Siamo indignati come precari e sfruttati, ma siamo contenti come consumatori di prodotti a basso costo. Su questa contraddizione si regge il circolo vizioso di merci che attraversano il mondo, sono prodotte violando ogni diritto e costano pochissimo. Finalmente uno sciopero nel cuore della logistica, e proprio ad Amazon nel giorno del Black Friday, inceppa il meccanismo
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Il grande capolavoro del capitalismo contemporaneo non è la contrapposizione tra i lavoratori, né quella tra migranti e autoctoni (storia vecchia ma sempre funzionante) ma quella – nuova – tra l’essere umano e sé stesso. Così l’uomo consumatore è in competizione e si scontra con l’uomo lavoratore. Anche se si tratta della stessa persona.
Ci arrabbiamo a morte se non ci fanno il contratto a tempo indeterminato ma ci consoliamo con un volo a 9,99 euro. Vogliamo un’assunzione come dipendenti ma compriamo pelati di pomodoro da 60 centesimi.
Il low cost, dal punto di vista del capitalismo, è la quadratura del cerchio. Come vendere ogni genere di prodotti e servizi a una massa di sottopagati, precari e sfruttati? Facendo in modo che tutto costi il meno possibile. Un sistema che attraverso la logistica e gli algoritmi, la produzione globale e la delocalizzazione permette a merci che hanno fatto il giro del mondo di costare pochissimo.
Prendete gli abiti: cotone turco (raccolto da rifugiati siriani), manifattura bangladese (in scantinati maleodoranti a rischio incendio), trasporto ad Amburgo, logistica e smistamento nei pressi di Pavia e vendita in ogni angolo d’Europa. Nonostante il giro di due continenti gli abiti costano pochi euro. Nel frattempo sono stati schiacciati i diritti di centinaia di lavoratori. E la loro legittima aspirazione alla felicità.
Il “Black friday” è la festa laica dei tempi nuovi. Ma, il 24 novembre 2017, la versione italiana della celebrazione mondiale del consumismo abbandona un colore lugubre per tingersi di una tinta più viva. Diventa “Red Friday”. Lo sciopero al magazzino di Amazon cade proprio nel momento in cui l’azienda è tesa a raggiungere obiettivi da primato con scatti di produttività, capi reparto minacciosi (anzi, team-leader) e la solita vecchia minaccia di licenziamento.
Eppure lo sciopero nel centro nevralgico delle merci è un segnale nuovo ma prevedibile. Arriva grazie a un sindacalismo combattivo che mette insieme italiani e migranti. Gente stanca di vivere in funzione dei flussi di ordini e dei capricci di vuole consumare sempre e a costo zero. Per poi vivere sulla propria pelle la stessa contraddizione, senza capirne il legame. Per poi prendersela con gli immigrati, proprio quelli che nel triangolo industriale tra Piacenza e Milano stanno difendendo i diritti di tutti.
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne. Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti. Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.
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Black Friday. Quando l’uomo-lavoratore si allea con l’uomo-consumatore. Cioè con sé stesso
Il grande capolavoro del capitalismo contemporaneo non è la contrapposizione tra i lavoratori, né quella tra migranti e autoctoni (storia vecchia ma sempre funzionante) ma quella – nuova – tra l’essere umano e sé stesso. Così l’uomo consumatore è in competizione e si scontra con l’uomo lavoratore. Anche se si tratta della stessa persona.
Ci arrabbiamo a morte se non ci fanno il contratto a tempo indeterminato ma ci consoliamo con un volo a 9,99 euro. Vogliamo un’assunzione come dipendenti ma compriamo pelati di pomodoro da 60 centesimi.
Il low cost, dal punto di vista del capitalismo, è la quadratura del cerchio. Come vendere ogni genere di prodotti e servizi a una massa di sottopagati, precari e sfruttati? Facendo in modo che tutto costi il meno possibile. Un sistema che attraverso la logistica e gli algoritmi, la produzione globale e la delocalizzazione permette a merci che hanno fatto il giro del mondo di costare pochissimo.
Prendete gli abiti: cotone turco (raccolto da rifugiati siriani), manifattura bangladese (in scantinati maleodoranti a rischio incendio), trasporto ad Amburgo, logistica e smistamento nei pressi di Pavia e vendita in ogni angolo d’Europa. Nonostante il giro di due continenti gli abiti costano pochi euro. Nel frattempo sono stati schiacciati i diritti di centinaia di lavoratori. E la loro legittima aspirazione alla felicità.
Il “Black friday” è la festa laica dei tempi nuovi. Ma, il 24 novembre 2017, la versione italiana della celebrazione mondiale del consumismo abbandona un colore lugubre per tingersi di una tinta più viva. Diventa “Red Friday”. Lo sciopero al magazzino di Amazon cade proprio nel momento in cui l’azienda è tesa a raggiungere obiettivi da primato con scatti di produttività, capi reparto minacciosi (anzi, team-leader) e la solita vecchia minaccia di licenziamento.
Eppure lo sciopero nel centro nevralgico delle merci è un segnale nuovo ma prevedibile. Arriva grazie a un sindacalismo combattivo che mette insieme italiani e migranti. Gente stanca di vivere in funzione dei flussi di ordini e dei capricci di vuole consumare sempre e a costo zero. Per poi vivere sulla propria pelle la stessa contraddizione, senza capirne il legame. Per poi prendersela con gli immigrati, proprio quelli che nel triangolo industriale tra Piacenza e Milano stanno difendendo i diritti di tutti.
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