Camp Moria. Gli effetti dell’accordo Ue-Turchia

Viviana Fiorentino
  Solo tre miglia di mare separano l'isola di Lesbo dalla Turchia. In un sovraffollato campo profughi si vedono gli effetti dell'accordo tra Erdogan e Ue
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Moria non è la città splendente della Terra di Mezzo di Tolkien. È un piccolo villaggio a circa 8 chilometri da Mitilene, sull’isola di Lesbo, nel nordest del Mare Egeo, in Grecia. Ma è anche il luogo dove ha sede l’affollatissimo campo per migranti.

Solo 3 miglia di mare dividono Lesbo dalla Turchia e per questo è una delle rotte più frequenti verso l’Europa. I gruppi più numerosi sono quelli provenienti da Afghanistan (28%), Siria (24%) e Iraq (18%). Tra il 2018 e 2019 calano gli sbarchi registrati e, di conseguenza, diminuisce anche l’attenzione dell’opinione pubblica europea sull’isola. Ma, ancora oggi, l’isola dell’Egeo ospita il più grande centro d’accoglienza per migranti d’Europa; il campo di Moria è sovraffollato e le condizioni di vita restano difficilissime.

A seguito dell’accordo tra UE e Turchia (marzo 2016), gli arrivi in Grecia si sono sensibilmente ridotti, attestandosi intorno a quota 30 mila nel 2017 e nel 2018. Nella realtà, l’accordo ha aumentato i controlli alle frontiere, il numero di espulsioni e ha comportato pochi reinsediamenti. Inoltre, secondo l’accordo di Dublino, ha costretto i richiedenti asilo arrivati ​​in Grecia a chiedere protezione nello stesso paese, imponendo che i rifugiati non potessero lasciare l’isola su cui erano arrivati ​​fino a quando la loro richiesta di asilo non fosse stata accettata.

Moria è il centro di un affare più grande che l’UE ha concluso con la Turchia nel 2016, quando si era all’apice dell’arrivo dei rifugiati. L’accordo aveva lo scopo di frenare i flussi attraverso l’Egeo in cambio di aiuti in denaro e del trasferimento di alcuni rifugiati siriani dalla Turchia all’Europa. La Grecia ha lasciato che le sue isole fossero utilizzate come zona cuscinetto per impedire ai nuovi arrivati di raggiungere la terraferma e ha promesso di restituire la maggior parte dei richiedenti asilo in Turchia. Il contenimento era incentrato su cinque “hotspots “, tra cui Moria, dove i richiedenti asilo sarebbero stati registrati e avrebbero avuto un riparo. In realtà, la Turchia ha frenato le traversate marittime, l’UE ha consegnato denaro per gli aiuti e le altre disposizioni sono state dimenticate.

I profughi sono costretti a chiedere asilo in Grecia. Molti altri sono bloccati in Turchia

I dati UNHCR parlano chiaro sul numero di migranti sbarcati in Grecia negli ultimi anni: il picco massimo si è registrato nel 2015, con oltre 800 mila arrivi, molti dei quali transitati poi verso l’Europa Centrale e la Germania. Tra i migranti sbarcati nel 2018, il 40% era costituito da uomini, il 23% da donne e il 37% da minori. Nel 2017, 12.742 persone hanno fatto la traversata verso Lesbo e nei primi quattro giorni del 2018, 251 persone sono arrivate sull’isola. Qui, alcune testimonianze fotografiche del 2017.

Un corpo carbonizzato

Fine Settembre 2019. La prima luce dell’alba viene accolta da un lungo lamento, un pianto perso tra i tronchi contorti e le foglie d’argento e verdi degli ulivi che circondano il campo. Il corpo carbonizzato di una donna viene ritrovato tra le tende. Quello stesso giorno d’inferno, la polizia spara gas lacrimogeni contro una rivolta di migranti che protestavano per le lentezze dei pompieri nel rispondere alle fiamme.

Circa 17.000 persone vivono nelle tende e nei container in un’area progettata per non più di 3.000. I recinti sono sormontati da filo spinato e circondano terrazze in cemento e container che non possono più ospitare nemmeno un terzo della popolazione. Ogni giorno si allunga una fila di ore per raccogliere alimenti di base. Mohammad è stato bloccato qui per 10 mesi: condivide un container con altri 11 uomini, in attesa di scoprire se otterrà l’asilo e la possibilità di spostarsi verso l’Europa.

Le aggressioni sessuali sono comuni, anche su bambini e ragazzini. L’organizzazione Oxfam riferisce all’inizio dell’anno 2019 che “in alcuni casi estremi, le donne affermano di aver fatto ricorso ai pannolini di notte per evitare di dover andare in bagno dopo il tramonto”.

Disastrose le condizioni del campo. I bambini soffrono la mancanza di cibo, di alloggio e di una istruzione regolare. In troppi casi, non hanno neanche una famiglia. Più di 1.000 bambini rifugiati e migranti in Grecia non sono accompagnati, la cifra più alta dall’inizio del 2016.

I bambini

Ottobre 2019, Jules Montague racconta nel reportage del quotidiano The Guardian gli effetti psicologici dei traumi subiti dai bambini che sono fuggiti da conflitti violenti nei loro paesi di origine, per poi arrivare in un campo caotico e disumano.

Alla clinica pediatrica di Medici senza frontiere (MSF) nel campo di Moria, Jules racconta di Ayesha, una bambina di nove anni. Suo padre la adagia su un materasso della clinica. L’unico segno percettibile che la bambina è ancora in vita è il movimento lento della cassa toracica mentre respira. Il resto del corpo è quasi immobile. Da circa due settimane, Ayesha non apre gli occhi, non parla, non cammina. Nella clinica diagnosticano quello che potrebbe essere uno dei primi casi del campo di resignation syndrome. La sindrome rappresenta uno stato di chiusura e “ritiro” estremo che può durare per mesi o addirittura anni e si verifica nel contesto di un grave trauma psicologico.

Diciassettemila persone vivono in un’area progettata per tremila

Centinaia di questi casi sono stati già osservati in rifugiati e bambini richiedenti asilo in Svezia, mentre altri sono stati segnalati nel centro di detenzione di immigrazione offshore a Nauru in Australia.

I bambini affetti da questa sindrome chiudono semplicemente gli occhi e smettono di parlare, mangiare e bere. La prognosi è incerta. Quelli che si sono ripresi lo hanno fatto solo dopo aver raggiunto con la famiglia un posto stabile e che sentono come sicuro.

Respingimenti

Novembre 2019, quasi 17000 ospiti nel campo.  Il governo conservatore greco promette di fare qualcosa per i campi sovraffollati delle isole. Ma le cose non sembrano cambiare. Il vice governatore regionale, Dimitris Kursubas, sostiene la posizione del governo: i migranti che arrivano alle isole saranno distribuiti in tutta la Grecia. Secondo la rivista tedesca Spiegel, le autorità greche avrebbero deportato illegalmente migranti e richiedenti asilo in Turchia durante l’ultimo anno. Citando documenti del Ministero degli Interni della Turchia, la rivista riferisce che le operazioni illegali di rimpatrio sono state effettuate lungo il confine greco-turco nel nord del paese. Secondo quanto riferito, i nuovi arrivati ​​sarebbero stati rispediti direttamente in Turchia senza consentire loro di presentare domanda di asilo. Ma il governo greco nega.

I profughi provengono da paesi in guerra come Afghanistan (28%), Siria (24%) e Iraq (18%).

Dicembre 2019. Ultimo mese dell’anno. Parla Jessica Hanlon, per il Telegraph. Jessica è una dottoressa britannica che ha lavorato durante tutto il periodo natalizio nel campo di Moria. Racconta dei neonati e dei bambini del campo. Amina ha due anni ed è pallida, senza forze; ha la febbre. La maggior parte dei bambini impiega molto più tempo a migliorare perché sentono freddo e perché sono affamati.

Il paziente successivo è un bambino di quattro anni con la madre: hanno spinto tra la folla fuori, per riuscire a entrare. Tosse, febbre, diarrea, forte prurito. Un’eruzione cutanea diffusa su tutto il corpo con graffi e piaghe, puntine purulente sui glutei. Scabbia. Quasi senza acqua calda, troppe poche docce e pochi, se non nessuno, indumenti di ricambio, un trattamento efficace è quasi impossibile. E poi ancora il paziente successivo: un ragazzo di 14 anni che si è tagliato il collo con un coltello. È qui da solo e afferma di non avere più una famiglia.

Secondo fonti della BBC e le testimonianze degli psicologi operatori di MSF, un numero crescente di bambini si autolesiona e tenta il suicidio. Più di  7.000 bambini abitano attualmente nel campo. Negli ultimi tre mesi sono stati registrati 20 casi di autolesionismo  e due casi di tentato suicidio, in ragazzi tra i 12 e i 17 anni.

Zekria Farzad, un rifugiato adesso membro dell’organizzazione no profit Wave of Hope, ha fondato insieme ad altri collaboratori una scuola tra le tende e i containers: i bambini praticano l’arte e la musica e studiano la lingua inglese. Hanno cominciato dal nulla, adesso hanno tre classi, 1000 alunni e più di 20 insegnanti.

Circa 7mila bambini abitano nel campo

Secondo le normative greche, i medici non possono prescrivere farmaci per alleviare le sofferenze psicologiche. Molti volontari tra i medici sono tornati a casa per il periodo natalizio, ma un piccolo gruppo è rimasto.  Il meteo non guarda tra le tende del campo. L’inverno incalza. I bambini, come anche la maggior parte degli altri abitanti del campo, non hanno indumenti appropriati al freddo. Piove dal cielo, fango dalla terra.

Questa la chiusura del 2019 a Moria. Ad anno nuovo il governo ha pianificato il trasferimento di 2000 migranti dall’isola di Lesbo, e altre isole vicine, verso la terra ferma. Come anche promette di accelerare le pratiche dei richiedenti asilo, richiamando l’Europa sulle sue responsabilità.

Il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, ammonisce affermando che i “dati reali” parlano di un problema di “migranti non rifugiati”. Ma le tre principali nazionalità in cerca di asilo nelle isole greche nel 2019 provengono dall’Afghanistan, dalla Siria e dalla Repubblica Democratica del Congo, tutti paesi con conflitti attivi. I dati per i rifugiati dell’Agenzia delle Nazioni Unite mostrano che dei quasi 36.000 arrivi finora registrati nel 2019, i tre quarti provengono da paesi per i quali vi è un altissimo tasso di riconoscimento dello status di asilo. Nessun essere umano in cerca di rifugio merita di vivere così.

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