Alcune, come l`attacco ad Hilla, sono nello “stile Zarqawi”, con centinaia di morti e feriti. Altre sono più spettacolari e sistematiche, come gli aeroplani Usa che bombardano abitazioni sospette a Ramadi, Hit o Mosul, o come gli omicidi ai posti di blocco a Najaf, o la caccia all`uomo dopo il coprifuoco che i cecchini fanno a Samara.
Nonostante tutta la retorica sulla “costruzione di una nuova democrazia”, la vita quotidiana per gli iracheni è ancora una lotta per la sopravvivenza. Un giorno tipico in Iraq comincia con la lotta per procurarsi le necessità quotidiane: una bombola di gas, benzina, acqua fresca, cibo e medicine. E si conclude con un sospiro di sollievo: “Alhamdu ilah” (grazie, Dio), per essere sopravvissuti alle minacce di morte, agli attacchi violenti, ai rapimenti ed agli omicidi.
Per un iracheno qualsiasi, persino avventurarsi in strada è un pericolo. La maggior parte degli omicidi non vengono neppure riportati. Cadaveri senza nomi, senza volti, senza identità, non sono più esseri umani. Diventano “il nemico”, l`”effetto collaterale”, oppure, nella migliore delle ipotesi, delle statistiche su cui discutere.
Nel marzo 1989 vari scrittori iracheni ed arabi contribuirono con i loro testi ad un libro intitolato Halabja, che condannava il regime di Saddam Hussein per aver attaccato civili con armi chimiche in quella città. Nella mia introduzione al libro allora scrivevo: “Si dice che siano morte 5.000 persone. Altri dicono 10.000. Noi diciamo: ad Halabja, nel giro di pochi minuti, Rasul, Piroz, Ahmed, Khadija, Sardar, Amina, sono stati uccisi. Ad Halabja, gli occhi non danno più luce”. Ora vediamo che la vita continua ad essere succhiata via dal nostro paese.
A due anni dall`inizio dell`occupazione gli occhi non danno più luce in molte città irachene. Migliaia di civili sono stati uccisi. Uno di loro si chiamava Hazim Ahmed al-Obaidi. Il 16 gennaio scorso, Hazim, cinquantasettenne, ha lasciato la propria casa per andare al lavoro. Aveva un negozietto in cui vendeva verdura, datteri ed altra frutta, a Mosul. Prima che se ne andasse, sua moglie gli ricordo` di portare a casa un po` di paraffina, se era possibile. Poi Hazim rise forte, abbracciando la figlioletta di quattro anni, Manar, che aveva detto di voler andare a lavorare con lui. Saluto` sua madre, salutó gli altri suoi figli: Dalal, 17 anni, Shahad, 12, Zayed, 11, e Maha, 9.
Hazim non è più tornato. E` stato ucciso, secondo testimoni oculari, da una pattuglia Usa. La sua auto era bruciata e, a causa del coprifuoco, la sua famiglia ha dovuto attendere il mattino successivo per andare a cercarlo. Due giorni dopo, il suo corpo carbonizzato e quasi irriconoscibile fu trovato. Per maggior sofferenza della famiglia, i soldati statunitensi li fermarono mentre trasportavano il cadavere, lo scoprirono e lo fotografarono.
Hazim non era un terrorista, né un sostenitore di Saddam. Era un uomo semplice e allegro che viveva per la sua famiglia, che era stato ferito durante la guerra Iran-Iraq, e che era sopravvissuto alla durezza delle sanzioni economiche durate anni, vendendo frutta e verdura.
Chi indagherà sul suo omicidio, chi risarcirà la sua famiglia, chi aiuterà i suoi bambini a dare un senso a questa tragedia? Se ne occuperà il governo iracheno ad interim, se ne occuperanno gli occupanti guidati dagli Usa?
A giudicare dall`importanza che entrambi danno ai diritti umani, la risposta è che entrambi non investigheranno sull`omicidio di Hazim, né su quelli di altri. I diritti umani, sotto l`occupazione, si sono dimostrati un miraggio.
Nel suo messaggio televisivo agli iracheni, nell`aprile dell`anno scorso, Tony Blair disse: “Il nostro scopo è aiutare ad alleviare le immediate sofferenze umane, e muoverci il più velocemente possibile verso un`autorità ad interim diretta dagli iracheni… che rappresenti i diritti umani e la regola della legge, e usi le risorse dell`Iraq per voi e per i servizi di cui avete bisogno”. Tanto basti per le illusioni: corpi carbonizzati, il massacro di bambini ad una festa di nozze, l`uccisione di detenuti, spari sulla folla alle manifestazioni, rapimento di civili: questi sono gli aspetti del “futuro migliore”. Le truppe di occupazione sono responsabili di una crescente lista di abusi, inclusi la tortura e l`assassinio di prigionieri iracheni.
Vedere un cadavere fotografato in mezzo ai sogghigni dei soldati statunitensi ad Abu Ghraib ha scosso la sensibilità morale delle persone in tutto il mondo. Prendere istantanee del corpo bruciato di Hazim ha scosso la fiducia della sua famiglia nell`umanità degli americani, così come in quella degli inglesi e degli iracheni che con essi lavorano.
Seguendo la linea dei governi Usa e britannico sui diritti umani, i membri del governo ad interim dell`Iraq hanno sorvolato sulle violazioni commesse dalle truppe di occupazione, sia ricordando che simili abusi avvenivano anche al tempo del regime di Saddam Hussein, sia etichettando le vittime come “terroristi”. Sotto il regime di Iyad Allawi, intanto, la nuova polizia irachena tortura i detenuti. La scorsa settimana è toccato a tre membri del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq. Dai leader del gruppo sono state chieste indagini immediate.
Ma costretti come sono a fronteggiare queste atrocità quotidiane, cosa ci aspettiamo che gli oppressi iracheni facciano?
Articolo pubblicato sul “Guardian” del 7 marzo 2005. Traduzione di Maria G. Di Rienzo. Haifa Zangana, scrittrice nata in Iraq, è stata prigioniera d`opinione durante il regime di Saddam Hussein.