Come il decreto Salvini sta affondando un’azienda di africani a Palermo

  Un gruppo di richiedenti asilo ha creato un'impresa di successo. Producono giochi educativi ispirati dalla loro cultura. Dopo una lunghissima serie di riconoscimenti, rischiano di rimanere senza documenti. Per colpa del “decreto sicurezza”
Condividi su print
Condividi su email
Condividi su whatsapp
Condividi su facebook

Pubblicato su l’Espresso

Alcuni venivano da famiglie benestanti, sterminate per ragioni politiche. Altri hanno trascorso un’infanzia di abbandono e povertà. Sono un gruppo di giovani migranti nati in Guinea, Mali, Gambia. Due anni fa sono arrivati a Palermo ancora minorenni. In poco tempo hanno creato una start up, “Giocherenda”, che produce giochi educativi ispirati alla cultura e ai colori africani.

Nulla di assistenziale. Al contrario, vogliono creare posti di lavoro anche per gli italiani. I risultati? Straordinari. I giovani imprenditori, tra le altre cose, sono stati ricevuti al Parlamento Europeo, hanno vinto un premio dell’agenzia Erasmus e collaborano con aziende di alta moda.

Tutto questo potrebbe finire. Per colpa del governo giallo-verde. Da quando è entrato in vigore il provvedimento firmato da Salvini, i loro documenti rischiano di diventare carta straccia, a causa del “decreto sicurezza”. Per convertirlo, serve il passaporto. Per capire cosa significa andare prendere un passaporto in Guinea, per chi è scappato dalla Guinea dopo che gli hanno sterminato tutti i parenti, dobbiamo raccontare la storia dall’inizio.

Sterminio

La Guinea Conakry è un piccolo paese dell’Africa Occidentale. I fondatori di “Giocherenda” vengono da lì. Uno di loro ha perso tutta la famiglia per ragioni politiche. Unico superstite, ha deciso di scappare per mettersi in salvo.

Ancora minorenne, si è presentato davanti alla “Commissione territoriale” che decide sulle domande d’asilo. Come nel caso di tanti altri minori, la domanda è stata accolta. Ma gli hanno dato un permesso umanitario, una via di mezzo tra lo status di rifugiato e il rifiuto totale. «Non è andata male», dicevano gli avvocati. «Anche se il documento scadrà, potrai facilmente rinnovarlo. Non vale la pena di fare ricorso per avere l’asilo politico. È costoso e ci vuole del tempo. Comunque hai qualcosa in tasca. Non sei un irregolare, un fantasma».

Sbagliato. Tutto questo era vero fino al provvedimento di Salvini che cancella proprio il permesso umanitario. Chi ne è in possesso deve convertirlo in un documento di altro tipo. Ma, per farlo, la Questura di Palermo chiede il passaporto: significherebbe ritornare nel paese d’origine, ovvero nell’incubo da cui sono scappati.

Pensavano di aver raggiunto il successo, ma sono finiti in una trappola burocratica

Nel frattempo, a qualcuno è anche scaduto il permesso che aveva. Adesso possiede soltanto la richiesta di rinnovo. Con questo non si può viaggiare. Comunque, c’è il serio rischio di rimanere incastrati tra le frontiere e perdere tutto.

Ma tutto cosa? Mentre la trappola burocratica si costruiva intorno a loro, infatti, sono successe molte cose. In questi due anni e mezzo in Italia, i giovani migranti hanno accumulato curriculum impressionanti. Decine di progetti tra cui un documentario, uno spettacolo con un liceo classico di Palermo, recitato in greco antico e bambara, una lingua africana. E la progettazione e l’avvio di “Giocherenda”. «Abbiamo bisogno di documenti in regola per portare avanti le nostre attività», dicono.

Il paradosso è che non hanno fatto nulla di sbagliato, anzi si sono impegnati con tutte le loro forze. È la legge che è cambiata. Adesso rischia di bandirli e di mandare all’aria tutti i loro sforzi per crescere loro e per far crescere il paese dove adesso vivono.

Linfa vitale

“Giocherenda” è un termine pular, una lingua parlata in parecchi paesi africani, composto dai termini “giuntura” e “linfa vitale”. Clelia Bartoli, docente dei ragazzi nel primo corso di italiano frequentato a Palermo, è rimasta molto colpita da questo termine. Spiega che si tratta del «fluido che, scorrendo nelle articolazioni, le tiene insieme e ne permette il movimento». Come dire: la vita nasce dall’unione.

L’assonanza con l’italiano “gioco” è dunque casuale, ma ha suggerito un’idea. Molti di loro sanno fare più cose. Soprattutto sono in grado di unire l’attività manuale a quella intellettuale: sono sarti, disegnatori, artigiani, formatori, attori. Così è nato “La ronda dei desideri”, un gioco cooperativo. «Lo scopo è coronare il proprio desiderio», si legge nella scheda del prodotto. «Si può giocare da 3 a 300 persone. Da 10 a 100 anni».

Giocherenda significa sia giuntura che linfa vitale

Come funziona? «È semplice», spiegano. «Apri la confezione di stoffa africana, prendi il tabellone di legno colorato a mano, le pedine fatte di tappi di bottiglia riciclati e i biglietti decorati artigianalmente. Decidi qual è il tuo desiderio.

Mentre le ruote girano sul tabellone, si decide il tuo destino. Ecco, le ruote si sono fermate. Sei un rifugiato in Alaska? Un gangster a Parigi? Probabilmente, come accade nella vita reale, il tuo desiderio era un altro. Puoi correggere il destino solo grazie alle tue virtù (“la resilienza”) e alla solidarietà (“gli aiutanti”).

Successo

In meno di 24 mesi, i ragazzi sono passati dalle onde assassine del Mediterraneo a una serie di incontri al Parlamento Europeo. Il gruppo di “Giocherenda”, infatti, lo scorso aprile è stato ricevuto a Bruxelles.
Erano tutti arrivati da poco in Italia tranne H., una ragazza di origine marocchina. Arrivata piccolissima a Palermo, ha rischiato l’espulsione perché al passaggio alla maggiore età ha perso la madre, cui era legata per il permesso di soggiorno.

A questo punto, per non finire in un paese dove non era mai vissuta, ha dovuto perdere molti giorni di scuola a causa di complicate pastoie burocratiche e per svolgere dei lavoretti che le permettessero di attestare un certo reddito e ottenere i documenti. Alla fine, a causa delle assenze, non ha superato l’anno, anche se aveva la media del “sette”.

I fondatori di Giocherenda non sono migliori degli altri. Hanno solo avuto le giuste opportunità

Nonostante le difficoltà, nessuno di loro si è perso d’animo. I risultati sono arrivati uno dopo l’altro. Hanno vinto il premio dell’agenzia europea Erasmus. Per conto della stessa organizzazione, hanno fatto da guide “turistiche” nel centro di Palermo. Non si sono limitati a mostrare monumenti, ma hanno evidenziato le radici meticce della città: quelle normanne di Santa Rosalia, quelle africane di San Benedetto.

L’azienda di alta moda Dell’Oglio, uno storico marchio cittadino nato a fine ‘800, ha organizzato una formazione del personale. La casa editrice Erickson, la più importante in Italia nel settore educativo, ha commissionato un gioco per una sua produzione.

I prodotti, poi, non sono solo oggetti da vendere ma l’occasione per “animare” incontri di ogni tipo, dalle scuole palermitane a quartieri come Ballarò, Zen, Ciaculli e Brancaccio, dove fu ucciso don Giuseppe Puglisi. Del resto, quando sono arrivati in Sicilia, i ragazzi hanno subito commentato: «Noi vogliamo aiutare gli europei». Perché? Intorno hanno trovato diffidenza, solitudine e paura. Hanno scoperto che, anche chi vive nel benessere, non è felice: «L’Europa ha bisogno di giocherenda e noi dobbiamo diffonderla».

Il contesto

Quando devono compilare un modulo, pagare i fornitori o controllare le fatture, i giovani imprenditori di Giocherenda si mettono intorno a un tavolo di “Moltivolti”, un co-working molto speciale nel quartiere di Ballarò. Quando devono usare forbici, pialle e colori, una stanza del “Centro Arrupe” diventa il loro laboratorio.

Sono due luoghi simbolici della lunga stagione del rinnovamento palermitano. Il primo è ormai un riferimento della città solidale: organizza viaggi in Senegal, è un ristorante multietnico e ha partecipato all’iniziativa di Mediterranea, la nave che effettua soccorsi in mare. Il secondo, gestito dai gesuiti, è il luogo in cui nacque la primavera del sindaco Leoluca Orlando, trent’anni fa.

«Questi ragazzi non sono migliori degli altri sbarcati in questi anni», commenta Bartoli. «Semplicemente, un contesto locale favorevole ha dato loro le giuste opportunità». Un contesto nazionale sfavorevole, invece, se le sta riprendendo.

 Questa storia è stata letta 1575 volte

La Spoon River dei braccianti

Il libro
La Spoon River dei braccianti

Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.

Condividi su facebook
Condividi su email
Condividi su whatsapp

Laterza editore

Lo sfruttamento nel piatto

Le filiere agricole, lo sfruttamento schiavile e le vite di chi ci lavora


Nuova edizione economica a 11 €

Lo sfruttamento nel piatto

Ricominciano le presentazioni del libro! Resta aggiornato per conoscere le prossime date