutte le criticità.

Le aziende citate non sono in alcun modo colpevoli. Si segnalano semplicemente alcuni casi emersi da atti giudiziari e inchieste giornalistiche e si pone un problema: le misure prese per assicurarsi che nella propria filiera non ci siano prodotti provenienti da grave sfruttamento sono sufficienti?

Cronologia

Una “emergenza” che dura da trent’anni
Jerry Masslo

Con l’omicidio di Jerry Esslan Masslo, rifugiato sudafricano, l’Italia scoprì l’immigrazione. Subito dopo arrivarono la prima grande manifestazione antirazzista e la regolamentazione dell’asilo politico. Masslo raccoglieva pomodori a Villa Literno, già allora in condizioni di grave sfruttamento e sotto caporalato. Morì durante una rapina.

1989

2006

Io schiavo in Puglia

Il reportage di Fabrizio Gatti sull’Espresso svela all’opinione pubblica le condizioni della raccolta del pomodoro. In Capitanata, nel foggiano, lavoratori dell’Est Europa e africani vivono in condizioni durissime. Sono taglieggiati dai caporali e guadagnano pochi spiccioli.

La rivolta di Rosarno
Dopo l’ennesima aggressione a colpi di arma da fuoco, i braccianti africani presenti a Rosarno si ribellano. Sono vittime di grave sfruttamento ma anche della violenza mafiosa che li usa come bersagli. Alla loro protesta segue la reazione di squadre armate. In breve tempo, tutti i neri presenti sul territorio sono trasportati via dalla polizia.

2010

Nardò sciopero

2011

Lo sciopero di Nardò
Un gruppo di africani guidati dal camerunense Yvan Sagnet decide di interrompere la raccolta dei pomodori e delle angurie chiedendo condizioni migliori. Sono appoggiati dai gestori della masseria Boncuri e dal sindacato. È la prima volta che braccianti stranieri organizzano autonomamente uno sciopero.
Le rumene di Vittoria
Un reportage dell’Espresso svela che molte donne romene presenti nel ragusano sono vittime non solo di sfruttamento lavorativo ma anche sessuale. Vivono praticamente segregate, spesso con i figli piccoli, ma devono sottostare alle richieste dei padroni delle serre.

2014

2015

Paola e gli altri
Durante l’estate muoiono numerosi braccianti, tra cui alcuni italiani. Il caso più noto è quello di Paola Clemente, assunta tramite un’agenzia interinale.
Lo sciopero di Latina

Imponente astensione dal lavoro nei campi e manifestazione in piazza a Latina dei braccianti di origine sikh

2016

2018

L'anno delle stragi
Durante l’estate muoiono numerosi braccianti, tra cui alcuni italiani. Il caso più noto è quello di Paola Clemente, assunta tramite un’agenzia interinale.

È ora di cambiare!

Le proposte

Trasparenza, responsabilità, diritti. Tre proposte per cambiare

1. Etichetta narrante

Obbligo di un’etichetta che indichi almeno la composizione del prezzo, gli indici di congruità, i passaggi della filiera, compreso il campo di coltivazione.

2. Responsabilità di filiera

Affermare la responsabilità in solido di filiera a partire dal soggetto più forte; migliorare legge 199/2016 inserendo indicatori esatti sullo sfruttamento.

3. Tutela dei lavoratori

Rilasciare documenti per tutti i migranti; abbandonare gli interventi d’emergenza e puntare su accoglienza diffusa e mediazione abitativa; assegnare l’indennità di disoccupazione ai braccianti che lavorano realmente nei campi, anche se migranti, e cancellare truffe e abusi.

Un libro che indaga la filiera di alcuni prodotti agricoli ad alto rischio, dalle arance ai pomodori, all’uva.

Andando a ritroso dal supermarket ai centri di distribuzione, fino alle serre e ai campi, scopriamo che la brutalità del caporalato e la ‘modernità’ della globalizzazione convivono senza scontrarsi.

E che l’economia globale porta i contadini di Rosarno a competere con quelli brasiliani; i pugliesi con i cinesi; i piemontesi con gli spagnoli.

Lo sfruttamento nel piatto

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