GELA – Al decimo giorno di presidi permanenti gli operai della Raffineria di Gela non mollano la presa. La stanchezza si fa sentire, i malumori serpeggiano, il nervosismo domina. Non è una lotta, hanno scritto su un cartellone, ma condivisione. Giorno e notte impediscono ai mezzi pesanti di entrare. Reclamano lavoro e dignità. Nessun volo pindarico, vogliono solo “portare il pane a casa”. Quando non hai più nulla puoi solo fare tutto, dice Cesare Basile, cantautore catanese che gli operai non hanno mai sentito nominare.
Succubi da sempre, i lavoratori gelesi hanno svenduto da tempo i propri diritti. Egoisti, hanno sempre delegato la propria esistenza. Ai sindacati, ai politici locali, ai venditori di fumo. Tutto pur di lavorare e “portare il pane a casa”. Senza farsi domande perché le risposte li avrebbero costretti a pensare. Cooptati sin dagli anni ’80, ciascuno di loro è stato assunto per merito di qualcun altro. Rinunciando a capire o meglio sapendo ciò che avveniva all’interno di mamma Eni e limitandosi ad accettarlo. Possibili denunce, possibili lotte che diventavano semplicemente chiacchiere al bar.
Ora che non hanno più nulla gli è rimasta la rabbia. E da questo sentimento ancestrale provano a ripartire. Se sono ancora male organizzati è perché, come manifesta Franco, “aspettiamo che le istituzioni e i sindacati ci dicano come dobbiamo andare avanti”. Pure per la protesta sarebbero pronti ad affidarsi ancora una volta a chi li ha portati alla situazione odierna. Certamente sfiduciati e in attesa paradossalmente di soluzioni esterne.
Ce l’hanno con Crocetta ma quando l’altro giorno il presidente della Regione Siciliana è venuto a rassicurarli sono scattati gli applausi. Ce l’hanno col sindaco di Gela Angelo Fasulo ma quando l’altro giorno il primo cittadino è venuto ad ascoltare le loro ragioni nessuno l’ha contestato. Attendono i consiglieri comunali che si fanno vedere in pochi e per poco tempo.
Soli ed isolati fanno fatica a far fronte comune. Quelli dell’indotto ce l’hanno con i “garantiti” del diretto perché “lottano semplicemente – sintetizza Franco – per rimanere a lavorare vicino casa, non rischiano il posto di lavoro come noi”. Ci sono gruppetti e leader carismatici. Viene apprezzato chi manifesta più energia quando si tratta di bloccare qualcuno e quelli in disparte subito additati, codardi e vili.
Eppure le lunghe ore e le lunghe giornate passate sotto vento e sole che non concedono tregue li hanno uniti. Continui confronti, scambi di idee su come intensificare gli sforzi. Si trova pure il tempo di giocare a carte. Divorano continuamente gelati portati loro da Nunzio. “Ti stai arricchendo con la nostra protesta” lo sfotte Marco. “Non è vero – ribatte il gelataio – sono molti quelli che non si possono pagare neanche la granita e allora gliela offro”. Anche i titolari di una rosticceria regalano cibo agli operai.
Con loro c’è anche il titolare dell’hotel Sole, struttura alberghiera che sta in mezzo tra il lungomare e l’industria. “Altro che turismo – dice – io lavoravo con le ditte collegate all’Eni. Per creare turismo ci vorrebbero almeno 20 anni di programmazione dopo la chiusura della Raffineria, e intanto che si fa? Per questo sono a fianco degli operai”. A fianco un uomo annuisce. “Abbiamo dovuto aspettare dieci giorni per avere solidarietà da qualcuno. Scrivilo pure che invece i politici che vengono non c’hanno portato manco un caffè”.