Facebook gestisce un'immensa quantità di dati. Chi ha pochi scrupoli può elaborare previsioni. Sugli acquisti e sulle elezioni. E può influenzare i comportamenti
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Qualche settimana fa Facebook ha rilasciato il codice sorgente di un applicativo che permette di usare i big data per predire determinati comportamenti.
Si tratta di un’applicazione pensata in prima battuta per il marketing. Un esempio? Un negozio di abbigliamento può organizzarsi in base alla curva degli acquisti stagionali. Può ottimizzare gli ordini di merce perché sa che in quel determinato giorno dell’anno sarà previsto un picco oppure un calo di vendite.
Il nome “profeta” appare un po’ eccessivo per quello che adesso è un semplice strumento di vendita per piccole aziende. Ma è un buon esempio di come la tecnologia dei big data, del machine learning, dell’intelligenza artificiale viene oggi usata prevalentemente a fini di marketing.
Analizzando il codice, però, si scopre una cosa interessante. Quello che fa la differenza non è tanto la qualità dell’algoritmo, ma la presenza di una massa critica di dati. Soltanto una piattaforma come Facebook può assicurare dati in quantità sufficiente a a generare”profezie” adeguatamente veritiere.
Solo scarpe?
Ma questo tipo di tecnologia serve soltanto per vendere scarpe? È evidente che potrebbe essere utilizzata per fini di pubblica utilità: dalla riduzione dello spreco alimentare alla protezione civile alla sanità fino ai servizi sociali. Fino a forme più ambiziose di pianificazione economica. Male che vada, conoscere in anticipo un fenomeno può aiutare a prevenire e gestirlo. E, infine, a farci vivere tutti meglio.
Anche nelle istituzioni pubbliche esistono figure professionali capaci di scrivere algoritmi sofisticati, ma il problema è che i dati sono in mano a grandi corporation private, tutte statunitensi, che sanno benissimo che quella è la loro vera e unica ricchezza.
Se puoi convincere una persona a comprare un paio di scarpe, puoi manipolare il suo voto
L’uso che se na fa in Italia, fin dal 2013, è di segno opposto. Nessuna pubblica utilità ma speculazioni per soggetti privati. Lo scorso dicembre è uscita la notizia secondo cui Casaleggio avrebbe utilizzato una app per Facebook in maniera impropria. Lo scopo sarebbe stato la cattura dei dati dei propri simpatizzanti e di quelli dei loro amici. Molti si sono fermati sull’aspetto dello scandalo. L’azienda non aveva il permesso di prendere quei dati. Questo elemento è importante ma non è certamente l’unico da considerare.
Casaleggio è stato infatti il primo in Italia a comprendere le potenzialità dei big data e a spostarli dal marketing commerciale al marketing della politica. Il principio è semplice. Se si può convincere qualcuno a comprare il quinto paio di scarpe, di cui non ha assolutamente bisogno, allora si può altrettanto facilmente manipolare il suo voto. Specie in un clima di confusione politica e di incertezza ideologica.
Il partito-marketing
Il partito Cinque Stelle, fin dalla nascita, è un esempio di marketing spostato alla politica. L’elettorato è stato diviso in cluster, cioè segmenti di pubblico sempre più raffinati e parcellizzati, fino ad arrivare a un altissimo grado di granularità.
In altre parole, grazie alla quantità di dati acquisiti, Casaleggio è stato in grado di rispondere alle esigenze di ognuno, alle paure di ognuno e – un po’ meno – ai desideri di ognuno. Così il programma dei Cinque Stelle di volta in volta si è adattato alle esigenze di marketing di ognuno dei suoi cluster.
Lo strumento di selezione target di Facebook
Quella che sembrava una situazione di forte contraddittorietà, al limite della follia, dei politici cinque stelle era invece la loro essenza: usare le paure del proprio segmento elettorale. Il programma politico dei Cinque stelle non poteva essere a favore dell’immigrazione per il semplice motivo che la paura più forte riscontrata nella analisi di marketing riguardava proprio quella dell’invasione.
I big data potrebbero essere utilizzati a fini di pubblica utilità e non per speculazione
Se i Cinque Stelle sono stati attenti, in una certa fase, al problema del precariato è perché hanno riscontrato una forte paura riguardo alle condizioni di lavoro. Se hanno piano piano abbandonati i temi ambientali è perché la paura del futuro era più immediata. Meno collegata a un discorso generazionale di lungo periodo sulle sorti del pianeta.
La gente è più attenta al proprio cortile, alle paure e all’immediato? Allora la risposta diventano frontiere chiuse e reddito di cittadinanza.
Anche in questo caso il nodo sono i dati: la disponibilità, l’accesso e la raccolta. Tutti ceduti di fatto volontariamente e consegnati a soggetti privati, con un debole e aggirabile controllo pubblico come il GDPR.
L’algoritmo della paura
Questa tecnica è stata in breve recepita dalla Lega. Un partito che sulle paure ha fondato la sua fortuna politica fin dalla fondazione.
La Lega ha aggiunto la figura di un capo carismatico e la sua narrazione apparentemente quotidiana. Talmente spiazzante da costringere tutti a commentarla, amplificandone a dismisura il messaggio. In questo modo il messaggio raggiunge milioni di persone indipendentemente dal fatto che sia vero o falso. Esiste e basta.
Solo per fare un esempio, il post contro la Nutella è stato commentato come una sciocchezza, una falsità. Salvini ha detto che la Ferrero dovrebbe usare nocciole italiane e non turche. Apparentemente è un concetto ingenuo: la produzione nazionale non basta a coprire il mercato di una multinazionale. Ma il messaggio pop (la Nutella) e la soluzione proposta (il nazionalismo) andava a centrare una delle paure più forti e più reali del Paese.
Interi settori produttivi e la maggioranza dei lavoratori sono terrorizzati dalla delocalizzazione e dall’importazione a basso costo di merci straniere, che subiscono da almeno tre decenni.
Una schermata dagli strumenti interni di Facebook
Ogni messaggio può essere “targettizzato” con cura, andando a colpire chi è più sensibile al tema. Dalla Nutella si passa quindi alla globalizzazione.
Per le critiche basta una smentita del giorno dopo: il messaggio forte rimane, la fake news scompare. Il cluster dei lavoratori a rischio globalizzazione, molto probabilmente, sta pensando seriamente di votare Lega. Gli avversari che si sono scagliati contro il post hanno fatto due favori alla Lega: ne hanno amplificato il messaggio e si sono messi il distintivo dei pro-globalizzazione.
Persino un migrante che ha acquisito la cittadinanza italiana potrebbe votare Lega, magari perché l’azienda per cui lavora può andare a delocalizzare in Slovacchia, in Turchia, in Romania, in Albania e in tanti paesi dove il lavoro costa meno e le condizioni sono ritenute più favorevoli dagli imprenditori.
Mentre i partiti-marketing acquisiscono consenso, utilizzando una conoscenza granulare dell’elettorato, gli altri rispondono con supponenza e senso di superiorità. Se poi arriverà un’altra sconfitta, la colpa sarà degli elettori “analfabeti funzionali”.
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Qualche settimana fa Facebook ha rilasciato il codice sorgente di un applicativo che permette di usare i big data per predire determinati comportamenti.
Si tratta di un’applicazione pensata in prima battuta per il marketing. Un esempio? Un negozio di abbigliamento può organizzarsi in base alla curva degli acquisti stagionali. Può ottimizzare gli ordini di merce perché sa che in quel determinato giorno dell’anno sarà previsto un picco oppure un calo di vendite.
Il nome “profeta” appare un po’ eccessivo per quello che adesso è un semplice strumento di vendita per piccole aziende. Ma è un buon esempio di come la tecnologia dei big data, del machine learning, dell’intelligenza artificiale viene oggi usata prevalentemente a fini di marketing.
Analizzando il codice, però, si scopre una cosa interessante. Quello che fa la differenza non è tanto la qualità dell’algoritmo, ma la presenza di una massa critica di dati. Soltanto una piattaforma come Facebook può assicurare dati in quantità sufficiente a a generare”profezie” adeguatamente veritiere.
Solo scarpe?
Ma questo tipo di tecnologia serve soltanto per vendere scarpe? È evidente che potrebbe essere utilizzata per fini di pubblica utilità: dalla riduzione dello spreco alimentare alla protezione civile alla sanità fino ai servizi sociali. Fino a forme più ambiziose di pianificazione economica. Male che vada, conoscere in anticipo un fenomeno può aiutare a prevenire e gestirlo. E, infine, a farci vivere tutti meglio.
Anche nelle istituzioni pubbliche esistono figure professionali capaci di scrivere algoritmi sofisticati, ma il problema è che i dati sono in mano a grandi corporation private, tutte statunitensi, che sanno benissimo che quella è la loro vera e unica ricchezza.
L’uso che se na fa in Italia, fin dal 2013, è di segno opposto. Nessuna pubblica utilità ma speculazioni per soggetti privati. Lo scorso dicembre è uscita la notizia secondo cui Casaleggio avrebbe utilizzato una app per Facebook in maniera impropria. Lo scopo sarebbe stato la cattura dei dati dei propri simpatizzanti e di quelli dei loro amici. Molti si sono fermati sull’aspetto dello scandalo. L’azienda non aveva il permesso di prendere quei dati. Questo elemento è importante ma non è certamente l’unico da considerare.
Casaleggio è stato infatti il primo in Italia a comprendere le potenzialità dei big data e a spostarli dal marketing commerciale al marketing della politica. Il principio è semplice. Se si può convincere qualcuno a comprare il quinto paio di scarpe, di cui non ha assolutamente bisogno, allora si può altrettanto facilmente manipolare il suo voto. Specie in un clima di confusione politica e di incertezza ideologica.
Il partito-marketing
Il partito Cinque Stelle, fin dalla nascita, è un esempio di marketing spostato alla politica. L’elettorato è stato diviso in cluster, cioè segmenti di pubblico sempre più raffinati e parcellizzati, fino ad arrivare a un altissimo grado di granularità.
In altre parole, grazie alla quantità di dati acquisiti, Casaleggio è stato in grado di rispondere alle esigenze di ognuno, alle paure di ognuno e – un po’ meno – ai desideri di ognuno. Così il programma dei Cinque Stelle di volta in volta si è adattato alle esigenze di marketing di ognuno dei suoi cluster.
Lo strumento di selezione target di Facebook
Quella che sembrava una situazione di forte contraddittorietà, al limite della follia, dei politici cinque stelle era invece la loro essenza: usare le paure del proprio segmento elettorale. Il programma politico dei Cinque stelle non poteva essere a favore dell’immigrazione per il semplice motivo che la paura più forte riscontrata nella analisi di marketing riguardava proprio quella dell’invasione.
Se i Cinque Stelle sono stati attenti, in una certa fase, al problema del precariato è perché hanno riscontrato una forte paura riguardo alle condizioni di lavoro. Se hanno piano piano abbandonati i temi ambientali è perché la paura del futuro era più immediata. Meno collegata a un discorso generazionale di lungo periodo sulle sorti del pianeta.
La gente è più attenta al proprio cortile, alle paure e all’immediato? Allora la risposta diventano frontiere chiuse e reddito di cittadinanza.
Anche in questo caso il nodo sono i dati: la disponibilità, l’accesso e la raccolta. Tutti ceduti di fatto volontariamente e consegnati a soggetti privati, con un debole e aggirabile controllo pubblico come il GDPR.
L’algoritmo della paura
Questa tecnica è stata in breve recepita dalla Lega. Un partito che sulle paure ha fondato la sua fortuna politica fin dalla fondazione.
La Lega ha aggiunto la figura di un capo carismatico e la sua narrazione apparentemente quotidiana. Talmente spiazzante da costringere tutti a commentarla, amplificandone a dismisura il messaggio. In questo modo il messaggio raggiunge milioni di persone indipendentemente dal fatto che sia vero o falso. Esiste e basta.
Solo per fare un esempio, il post contro la Nutella è stato commentato come una sciocchezza, una falsità. Salvini ha detto che la Ferrero dovrebbe usare nocciole italiane e non turche. Apparentemente è un concetto ingenuo: la produzione nazionale non basta a coprire il mercato di una multinazionale. Ma il messaggio pop (la Nutella) e la soluzione proposta (il nazionalismo) andava a centrare una delle paure più forti e più reali del Paese.
Interi settori produttivi e la maggioranza dei lavoratori sono terrorizzati dalla delocalizzazione e dall’importazione a basso costo di merci straniere, che subiscono da almeno tre decenni.
Una schermata dagli strumenti interni di Facebook
Ogni messaggio può essere “targettizzato” con cura, andando a colpire chi è più sensibile al tema. Dalla Nutella si passa quindi alla globalizzazione.
Per le critiche basta una smentita del giorno dopo: il messaggio forte rimane, la fake news scompare. Il cluster dei lavoratori a rischio globalizzazione, molto probabilmente, sta pensando seriamente di votare Lega. Gli avversari che si sono scagliati contro il post hanno fatto due favori alla Lega: ne hanno amplificato il messaggio e si sono messi il distintivo dei pro-globalizzazione.
Persino un migrante che ha acquisito la cittadinanza italiana potrebbe votare Lega, magari perché l’azienda per cui lavora può andare a delocalizzare in Slovacchia, in Turchia, in Romania, in Albania e in tanti paesi dove il lavoro costa meno e le condizioni sono ritenute più favorevoli dagli imprenditori.
Mentre i partiti-marketing acquisiscono consenso, utilizzando una conoscenza granulare dell’elettorato, gli altri rispondono con supponenza e senso di superiorità. Se poi arriverà un’altra sconfitta, la colpa sarà degli elettori “analfabeti funzionali”.
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