A tre anni dalla strage, uno dei più efferati episodi di violenza perpetrati negli ultimi anni contro la popolazione civile, “la situazione dell’ordine pubblico nella regione è di estrema gravità” ha detto il procuratore Edgardo Maya in una lettera inviata al presidente Alvaro Uribe. Maya ha sottolineato che nonostante il dispiegamento delle forze dell’ordine lungo il fiume Atrato, guerriglia e paramilitari mantengono una forte presenza nella zona, come denunciano da tempo il ‘Difensore del popolo’ Volmar Pérez, la diocesi di Quibdó e le organizzazioni indigene e afrocolombiane della regione.
Dopo la tragedia, secondo lo stesso Pérez, “la popolazione ha ricevuto aiuti per fare fronte all’emergenza umanitaria, ma non sono state adottate misure concrete per favorire il rientro degli sfollati”; con il fiume Atrato presidiato dai gruppi armati, l’economia di sussistenza degli abitanti della regione è praticamente paralizzata ormai da anni: estremamente rischioso, se non impossibile, andare a pesca o coltivare piccoli appezzamenti senza che vengano devastati nei frequenti scontri tra gruppi armati rivali; si stima che almeno 1.700 persone siano state costrette a lasciare Bojayá cercando fortuna nei villaggi vicini.
A più riprese, negli ultimi mesi anche l’ufficio colombiano dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha avvertito del pericolo di un nuovo e massiccio spostamento forzato della popolazione civile del Chocó a fronte della paura diffusa di ulteriori scontri tra le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) e i paramiliari delle Autodifese unite della Colombia (Auc) nei centri abitati.
[FB] – COLOMBIA 3/5/2005