Oumar ha trovato casa nel saluzzese insieme ad alcuni connazionali e durante l’inverno ha frequentato la scuola al Centro territoriale di Saluzzo. Alla scadenza del contratto, novembre dell’anno scorso, non è rimasto con le mani in mano ma ha cercato un lavoro per poter pagare la sua quota di affitto. Lo sa bene che per chi rimane sul territorio qualche occasione prima o poi si presenta: la campagna è grande, bisogna togliere le piante vecchie e mettere quelle nuove, potare, sistemare le reti antigrandine, fare la manutenzione degli impianti, etc…
Padroni brava gente
A quindici chilometri da casa (in bicicletta d’inverno non è una passeggiata!) gli hanno fatto un contratto per tre mesi a partire da gennaio. Il primo mese è andato tutto bene, anche se gli sembrava strano che il padrone lo portasse nei campi solo con sé, nonostante ci fosse lavoro anche per altri.
Poi, al momento di versare il compenso mensile, il padrone tergiversa, dice che non è contento del lavoro svolto, che ci sono dei problemi. Oumar insiste, educatamente, a voce bassa, come è suo fare abituale. Di quei soldi ha bisogno, poche centinaia di auro. Il padrone alza la voce, gli dice di non rompere le scatole e di tornare un’altra volta. Nei giorni successivi non si fa trovare al telefono e quando Oumar torna il tono è ancora più accesso: non è per niente soddisfatto e quei soldi non li vuole dare, addirittura minaccia il malcapitato se si farà rivedere.
Oumar è spaventato ma trova il coraggio di rivolgersi al sindacato per ottenere ciò che gli spetta. Nel frattempo si scopre che non è la prima volta che quel distinto imprenditore gioca uno scherzetto del genere a un suo dipendente. Tanto sono pochi soldi, tanto i migranti lasciano perdere, tanto se la storia viene fuori basta ripetere il solito ritornello che gli imprenditori sono tutti brava gente, rispettosi della legge e oberati da tasse inique, magari perfino generosi con gli africani.
Puglia – Piemonte
Drissa ha 19 anni e viene dal Mali, ha vissuto tutta l’estate a Guantanamo. Ha lavorato da luglio a metà novembre, tre contratti con due datori di lavoro diversi, 22 giornate lavorative previste, 33 segnate in busta paga, molte di più quelle effettivamente lavorate. A fine stagione, dopo aver ricevuto il suo denaro, una cifra ben al di sotto del salario previsto del contratto, è tornato in Puglia dove ha la residenza. A marzo si rivolge al sindacato per istruire la pratica per la disoccupazione ma, dai riscontri all’ufficio INPS, si scopre che i contributi relativi alle buste paga ricevute non sono stati versati. A Drissa non importano i contributi perché non godrà di una pensione in Italia, tuttavia senza quei versamenti non potrà raggiungere le giornate minime necessarie per avere quel sussidio di disoccupazione che gli serve per vivere quando non ha lavoro.
Denunciare significa avere la certezza di non lavorare mai più da quel padrone e magari anche rischiare altrove se la voce si diffonde. È la condizione tipica dei migranti, senza alcun potere contrattuale, ricattabili sempre, costretti al silenzio per non perdere il lavoro al quale è legato il permesso di soggiorno.
Illeggibile
Gotiba è nato in Costa d’Avorio, è in Italia da 3 anni e vive a Firenze ospite di parenti nel nostro paese “da quando c’erano ancora le lire”. Ha trascorso l’estate a Saluzzo ospite della Caritas. Il suo permesso di soggiorno era “in trattazione” presso la Questura di Ragusa dal mese di ottobre 2012, in attesa che la commissione si esprimesse per il rinnovo. Senza permesso, soltanto con una ricevuta della Questura ormai tutta stropicciata e a malapena leggibile, nessuno gli ha fatto un contratto e neppure lo ha fatto lavorare in nero. Sconsolato a fine stagione ha tentato di andare in Francia ma è stato fermato alla frontiera e mandato indietro. Senza un soldo in tasca, amareggiato perché non gli va di pesare sui parenti che lo ospitano ma non se la passano affatto bene, è tornato a Firenze per l’inverno. Vani tentativi di lavorare, inattività forzata e sempre più difficile da accettare, impossibilità di tornare al proprio paese d’origine.
Adesso vorrebbe tornare a Saluzzo per l’estate ma è stato convocato dalla Questura di Ragusa a giugno per ritirare finalmente il permesso di soggiorno: dopo 20 mesi di attesa! Probabilmente andrà da Firenze a Ragusa poi da Ragusa a Saluzzo ma a quell’epoca forse sarà tardi per trovare una sistemazione e un lavoro.
Modello Saluzzo
Tre storie ordinarie di migrazione, lavoro e permessi di soggiorno, diverse tra di loro e uguali a tante altre, mentre ancora i riflettori sono spenti sulla stagione saluzzese. Qualche migrante è già tornato ed è ospite degli amici che hanno affittato un alloggio, delle strutture di accoglienza cuneesi oppure è accampato da qualche parte con la speranza di non essere individuato dalle forze dell’ordine.
A Saluzzo c’è la campagna elettorale, i migranti sono un argomento spinoso. Il centro sinistra non esibisce più il “Modello Saluzzo” che avrebbe dovuto fare scuola in tutta Italia ma si limita a rilevare “i processi positivi di collaborazione tra istituzioni, mondo del volontariato, organizzazioni dei datori di lavoro e il dialogo aperto con i migranti alla ricerca di soluzioni quotidiane” e auspica di “progredire, pur con fatica, sulla strada della solidarietà coniugata con la legalità”; il centro destra tuona: “se vinceremo noi non tollereremo più accampamenti abusivi”. Entrambe le compagini si affrettano a tessere gli elogi degli imprenditori agricoli e della Coldiretti che li rappresenta.
Intanto la chiesa locale sta allestendo un campo solidale per 200 persone sullo stesso suolo dove sorgeva Guantanamò l’anno scorso. Il campo aprirà a metà maggio.
La stagione va ad iniziare dunque, con la speranza che si possa progredire, senza indugi e con determinazione, sulla strada che porta all’affermazione dei diritti dei migranti-lavoratori, superando gli ostacoli del razzismo subdolo o esibito e senza impantanarsi nella retorica dell’assistenzialismo.