“Mattei creò Descalzi affondò” si legge in un cartello che forse più di tutti sintetizza lo stato d’animo dei gelesi. Anche se il più apprezzato rimane un proposito che comincia a farsi largo tra gli operai. “Se volete il petrolio di Gela dovete succhiarcelo”. In una città che scopre l’etica del capitalismo, dove anche l’azienda “di Stato” tenta di privatizzare i profitti (concentrandosi sul redditizio Mozambico) e socializzare le perdite, parlare delle risorse che devono rimanere al territorio è quasi una scoperta. Specie se a farlo sono persone che, pur di mantenere il posto di lavoro, hanno accettato nel corso degli anni compromessi e corse al ribasso.
Ora che il filo che lega l’Eni a Gela sta per trasformarsi in un cappio, i lavoratori della Raffineria riscoprono l’importanza della lotta. Si chiamano compagni, si contano, invitano a venire ai presidi. Sono ancora pochi, pochissimi. E la solidarietà si limita alle insegne chiuse, coi negozianti che assistono alla manifestazione. Rimangono invece aperti i bar.
Il tragitto del corteo è breve, dal museo archeologico alla piazza principale. Non c’è neanche il tempo che si snodi del tutto. “A lasciar le cose in mano ai sindacati i risultati sono questi – lamenta Enzo Dragotta, lavoratore del diretto ed attivista No Muos. La prova è che gli spezzoni sono rimasti isolati, non si sono neanche mescolate le bandiere”. Anche l’UGL, il sindacato dichiaratamente di destra, lamenta il tentativo di marginalizzazione da parte delle altre sigle. “Finisce che a Gela sono loro a fare sindacalismo di base” osserva il giornalista Rosario Cauchi.
Quando giunge il momento degli interventi dal palco la linea sindacale è ormai chiara. Lavorare ad un rinvio del piano industriale Eni, che dovrebbe essere presentato agli azionisti il 30 luglio, per consentire ulteriori trattative col governo. Non a caso Susanna Camusso fa un invito al premier Matteo Renzi. “Quando a settembre verrà qui – sostiene la segretaria nazionale CGIL – dovrà farlo da azionista di riferimento”.
Si teme la fine di Termini Imerese. Solo che gli ex lavoratori dello stabilimento Fiat sono presenti in piazza. E fischiano il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta quando rinnova il paragone. “Non siamo più servi sciocchi – dice il due volte sindaco di Gela. Se l’Eni vuol andar via deve prima bonificare il sottosuolo”.