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Quando si immagina il “caporalato” nel Nord Italia, si pensa alle eccezioni. Pochi casi che, a macchia di leopardo, coinvolgono anche le campagne settentrionali. Non è così. Le vicende degli ultimi cinque anni ci mostrano tutt’altro. Un sistema con capisaldi precisi. La deresponsabilizzazione delle aziende, il subappalto generalizzato, il lavoro a chiamata. Interi settori e nuove economie – prima tra tutte quella dei rider – si muovono grazie a un vero caporalato moderno. Altrettanto brutale rispetto a quello tradizionale, ma a volte persino legale. Gli effetti sono povertà, sfruttamento estremo, ricatti e il peggiore dei paradossi: i lavoratori, pur dedicando quasi tutto il loro tempo alla produzione, rimangono poveri. O addirittura indebitati. Fino a desiderare il cottimo, l’autosfruttamento
La compagnia bananiera non aveva, né aveva avuto, né avrebbe mai avuto lavoratori alle sue dipendenze, perché li reclutava occasionalmente e in modo temporaneo
- Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine
L'amministrazione giudiziaria è un provvedimento "lieve", meno grave della confisca e del sequestro che di solito si applicano alle imprese mafiose. Prevede un commissario del Tribunale che affianca i manager delle società e controlla il rispetto dei diritti dei lavoratori, per un tempo definito.
Nel maggio 2020 il Tribunale di Milano ha disposto il commissariamento dell’azienda. L’accusa è di grave sfruttamento dei rider tramite società in subappalto. Successivamente il Tribunale ha considerato risolto il problema revocando il provvedimento di amministrazione giudiziaria.
Una multinazionale della logistica con sede legale in Olanda, un fatturato annuo da 7 miliardi e sedi in 160 paesi. Nei pressi di Pavia gestiva “la città del libro”, principale snodo della distribuzione libraria italiana. Da febbraio 2020 il provvedimento di amministrazione è revocato.
Una start up green, innovativa, a km zero. Ma il Tribunale di Milano ha deciso il commissariamento per il grave sfruttamento che si nascondeva dietro l'apparenza "ecologica".
Uno dei distretti agricoli più ricchi d'Europa. Eppure anche qui ogni anno si producono accampamenti. E sono presenti il caporalato e il lavoro grigio
La provincia di Cuneo produce 450 mila tonnellate di frutta l’anno.
Per la raccolta sono impiegati stagionalmente 40mila braccianti. Il 40% è di origine africana.
I prodotti sono in gran parte destinati all’export. Il 95% finisce nei supermercati in Germania, Francia, Stati Uniti.
La filiera prevede questi passaggi: braccianti, produttori, magazzini, Gdo estera. Il cuore è costituito dai “magazzini”, aziende di media e grande dimensione che convogliano la frutta dai piccoli produttori e contrattano i prezzi con i supermercati all’estero.
Chianti, Franciacorta, Astigiano
Richiedenti asilo prelevati nei Cas, lavoratori dell'Est sfruttati da cooperative spurie
Oltre 25 mila braccianti sono impegnati ogni anno nella vendemmia del vino italiano. Producono 48,5 milioni di ettolitri, prima quantità al mondo.
Le bottiglie finiscono negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania.
L'inchiesta "Number Dar" del 2016 racconta di storiche aziende vinicole del Chianti che sfruttavano, tramite società in subappalto, numerosi richiedenti asilo prelevati in un CAS di Prato.
Nel 2019, i richiedenti asilo erano costretti a lavorare anche 10 ore di fila nella zona del basso Lago di Garda. In Franciacorta, un'azienda che forniva oltre 160 lavoratori alle vendemmie della zona è finita sotto indagine.
Dal 2015 intorno a Canelli, a pochi passi da Asti, si segnalano casi di sfruttamento ai danni di lavoratori bulgari e macedoni, un giro di passaporti falsi, cooperative spurie che sottopagano i propri aderenti.
Il nodo fondamentale: le imprese agricole aumentano i profitti affidando la vendemmia a società esterne costituite spesso da stranieri che, a loro volta, sfruttano richiedenti asilo e migranti dell’Est.
Lo spostamento delle merci è un settore in crescita, organizzato per ottimizzare tempi e produttività. Ma a scapito dei diritti
Il meccanismo è sempre uguale. Corrieri, supermercati, grandi catene affidano la logistica, cioè il trasporto e la distribuzione delle merci, a cooperative in subappalto.
Nel polo logistico di Stradella, nei pressi di Pavia, 700 lavoratori in sciopero hanno bloccato per sei giorni le forniture nelle librerie italiane. Era il 2019. Protestavano contro condizioni spaventose. Per esempio spostare fino a 10mila libri in turni da 12 ore.
Nel distretto emiliano numerosi scioperi hanno messo in evidenza condizioni di sfruttamento. All'Italpizza, per esempio, solo dopo un duro sciopero sono migliorate le condizioni delle lavoratrici, molte di origine migrante, assunte con contratto multiservizi di pulizia e con i soliti subappalti.
In genere aprono e dopo tre anni chiudono. In questo modo assumono gli stessi lavoratori a condizioni economiche peggiorative. E chi protesta, semplicemente, non è riconfermato.
Questo sistema provoca una enorme evasione fiscale e contributiva. In particolare l'ammanco per l'Inps è gigantesco. A volte le cooperative, dato il grande giro di contante, riciclano per mafia, camorra e 'ndrangheta
Con un SMS o una chat, a qualunque ora. Così lavoratrici e lavoratori sono convocati. Devono essere reattivi rispetto ai picchi degli ordini. Sempre disponibili. La distinzione tra tempo libero e tempo del lavoro scompare. Così diventa impossibile anche prendersi cura dei figli.
Oltre 200 aziende, un indotto di 4500 lavoratori e un fatturato che arriva a 2 miliardi l’anno. L’export vale 430 milioni. In provincia di Bergamo c'è un distretto industriale considerato una delle eccellenze italiane. Ma che ha un doppio volto
Il territorio produce guarnizioni per auto. I clienti sono grandi marchi in Germania e Francia. In cima alla filiera, quindi, può esserci una lussuosa auto tedesca. Alcune fasi di lavorazione della gomma (sbavatura e cernita) sono spesso esternalizzate e svolte nelle case.
Le attività svolte nelle case sono sottopagate, anche 200 euro al mese. Negli stessi paesi, quindi, convivono imprenditori milionari e famiglie che vivono di carità. Per esempio alcune donne marocchine lavorano tutto il giorno in casa in mezzo alla gomma, con i bambini.
Le associazioni ecologiste i danni al territorio. Nel vicino lago d'Iseo, frequentato in gran parte da turisti tedeschi, c'è una montagna sommersa di gomma che risale ai decenni passati. Residui sono abbandonati nei torrenti. Nelle valli gli abitanti segnalano fumi nocivi e odori fastidiosi.
L'inchiesta "Free Work" rivela che ogni due anni le aziende in appalto chiudevano e riaprivano. Spesso erano "esterovestite", cioè operavano in Italia ma avevano sede oltre il confine
Diciannove operai originari del Bangladesh si sono costituiti parte civile nel 2019 accusando il sistema di sfruttamento che partiva da piccole ditte in subappalto e sarebbe terminato con Fincantieri. Quest'ultima azienda si è detta estranea ai fatti.
Nel 2019 la procura marchigiana avviava l’inchiesta “Global Pay”, ancora sulla filiera delle navi.
Sedici le società coinvolte e diciannove i denunciati, tra cui sei caporali.
Gli operai, già sottopagati, erano costretti a tagliarsi lo stipendio. In più, vivevano in alloggi fatiscenti.
L'indagine "Dura Labor" ha scoperto 150 operai bengalesi che lavoravano per pochi euro l'ora, fino a 14 ore al giorno.
La ditta si occupava della costruzione di yacht di lusso
"Sei malato? Vieni al lavoro!", dice uno dei capi. Oppure, in caso di infortunio sul lavoro, gli operai dovevano fornire una falsa dichiarazione al pronto soccorso, senza fare alcun riferimento al lavoro svolto.
La giurisprudenza parla sempre più spesso di "approfittamento dello stato di bisogno" per definire una delle caratteristiche della schiavitù moderna.
Quali sono gli esempi di "bisogno"?
- Non perdere il permesso di soggiorno
- Mantenere i figli nonostante famiglie disgregate
- Ripagare i debiti in seguito a un fallimento post crisi 2008
In qualche caso il bisogno è dovuto a eventi macroeconomici, in molti altri potrebbe essere eliminato da politiche sociali di sostegno al reddito e alle famiglie. O semplicemente eliminando il legame permesso di soggiorno - contratto di lavoro.
La legge 199 del 2016 permette di riconoscere il fenomeno del grave sfruttamento sulla base di tre indici:
- Salari palesemente difformi a quanto previsto dai contratti nazionali
- Orari di lavoro eccessivi e mancanza di pause e ferie
- Condizioni igienico-sanitarie inadeguate e situazione alloggiativa non idonea
Rispetto al precedente approccio, il focus non è più sull'intermediazione illecita ("il caporalato") ma sullo sfruttamento tout court.
Esiste grave sfruttamento anche in assenza di violenza e intimidazione. Eppure queste due componenti non mancano nei casi che abbiamo visto fino adesso.
Per i migranti la minaccia più frequente è quella di perdere il permesso di soggiorno e - di conseguenza - essere espulsi insieme alla famiglia nel paese di origine. In questo caso è una legge come la Bossi - Fini, legando contratto di lavoro e permesso di soggiorno, a creare le condizioni per lo sfruttamento.
Gli insulti sono frequenti in moltissimi casi. Dalla Straberry a Uber ai cantieri navali.
Non ci sono solo storie di lavoratori passivi nella mappa che stiamo sfogliando. In molti hanno avviato le inchieste con le loro denunce, hanno offerto testimonianze piene di dettagli oppure si sono costituiti parte civile. L’inchiesta di Monfalcone che ha sfiorato Fincantieri è partita dalla denuncia di 19 operai bangladesi. Durante il procedimento, nel 2019, sono stati riconosciuti come parte civile.
Le inchieste milanesi hanno acquisito consistenza solo grazie alle testimonianze dettagliate dei lavoratori africani.
Da segnalare il caso dei pastori rumeni che lavoravano dal mattino a notte fonda per 2,50 euro l’ora. Partiti dalle campagne tra Macerata e Ascoli, sono andati fino a Roma, presso la loro ambasciata, per denunciare gli sfruttatori.
Ormai da anni, nel triangolo della logistica Novara-Milano-Piacenza, è cresciuta una nuova generazione di sindacalisti. Sono migranti da tempo in Italia e ormai consapevoli della loro importanza nel cuore della logistica. Spesso è importante la presenza femminile. Non tollerano sfruttamento e umiliazioni razziste. Non hanno paura delle grande aziende e delle multinazionali. E spesso le sconfiggono ottenendo diritti, dignità, condizioni migliori.
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Un libro che indaga la filiera di alcuni prodotti agricoli ad alto rischio, dalle arance ai pomodori, all’uva.
Andando a ritroso dal supermarket ai centri di distribuzione, fino alle serre e ai campi, scopriamo che la brutalità del caporalato e la ‘modernità’ della globalizzazione convivono senza scontrarsi.
E che l’economia globale porta i contadini di Rosarno a competere con quelli brasiliani; i pugliesi con i cinesi; i piemontesi con gli spagnoli.
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