La politica italiana è ancora ossessionata dall'invasione di pochissimi migranti africani. Tanti segnali, invece, indicano che sta tramontando l'epoca degli imprenditori della paura. La realtà è un altra, per esempio gli italiani in fuga all'estero. In particolare quelli a rischio nel Regno Unito alla vigilia della Brexit
Condividi su facebook
Condividi su whatsapp
Condividi su email
Condividi su print
Nel 2002 uscì un libro dal titolo “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”. Era un elenco di vignette, nomignoli, articoli e film contro gli italiani emigrati in ogni angolo del mondo.
Il sottotesto dell’operazione era il seguente: “Non dobbiamo trattare male chi arriva in Italia, ricordiamoci di quello che abbiamo subito”.
Quando uscì il libro nessuno avrebbe immaginato che, a distanza di appena 15 anni, gli albanesi saremmo stati nuovamente noi.
Per prime vennero le statistiche. Numeri impertinenti di Censis e Istat segnalavano una ripresa delle iscrizioni AIRE, il registro delle residenze degli italiani all’estero. Non sembrarono cifre catastrofiche, perché la maggior parte rimaneva nei confini dell’Unione Europea. Di conseguenza, cambiava residenza solo chi ne aveva strettamente bisogno.
Poi venne la storia della “fuga dei cervelli”, l’idea consolatoria secondo cui partivano soltanto ricercatori poco apprezzati da un paese ingrato e inadatto ai giovani. Un’emigrazione high-profile. Niente di particolarmente doloroso.
Il 31 dicembre del 2018 potrebbe essere uno spartiacque, almeno nella percezione. Nel cielo di Londra, i fuochi d’artificio che hanno accolto il nuovo anno recitando in otto lingue il messaggio “London is open”. Le luci nel cielo notturno disegnavano le stelle dell’Unione Europea.
La cosa interessante, per noi, non è il messaggio anti–Brexit ma le lingue del messaggio. Tra le altre: polacco, spagnolo, italiano, rumeno. Come dire: non vi vogliamo cacciare. La Brexit non nasce come risposta alle migrazioni africane, ma a quelle intra-europee. Appunto lavoratori dall’Est e dal Sud del continente che – nella percezione degli inglesi – lavorerebbero con salari più bassi. Il famoso esercito di riserva.
Quanti sono gli italiani nel Regno Unito? Quanti rischiano di andare via con la separazione dalla UE? Alla seconda domanda, pochi giorni fa, ha risposto l’Home Office, con un video didascalico su Twitter. Le istruzioni per gli european workers sono semplici: resterà chi non ha precedenti penali e pagherà una tassa apposita.
EU citizens and their families will need to apply to the EU Settlement Scheme to continue living in the UK after 31 December 2020.
Molto interessante il commento di Repubblica, secondo cui sarebbe “irritante” la musichetta allegra che accompagnava il video. Irritante? Ma allora cosa dovrebbero dire quelli a cui abbiamo augurato di morire annegati, i migranti respinti di porto in porto, quelli costretti a comprarsi i permessi di soggiorno per evitare l’espulsione oppure a inseguire contratti di lavoro stabili per non perdere i documenti, nell’era della precarietà? Oppure il lavoro gratuito, la detenzione nei CIE, le sanatorie per sole colf, le crociate contro il cibo etnico, le proposte o i fatti per negare sanità, scuola, casa anche a chi si ammazza di lavoro.
Altro che musichetta allegra! Davvero si capiscono alcune cose solo provandole sulla propria pelle.
L’ennesima prova di una nuova percezione è lo spot natalizio di Conad, che ha sollevato polemiche politically correct sull’immagine della donna.
Purtroppo c’è dell’altro: abbiamo visto probabilmente la prima rappresentazione di massa della nuova emigrazione. Il lavoro arriva, ma all’estero, devi partire subito anche se è il giorno di Natale. Non è l’Islam a mettere in crisi le nostre tradizioni, ma il turbo-capitalismo. Ed è finita l’era dei choosy. O parti oppure rimani disoccupato. E pure quella dei bamboccioni, mamma e papà hanno finito i soldi per tenerti a casa. E pure quella della fuga dei cervelli, non ti hanno offerto una cattedra ad Harvard ma un lavoro del cavolo da qualche parte in Europa.
Tra parentesi, avremmo potuto impiegare gli ultimi quindici anni a dotare l’Italia di un progetto, almeno a pensare un progetto, magari un programma industriale, invece che puntare tutto sul precariato e su battute classiste o consolatorie, a seconda dei casi.
Ma ormai è fatta. Dunque, un consiglio. Non chiedete
frontiere chiuse ora che a partire sono i vostri figli. Come i ragazzi
nigeriani possono trovare sbarrato il porto di Pozzallo, loro rischiano un inaspettato
stop a Stansted.
P.s. Durante un’assemblea ho incontrato un giovane regista nigeriano, era un cervello in fuga arrivato col barcone. In Scozia è pieno di camerieri italiani arrivati in aereo. La realtà è più articolata dei luoghi comuni, per fortuna. E per quanto ti puoi prendere in giro, prima o poi la realtà prevale.
P.s. 2 Tutti quelli che pensano di stare meglio impedendo lo sbarco di 49 persone (49 persone!), sappiano che stanno prolungando la carriera di personaggi inutili e non stanno creando nessuna prospettiva né per sé né per i figli.
Questa storia è stata letta 1819 volte
Il libro
La Spoon River dei braccianti
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne. Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti. Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.
Ricominciano le presentazioni del libro! Resta aggiornato per conoscere le prossime date
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito, acconsenti all’uso dei cookieOkNoLeggi di più
Brexit. Adesso i rumeni siamo noi
Nel 2002 uscì un libro dal titolo “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”. Era un elenco di vignette, nomignoli, articoli e film contro gli italiani emigrati in ogni angolo del mondo.
Il sottotesto dell’operazione era il seguente: “Non dobbiamo trattare male chi arriva in Italia, ricordiamoci di quello che abbiamo subito”.
Quando uscì il libro nessuno avrebbe immaginato che, a distanza di appena 15 anni, gli albanesi saremmo stati nuovamente noi.
Per prime vennero le statistiche. Numeri impertinenti di Censis e Istat segnalavano una ripresa delle iscrizioni AIRE, il registro delle residenze degli italiani all’estero. Non sembrarono cifre catastrofiche, perché la maggior parte rimaneva nei confini dell’Unione Europea. Di conseguenza, cambiava residenza solo chi ne aveva strettamente bisogno.
Poi venne la storia della “fuga dei cervelli”, l’idea consolatoria secondo cui partivano soltanto ricercatori poco apprezzati da un paese ingrato e inadatto ai giovani. Un’emigrazione high-profile. Niente di particolarmente doloroso.
Il 31 dicembre del 2018 potrebbe essere uno spartiacque, almeno nella percezione. Nel cielo di Londra, i fuochi d’artificio che hanno accolto il nuovo anno recitando in otto lingue il messaggio “London is open”. Le luci nel cielo notturno disegnavano le stelle dell’Unione Europea.
La cosa interessante, per noi, non è il messaggio anti–Brexit ma le lingue del messaggio. Tra le altre: polacco, spagnolo, italiano, rumeno. Come dire: non vi vogliamo cacciare. La Brexit non nasce come risposta alle migrazioni africane, ma a quelle intra-europee. Appunto lavoratori dall’Est e dal Sud del continente che – nella percezione degli inglesi – lavorerebbero con salari più bassi. Il famoso esercito di riserva.
Quanti sono gli italiani nel Regno Unito? Quanti rischiano di andare via con la separazione dalla UE? Alla seconda domanda, pochi giorni fa, ha risposto l’Home Office, con un video didascalico su Twitter. Le istruzioni per gli european workers sono semplici: resterà chi non ha precedenti penali e pagherà una tassa apposita.
Molto interessante il commento di Repubblica, secondo cui sarebbe “irritante” la musichetta allegra che accompagnava il video. Irritante? Ma allora cosa dovrebbero dire quelli a cui abbiamo augurato di morire annegati, i migranti respinti di porto in porto, quelli costretti a comprarsi i permessi di soggiorno per evitare l’espulsione oppure a inseguire contratti di lavoro stabili per non perdere i documenti, nell’era della precarietà? Oppure il lavoro gratuito, la detenzione nei CIE, le sanatorie per sole colf, le crociate contro il cibo etnico, le proposte o i fatti per negare sanità, scuola, casa anche a chi si ammazza di lavoro.
Altro che musichetta allegra! Davvero si capiscono alcune cose solo provandole sulla propria pelle.
L’ennesima prova di una nuova percezione è lo spot natalizio di Conad, che ha sollevato polemiche politically correct sull’immagine della donna.
Purtroppo c’è dell’altro: abbiamo visto probabilmente la prima rappresentazione di massa della nuova emigrazione. Il lavoro arriva, ma all’estero, devi partire subito anche se è il giorno di Natale. Non è l’Islam a mettere in crisi le nostre tradizioni, ma il turbo-capitalismo. Ed è finita l’era dei choosy. O parti oppure rimani disoccupato. E pure quella dei bamboccioni, mamma e papà hanno finito i soldi per tenerti a casa. E pure quella della fuga dei cervelli, non ti hanno offerto una cattedra ad Harvard ma un lavoro del cavolo da qualche parte in Europa.
Tra parentesi, avremmo potuto impiegare gli ultimi quindici anni a dotare l’Italia di un progetto, almeno a pensare un progetto, magari un programma industriale, invece che puntare tutto sul precariato e su battute classiste o consolatorie, a seconda dei casi.
Ma ormai è fatta. Dunque, un consiglio. Non chiedete frontiere chiuse ora che a partire sono i vostri figli. Come i ragazzi nigeriani possono trovare sbarrato il porto di Pozzallo, loro rischiano un inaspettato stop a Stansted.
P.s. Durante un’assemblea ho incontrato un giovane regista nigeriano, era un cervello in fuga arrivato col barcone. In Scozia è pieno di camerieri italiani arrivati in aereo. La realtà è più articolata dei luoghi comuni, per fortuna. E per quanto ti puoi prendere in giro, prima o poi la realtà prevale.
P.s. 2 Tutti quelli che pensano di stare meglio impedendo lo sbarco di 49 persone (49 persone!), sappiano che stanno prolungando la carriera di personaggi inutili e non stanno creando nessuna prospettiva né per sé né per i figli.
Questa storia è stata letta 1819 volte
Il libro
La Spoon River dei braccianti
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.