Da quando il Ministro dell’Interno ha detto che per “i migranti è finita la pacchia”, non si parla d’altro. Da un lato c’è chi vuole dimostrare che non c’è mai stata, perché i migranti fanno una vita d’inferno. Dall’altra, c’è chi celebra l’affermazione salviniana.
Queste reazioni hanno una cosa in comune: rimangono nel “frame” disegnato da Salvini. Il leghista, infatti, ha ereditato da Berlusconi la capacità straordinaria di imporre l’agenda e i confini della comunicazione. Un esempio? Tutti siamo stati costretti a parlare della “pacchia”. Anche se si tratta di discussione senza senso.
Parlando di “migranti” ci riferiamo a una piccola parte della realtà, il richiedente asilo appena arrivato
Chi sono infatti i migranti? Ha un significato dire che i “migranti” stanno bene o male?
Di chi stiamo parlando? Senza saperlo, ci riferiamo al richiedente asilo “sbarcato” da poco e “ospitato” in un centro d’accoglienza. Ma dove sta scritto che il “migrante” è soltanto questo? Lo ha deciso Salvini, perché la sua propaganda parla solo di questo.
Poi si scopre che tra gli africani di Rosarno non ci sono soltanto “schiavi” e “disperati”, ma anche persone che provano a migliorare la propria condizione e quella degli altri. Tutti rimangono meravigliati.
E quanti conoscono i sindacalisti della logistica? In Italia ci sono lavoratori che lottano per tutti. Non importa che siano sudanesi, egiziani, italiani o peruviani. Sono una delle cose migliori che abbiamo.
La nazione è un concetto fluido. Per la Lega era la Padania, oggi è l’Italia
Proviamo a fare un esempio di “frame” differente: quello dei diritti universali.
Usciamo dallo schema della nazionalità (“noi italiani e i migranti”). Che tra l’altro è un concetto che la Lega disegna a piacimento: fino a qualche anno fa la loro patria finiva in Padania.
Non è facile imporre un quadro di riferimento. Ma non si può neanche restare nell’eterno “noi e loro”, contrapporre le morti di Pamela a Soumayla, dire che sono buoni e sentirsi rispondere che sono cattivi, rimanere incastrati in un dibattito surreale e lasciare vincere chi è maestro nel condurre il gioco.
Basta “pacchia”, usciamo dal frame di Salvini
Da quando il Ministro dell’Interno ha detto che per “i migranti è finita la pacchia”, non si parla d’altro. Da un lato c’è chi vuole dimostrare che non c’è mai stata, perché i migranti fanno una vita d’inferno. Dall’altra, c’è chi celebra l’affermazione salviniana.
Queste reazioni hanno una cosa in comune: rimangono nel “frame” disegnato da Salvini. Il leghista, infatti, ha ereditato da Berlusconi la capacità straordinaria di imporre l’agenda e i confini della comunicazione. Un esempio? Tutti siamo stati costretti a parlare della “pacchia”. Anche se si tratta di discussione senza senso.
Chi sono infatti i migranti? Ha un significato dire che i “migranti” stanno bene o male?
Di chi stiamo parlando? Senza saperlo, ci riferiamo al richiedente asilo “sbarcato” da poco e “ospitato” in un centro d’accoglienza. Ma dove sta scritto che il “migrante” è soltanto questo? Lo ha deciso Salvini, perché la sua propaganda parla solo di questo.
Poi si scopre che tra gli africani di Rosarno non ci sono soltanto “schiavi” e “disperati”, ma anche persone che provano a migliorare la propria condizione e quella degli altri. Tutti rimangono meravigliati.
E quanti conoscono i sindacalisti della logistica? In Italia ci sono lavoratori che lottano per tutti. Non importa che siano sudanesi, egiziani, italiani o peruviani. Sono una delle cose migliori che abbiamo.
Proviamo a fare un esempio di “frame” differente: quello dei diritti universali.
Usciamo dallo schema della nazionalità (“noi italiani e i migranti”). Che tra l’altro è un concetto che la Lega disegna a piacimento: fino a qualche anno fa la loro patria finiva in Padania.
Non è facile imporre un quadro di riferimento. Ma non si può neanche restare nell’eterno “noi e loro”, contrapporre le morti di Pamela a Soumayla, dire che sono buoni e sentirsi rispondere che sono cattivi, rimanere incastrati in un dibattito surreale e lasciare vincere chi è maestro nel condurre il gioco.
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Il libro
La Spoon River dei braccianti
Otto eroi, italiani e no, uomini e donne.
Morti nei campi per disegnare un futuro migliore. Per tutti.
Figure da cui possiamo imparare, non da compatire.