“Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all’incontrario” – Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati
Il primo è un gambiano. Sognava Londra. È arrivato da otto mesi in Italia. Sbarcato a Pozzallo, trasferito in Calabria, ha provato a passare il confine a Ventimiglia ma lo hanno preso e trasferito a Taranto. Alla fine di questo lungo gioco dell’oca, è finito in un centro “straordinario” nel mezzo della campagna siciliana. Ha presentato domanda d’asilo e aspetta da oltre un anno.
Il secondo è un nigeriano. Ha raccontato una storia di conflitti etnico-religiosi. La commissione non gli ha creduto e ha decretato un diniego totale. In teoria dovrebbe essere espulso, ma tornerà in Nigeria solo se ci sarà un apposito volo, spazio nel centro di espulsione, l’accordo col console del suo paese. Quindi, con ogni probabilità, rimarrà in Italia come un fantasma senza diritti.
Le leggi sull’immigrazione regolano più il mercato del lavoro che gli ingressi
Il terzo è un ivoriano. Ha raccontato di essere scappato dalla guerra nel suo paese. Arrivato in Libia, la guerra lo ha seguito anche lì. Non gli restava che scappare in Europa. “Adesso puoi tornare in Costa d’Avorio”, dice la Commissione. Come se le persone fossero le palline di un flipper, non relazioni e desideri.
Gli hanno dato un diniego, poi hanno visto nel suo fascicolo l’attestato di un improbabile corso di italiano. Allora hanno deciso che merita un permesso umanitario per premiare i suoi sforzi per l’integrazione. Tra parentesi, lui non ha fatto niente, è solo finito in un centro dove c’era il corso d’italiano.
Il quarto è uno fortunato. Apparentemente. Eritreo, ha ottenuto lo status di rifugiato. La sua storia è semplice. Il servizio militare a tempo indeterminato, la fuga da una dittatura feroce. La commissione ha deliberato: ecco un vero profugo.
Queste storie sono finte. Nel senso che sono la somma, la sovrapposizione di molte storie. Ma sono anche drammaticamente vere. La seconda, per esempio, è rappresentativa del 60% dei migranti che arrivano in Italia, l’ultima del 5%.
Il percorso dell’accoglienza e il lavoro |
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1 – L’attesa Nei Cas in attesa della commissione o del ricorso |
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2 – Il diniego Nessun documento (circa il 60% del totale) |
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3 – Permesso umanitario Un documento precario da rinnovare ogni due anni |
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4 – Stato di rifugiato Riconoscimento effettivo (circa il 5% del totale) |
Gradi di ricattabilità
Secondo il senso comune, i dinieghi servono per bloccare “i migranti che vengono a prenderci per il culo”. Secondo le linee guida delle Nazioni Unite, devono separare “chi ha il fondato timore di subire persecuzioni” dagli altri.
Il problema non è questo. Praticamente tutti quelli che sono entrati rimarranno in Italia. In questo modo, non si governano gli ingressi. Si regola il mercato del lavoro.
Il luogo comune parla di parassiti che mangiano e dormono. La realtà è fatta di lavoro nero e sfruttamento selvaggio
Torniamo al nostro primo caso, il richiedente asilo gambiano. Il luogo comune è quello dei 35 euro. Parassiti che mangiano e dormono. Proteste per il wi-fi. La realtà, è fatta di gente venuta in Europa per mandare soldi a casa. Subito. Così, chi si trova in un centro di accoglienza in città, chiede l’elemosina di fronte al supermercato. Chi viene sbattuto in campagna, è vittima dei caporali.
Non ci sono differenze tra Nord e Sud. Imprese del Chianti e agricoltori della Sila hanno usato i CAS (Centri di accoglienza straordinaria) come un comodo serbatoio di manodopera a costo zero.
Centri di accoglienza e nuovo caporalato
La situazione peggiore è quella che abbiamo esemplificato con il diniegato nigeriano. Dove vanno a finire i migranti senza documenti? Già in passato, quando l’intervallo tra una sanatoria e l’altra diventava eccessivo, si creavano al Sud “zone franche” dove i controlli dello Stato erano storicamente poco presenti. Quelle sacche di irregolarità sono sempre le stesse da decenni: Castel Volturno, Rosarno, Foggia. Qui si creano ghetti con dimensioni crescenti: luoghi che vivono di regole proprie e dove convivono impressionanti esempi di autogestione e solidarietà con strategie extralegali.
[piena src=”https://www.terrelibere.org/wp-content/uploads/2017/06/14869208047_8f87a8536d_b-1.jpg” alt=”Foggia, il Ghetto sullo sfondo”]
Il permesso umanitario
Il migrante ivoriano ha ricevuto il suo permesso umanitario. Non trova lavoro e alcuni connazionali gli suggeriscono di andare a Rosarno, brutte condizioni di vita ma forse c’è da lavorare. Sono in tanti come lui. Negli anni precedenti, la maggioranza era senza documenti. Poi, dal 2102, due su tre avevano in tasca l’umanitario.
Si tratta di una tipologia di permesso nei fatti controllata dal governo. È sostanzialmente arbitraria e permette di allargare o restringere la fascia dei migranti senza documenti.
Evita le sanatorie, il sistema con cui in passato si rimediava a un numero eccessivo di migranti senza documenti. È una specie di sanatoria in tempo reale.
Rispetto al mercato del lavoro, il migrante con l’umanitario rimane ricattabile. Ogni due anni deve rinnovare il documento, dimostrando di avere un contratto di lavoro. Ci sono questure che chiedono la residenza o una abitazione idonea, anche a chi vive in una baraccopoli.
[piena src=”https://www.terrelibere.org/wp-content/uploads/2017/06/32048184301_01a97536e9_b-1.jpg” alt=”Rosarno. Cittadini senza casa protestano contro il centro d’accoglienza” /]
Almeno, direte voi, c’è quel 5% di fortunati: con lo status di rifugiato hanno un documento che non scade. Peccato che un rifugiato ha subito spesso traumi. Per recuperare, dovrebbero bastare sei mesi in uno Sprar. Poi tutto da solo: casa e lavoro.
Nell’assoluta solitudine di una società basata sulla rete di parenti e non sui servizi pubblici, rimangono i connazionali. Nel bene (un appartamento da dividere riducendo le spese) o nel male: un lavoro su base etnica che somiglia al caporalato.
Si crea uno stato di segregazione: puoi accedere a quel tipo di lavoro (lo stesso svolto dai tuoi connazionali), vivi in quartieri ghetto (o in ghetti veri e propri), parli poco e male l’italiano.
Del resto abbiamo deciso che ci servono braccia, non cervelli. Braccia per riempire il serbatoio.
Il serbatoio
Un contadino di Foggia contro uno cinese. Uno brasiliano contro un rosarnese. Un siciliano contro il suo omologo di Almeria. Non si conoscono e non si conosceranno mai. Ma sanno di essere rivali.
Negli anni ’30, la California inventò l’agricoltura industriale. Senza peraltro eliminare la fame.
Competizione tra distretti italiani e globali
I produttori devono esportare e sono in concorrenza l’uno con l’altro. Devono produrre in qualunque stazione, la maggiore quantità possibile. E al minor prezzo possibile.
Arance da succo, pomodoro da bancone, zucchine fuori stagione diventano tecnicamente commodities, beni sostituibili che il consumatore sceglie perché costano meno. Uno vale l’altro. Hanno lo stesso colore, sapore, odore e forma. Persino la composizione zuccherina è regolata dai disciplinari dei supermercati.
[piena src=”https://www.terrelibere.org/wp-content/uploads/2017/06/32059601800_2e512a0e6b_b-1.jpg” alt=”Una discarica nei pressi della baraccopoli di Rosarno”]
La leva è sempre quella: il costo del lavoro. Così, la massa di migranti che ogni anno arriva nelle campagne è il carburante che ancora tiene in piedi questi distretti in competizione.
Sono africani intrappolati nel circuito dell’asilo, famiglie poverissime di romeni e bulgari, senegalesi con in tasca un foglio di via che li condanna all’invisibilità.
Parallelamente, ci sono migranti che sono già stati esclusi perché costano troppo. Tunisini di 50 anni arrivati trent’anni fa e ora con le famiglie, ai margini di tutto, né italiani né arabi, che stanno peggio di quando sono arrivati.
Tunisini | 50 euro |
Romeni | 15 euro |
Ospiti CAS | 7 euro |
L’esempio del ragusano è indicativo. Il costo del lavoro è sceso progressivamente sfruttando le contrapposizioni tra comunità e i loro diversi obiettivi. Per le famiglie arabe l’emigrazione era una scelta di vita, per quelle romene una fase temporanea. Per gli ospiti dei centri di accoglienza, il massimo della transitorietà.
Fini diversi che abbassano il costo del lavoro e diventano funzionali alla competizione.
Distretti agricoli in tutto il mondo si organizzano per competere. Sono un un misto di arretratezza e modernità.
Arcaico | Moderno |
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Violenza diffusa e abusi sessuali | Semi prodotti dalla genetica |
Ghetti per i braccianti | Calcolo del grado zuccherino |
Signoria mafiosa | Export a lungo raggio |
Il cannibalismo
Le campagne del Sud sono sempre più polarizzate. Da un lato latifondisti – commercianti che accentrano tutte le fasi produttive e controllano la filiera.
Dall’altro piccoli produttori in crisi, aziende di uno- due ettari, perennemente sull’orlo della chiusura. La soluzione rispetto alla frammentazione esiste da tempo. OP. Una sigla nota solo agli addetti ai lavori che significa “Organizzazione dei produttori”. Sono quelle strutture che servono – in teoria – a mettere insieme gli agricoltori, aumentare il loro potere contrattuale, creare sbocchi di mercato alternativi.
Spesso, le OP al Sud non funzionano. Perché i piccoli agricoltori rimangono in buona parte vecchi signori diffidenti che non amano associarsi. Così sono diventate strutture dominate dai commercianti locali, a volte dai mafiosi e qualche volta sono usate per accaparrarsi contributi pubblici.
Ai piccoli sono rimaste due strade. Lamentarsi fino allo sfinimento. Sfruttare chi sta peggio di loro. È nata così la teoria del cannibalismo, inconsapevolmente esposta di fronte alle telecamere: siamo costretti a sfruttare i migranti, perché a nostra volta siamo sfruttati dalla Grande Distribuzione.
Il controllo dal basso
Quando il lavoro, la terra e il denaro diventano merci sottoposte soltanto alla legge del mercato, gli effetti sono devastanti.
Lo afferma l’economista Karl Polanyi: lo strapotere del mercato e la mercificazione senza contrappesi devastano l’equilibrio della società.
Ciclicamente, nella storia, la società civile si organizza e riduce lo spazio del mercato attraverso vincoli e controlli. Il potere dell’impresa non è più assoluto e la sfera economica rientra sotto il comando della sfera politica.
Oggi siamo esattamente a questo punto. Il mercato senza regole ha portato agli orrori del neo-schiavismo. Occorre riportarlo sotto controllo.