“Nutrire la nazione”. È la campagna lanciata da “Concordia”, un’organizzazione umanitaria inglese. Secondo il Guardian, una delle attività in corso è il trasporto aereo di 10mila lavoratori da paesi come Moldova, Ucraina, Georgia e persino dalle Barbados.
Se non ci fossero bisognerebbe importarli
Il progetto si scontra con le misure contro il coronavirus. In Bulgaria, per esempio, i braccianti sono considerati “lavoratori chiave” e possono spostarsi. Ma non ci sono compagnie aree di linea. Per cui le aziende inglesi stanno predisponendo voli charter.
“Noi ci mettiamo i soldi”, dice in sostanza Stephanie Maurel, responsabile di Concordia. “Ma vogliamo essere sicuri che gli aerei possono decollare”. L’impegno è ingente. Un volo da Sofia a Londra, che trasportava 229 persone, è costato circa 45mila euro.
Il Regno Unito ha votato la Brexit anche per evitare l’ingresso di lavoratori comunitari a basso costo. A causa delle nuove regole e della crescita delle economie dell’Est, già prima della crisi, era diminuito il numero di raccoglitori di frutta e verdura che passavano i confini britannici. Oggi sono stimati circa 90mila lavoratori in meno a causa del virus.
Una mappa mostra le aziende che hanno bisogno di personale e dei lavori disponibili. Secondo Maurel, “il rischio è la mancanza di frutta e verdura nei negozi. Gli asparagi e i fagioli iniziano tra un paio di settimane, i cetrioli all’inizio di aprile, i pomodori sono tutto l’anno. A maggio fragole e lamponi. Le lattughe da dicembre”.
Nick Marston, presidente della British Summer Fruits, che rappresenta i coltivatori di frutti rossi, ha riconosciuto che la sua industria “sta entrando in un’epoca senza precedenti”. L’anno scorso, il 98% dei raccoglitori di frutta – ora classificati come “lavoratori chiave” – proveniva dall’estero. La stragrande maggioranza da Bulgaria e Romania. Adesso i coltivatori britannici hanno contattato aziende del settore alberghiero per assumere personale in cassa integrazione.
Reclutare i parrucchieri
Anche Francia, Germania, Spagna e Svezia sono nella stessa situazione. Il ministro dell’Agricoltura francese ha rivolto un surreale appello a “un esercito ombra” di camerieri, fioristi, parrucchieri: “Dobbiamo produrre per nutrire i francesi”.
Germania e Francia hanno predisposto portali web per i cittadini che vogliono lavorare nelle campagne. Ma hanno bisogno rispettivamente di 300mila e 200mila lavoratori. Al momento hanno risposto alcune decine di migliaia di persone, che però si scontrano con la realtà del lavoro nei campi. Le mansioni agricole sono molto variegate: dalla raccolta alla potatura, dalla mungitura fino alla manutenzione delle reti antigrandine. Serve un periodo di apprendimento. E non è detto che tutti abbiano capacità e resistenza per affrontarle in mezzo a una pandemia.
Eppure in tutto il continente si moltiplicano gli appelli a studenti, cassintegrati e persino pensionati. La ministra italiana dell’Agricoltura aggiunge al consueto elenco i percettori del reddito di cittadinanza.
E Coldiretti propone ancora i voucher, aboliti qualche anno fa tra le polemiche per gli abusi che permettevano ai padroni e per la cancellazione dei diritti residui dei braccianti. “Ho parlato con molte aziende edili”, dice il presidente di Coldiretti. “Sarebbero ben felici di offrire ai loro lavoratori oggi disoccupati la possibilità di prestare servizio nei campi”.
Da Nord a Sud
In tutta Italia la combinazione tra leggi anti-migranti e provvedimenti d’emergenza sanitari genera effetti paradossali.
A Foggia, spiega Raffaele Falcone della locale Cgil, i numeri dimostrano che il sistema delle aziende si è affidato al caporalato come metodo di reclutamento della forza lavoro. Oggi paga quella scelta. I padroni dei campi sono paralizzati perché ovviamente i furgoni illegali non possono spostarsi.
A Rosarno più di 500 lavoratori sono bloccati nella tendopoli. È stata predisposta una mensa, a cui alcuni si sono ribellati, perché è l’unica cosa di cui non hanno bisogno. Sono abituati a prepararsi da soli i pasti. E del resto è l’unica attività possibile nel blocco che è stato imposto. Il vicepresidente della Regione Calabria, il leghista Nino Spirlì ha risposto: “Inaccettabile che i migranti rifiutino i pasti con la violenza. Ora i calabresi”.
È il consueto approccio caritatevole che ignora i bisogni reali e non pensa ai diritti. Quelli che hanno un lavoro non possono andarci perché in mancanza di un contratto regolare sono fermati in base alle norme contro il coronavirus. Quelli che non hanno un lavoro, visto che la stagione delle arance è ormai finita, vorrebbero andare nelle regioni dove sono iniziate le altre raccolte. La maggior vorrebbe partire con destinazione Saluzzo.
Qui le associazioni datoriali ribadiscono che mancano i lavoratori dei flussi e quelli dell’Est. Almeno 8mila persone. Anche qui l’idea è usare cassintegrati e poveri, cioè “chi deve integrare un reddito ridotto”. E i voucher. Infine, tutti concordano che non sarà più praticabile la “soluzione” Pas, cioè l’ex caserma destinata all’alloggio dei braccianti. In un posto del genere il distanziamento è semplicemente impossibile.
La crisi dell’agricoltura industriale
La Ministra Bellanova ha in programma un incontro con l’ambasciatore rumeno per chiedere “corridoi” speciali destinati ai braccianti.
“Se non si alzano i salari, per davvero i campi stavolta rimarranno senza frutta e verdura. La filiera agricola italiana dimostra la sua fragilità proprio perché per decenni ha compreso i diritti ed i salari dei lavoratori. Dall’alto verso il basso si é imposta nella catena una concorrenza sfrenata che ha fatto chiudere molte aziende, usando lavoro nero e grigio come strumento strutturale per contendersi lo spazio economico”, commenta Francesco Piobbichi dell’associazione Mediterranean Hope.
“Perché un rumeno dovrebbe venire a lavorare in Italia rischiando il contagio per pochi euro? Perché un disoccupato italiano deve andare a lavorare con una paga che non gli permette di vivere?
Nei campi in Italia rimangono solo i più disperati, che prendono talmente pochi soldi che nemmeno l’affitto possono permettersi. Per questo nascono i ghetti, perché la razzializzazione del lavoro parte dalla compressione salariale”.
In Italia, la Grande Distribuzione ha in mano circa il 70% della vendita di prodotti alimentari. In resto è gestito da piccoli esercizi e mercati rionali. Fino a poco tempo fa, la quota era divisa in maniera equa. I supermercati, nel panorama italiano, sono una novità piuttosto recente.
Anche se si verificasse l’ipotesi degli “scaffali vuoti” non significa che moriremo di fame. Dovremo riscoprire vecchi sistemi di fare la spesa o cercare alternative dirette. Sicuramente avremo necessità di accorciare la filiera.
Il Guardian ha recentemente raccontato la storia di Barikamà: migranti africani che procurano cibo sano agli italiani. E, nonostante la pandemia, lo consegnano a casa.