12.727 mg/kg è la concentrazione di idrocarburi totali nel campione di terra secondo le analisi svolte dal laboratorio “PH srl” di Tavernelle (Fi).
I risultati dimostrano l’alto livello di contaminazione da idrocarburi in un terreno circondato da aziende agricole e pascoli, in cui per mesi sono state
abbandonate dall’Eni due cisterne colme di petrolio.
I valori superano quasi di cinque volte il limiti consentiti dai parametri Ecuadoriani previsti per i terreni agricoli.
Secondo la normativa italiana per i siti a “destinazione di uso verde pubblico, verde privato e residenziale” la concentrazione di idrocarburi totali sono di 200 volte superiori al massimo consentito (60mg/kg).
Gli idrocarburi pesanti sono altamente tossici e cancerogeni. Il solo contatto con materiali contaminati porta a estese irritazioni dell’epidermide. L’assunzione di cibo o acqua, in cui vi siano anche piccole tracce di idrocarburi, determina gravi disturbi gastroenterici, problemi di coagulazione, danni all’apparato respiratorio e al sistema immunitario.
Le Comunità indigene e contadine del Triunfo (circa cinquemila persone) denunciano da tempo problemi respiratori, gravi irritazioni dell’epidermide, danni all’agricoltura e allevamento.
Oltre all’alto livello di contaminazione dovuta agli scarichi di residui tossici nei fiumi e ai materiali di scarto abbandonati dall’Eni, le comunità locali sono state vittime delle “lluvia negra”, la pioggia al petrolio che dallo scorso novembre per tre volte ha investito e contaminato l’intera zona.
Secondo la Ong ecuadoriana Acciòn Ecologica, la pioggia nera è dovuta ai gas residuali bruciati dalla multinazionale nella stazione di pompaggio.
A Sud ha reso pubblica anche la politica di sviluppo energetico dell’Eni dei prossimi anni. Secondo il Master Plan 2004-2015 e il Piano Strategico 2004-2007 la multinazionale proseguirà nella via del petrolio malgrado il protocollo di Kyoto e fonti di energia alternative già utilizzabili.
A fronte di un utile operativo di circa 8 miliardi di euro all’anno l’Eni investirà solo 260 milioni di euro all’anno in Ricerca e Sviluppo. Di questi solo 1 milione di euro per l’idrogeno, considerata la fonte energetica pulita del futuro.
Secondo la strategia della multinazionale le fonti alternative e rinnovabili, come l’idrogeno, il solare fotovoltaico, l’idroelettrico, e l’eolico, sono ancora troppo costose paragonate al petrolio e al gas.
Per questo nei prossimi anni l’Eni espanderà ancora le sue frontiere petrolifere e le sposterà verso quei Paesi in cui estrarre petrolio costa ancora meno.
Secondo il Master Plan 2004-2015 le regioni da “abbandonare” sono quelli del Sud America considerati “politicamente instabili”. L’Eni si lancerà invece alla conquista del Golfo Persico e dei Paesi africani considerati “paradossalmente” più sicuri.
In realtà in Sud America il petrolio inizia ad essere più costoso. I governi di sinistra come quello di Lula in Brasile e di Chavez in Venezuela pongono dei limiti allo strapotere economico delle multinazionali e allo sfruttamento indiscriminato delle risorse. Con la stessa intensità i movimenti indigeni e contadini lottano contro le privatizzazioni delle risorse del loro Paese e scendono nelle strade e nei tribunali perché i loro diritti siano rispettati. In Ecuador e Bolivia hanno costretto alla fuga due Presidenti accusati di svendere il loro Paese alle politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. In Ecuador la Chevron-Texaco è stata portata in tribunale da 35 mila indigeni e contadini per “crimini ambientali”. L’accusa ha chiesto alla multinazionale 1.500 milioni di dollari d’indennizzo e la bonifica delle aree contaminate.
Per questo l’Eni prevede nel futuro di estendere le proprie attività in quei Paesi, come l’Iran, l’Iraq, Nigeria, Angola e Arabia Saudita, dove i “governi” sono compiacenti, in cui ci sono più riserve petrolifere e meno democrazia.
L’Eni non è solo una multinazionale quotata in borsa che protegge gli interessi dei suoi azionisti.
E’ anche il nome dell’Italia nel mondo, un “nome” per il 30% ancora di proprietà dello Stato italiano.
A Sud invita tutte le forze politiche democratiche, progressiste ed ecologiste a impegnarsi per un radicale cambiamento della politica dell’Ente italiano idrocarburi. Una svolta energetica “pulita” in linea con il protocollo di Kyoto, rispettosa dell’ambiente, dei diritti e la dignità delle comunità indigene e contadine.