Blocchi, picchetti, sabotaggi

Gela, ora sono gli operai a bloccare la Raffineria

  Da una settimana la Raffineria di Gela è quasi del tutto inattiva. La risposta degli operai che rischiano il posto di lavoro non si è fatta attendere. Presidi e blocchi 24 ore su 24. Alcuni si sono spostati al metanodotto che fornisce gas dalla Libia. “Non c’è rimasto più nulla”. L’idea è di continuare e di organizzare una grande manifestazione cittadina.
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«Avete capito cosa vogliono fare questi signori (l’Eni … ndr)?» chiede il deputato gelese all’Ars Pino Federico a un capannello di operai che lo ascolta attentamente. «Vorrebbero trasformare questa Raffineria in un deposito di greggio, estrarre il nostro petrolio e lavorarlo da altre parti». Lo interrompe un giovane. «È già così –sostiene a gran voce – quelle navi che vede all’orizzonte senza i nostri blocchi avrebbero già portato via il grezzo».

Ad una settimana di distanza dalla notizia della chiusura della Raffineria di Gela gli operai rispondono con il blocco totale degli accessi allo stabilimento. Presidiano da 6 giorni e 6 notti le strade che conducono agli impianti. Non lasciano passare nessuno, neanche i turnisti, garantiscono solamente il cambio ai colleghi ogni 16 ore. Le petroliere cominciano ad affollarsi all’orizzonte. Prima 2, poi 4, oggi 6. A causa della mancanza di personale all’interno della fabbrica rimangono a galla nel litorale gelese. Alcuni operai intanto si sono spostati ai cancelli della consociata dell’Eni, “Green Stream”, da dove transita il gas proveniente dalla Libia attraverso l’enorme metanodotto sottomarino. Minacciano di bloccarne la fornitura, con conseguenze economiche disastrose per il colosso a sei zampe.

«Dopo la turbolenta assemblea sindacale di ieri – dichiara Natino Giannone – stiamo provando a stabilire una linea comune e ad avvicendarci ai blocchi. Giorno 18 ci sarà un incontro a Roma tra i vertici nazionali dei sindacati ed i dirigenti Eni. Fino a quella data l’intenzione è di sostenere i picchetti ed organizzare altri presidi in città per sensibilizzare tutta la popolazione, perché la lotta è di tutti». C’è anche in cantiere una manifestazione da tenere a Gela (le prime indicazioni suggeriscono la data del 20 luglio) che coinvolga anche i comuni dell’hinterland, da Niscemi a Butera a Mazzarino a Riesi.

Sempre ieri il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta è volato a Roma per discutere dei destini delle raffinerie dell’isola sia con i vertici dell’Eni che con il vice ministro allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti. «Chiederemo un risarcimento miliardario – ha dichiarato – se l’Eni confermerà nel piano industriale l’intenzione di abbandonare la Sicilia».

Ma le intenzioni della maggiore industria italiana rimangono al momento confermate. Anzi sono chiare da tempo. Il cambio di strategia è sotto gli occhi di tutti soprattutto con le decisioni prese il 02 luglio. Addio alle esangui raffinerie e trasformazione in oil company, sull’esempio delle major americane. Non a caso nei piani della società non c’è soltanto la dismissione degli impianti di Gela ma anche di quelli di Priolo, con la sola “piccola” raffineria di Milazzo che continuerebbe ad operare (lì la quota Eni è del 50%). Non è neanche una questione meridionale, coinvolte anche le raffinerie di Taranto, Livorno e Porto Marghera.

E a Gela la Raffineria negli ultimi anni ha portato avanti una politica fatta di tagli al personale e ricorso smodato agli ammortizzatori sociali. «Non c’è rimasto più nulla – chiosa Luigi. Chi sta terminando la cassa integrazione, chi è già in mobilità, chi ancora attende di essere assunto. Si sono presi tutto e adesso vanno via». Gli fa eco Giovanni, giovane operaio che l’altro giorno ha affrontato a muso duro il sindaco e da quel momento s’è guadagnato la stima e il rispetto dei colleghi. «Non ci sono alternative alla Raffineria – sospira sconsolato – perché le alternative le ha bruciate tutte la Raffineria».

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