Resilienza è un concetto comune a molte discipline. In psicologia è la capacità dell’individuo di affrontare le avversità, uscendone trasformato e rafforzato. I percorsi di vita dei migranti sono spesso monumenti alla resilienza. E la loro capacità di connettere culture somiglia alle reti peer to peer del web. Si può parlare di immigrazione fermandosi all'assistenza e al paternalismo. Oppure provare a ragionare di nuove opportunità. Soprattutto per gli italiani
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Monet visto da Bansky
In biologia la resilienza è la capacità di un ecosistema di ripristinare l’equilibrio compromesso da un evento traumatico. In informatica è il ripristino di un servizio dopo il disaster recovery. In ingegneria è la caratteristica dei materiali di resistere a forti urti senza spezzarsi.
Il concetto ritorna uguale nelle diverse discipline. In psicologia è la capacità dell’individuo di affrontare le avversità, uscendone trasformato e rafforzato. Quasi una sintesi dialettica. La resilienza dovrebbe essere un concetto chiave nell’Italia che sta affrontando un urto traumatico (la crisi e il precariato) che fa riaffiorare fantasmi recenti: la povertà del paese contadino, l’emigrazione.
Nel dibattito pubblico non c’è traccia di questo concetto e del soggetto che potrebbe farlo emergere: il migrante. Ovvero chi è per sua natura abituato ad affrontare un evento di svolta voluto o imposto (la partenza come scelta o come effetto di un conflitto). E ogni giorno deve riadattare l’esistenza, la mentalità e i comportamenti per raggiungere un livello superiore.
Dal disastro uno stato migliore
Un ecosistema dopo il disastro ambientale tende a ripristinare il suo stato iniziale. Un migrante in Italia affronta la reclusione in un centro, le umiliazioni sul lavoro, le aggressioni razziste, i licenziamenti o l’incubo burocratico del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro.
Non tutti riescono. Ma le donne dell’Est, i braccianti delle campagne, gli operai della logistica sono stati negli anni veri monumenti alla resilienza. C’è più capacità relisiente in una donna nigeriana che lavora in strada anziché in tutto il piagnucoloso precariato italiano messo insieme. Il film «Smetto quando voglio» ne è un buon esempio. La risposta al mancato contratto a tempo indeterminato è la scorciatoia dello spaccio: soldi facili e vita comoda.
Gli italiani hanno un bisogno disperato di aprirsi al confronto con storie di vita resilienti. Ovviamente l’immigrazione è anche fatta di naufragi, riduzioni in schiavitù, fughe da conflitti armati. Non è però solo questo. L’immagine del migrante non può rimanere confinata nel paternalismo: un essere monodimensionale bisognoso della nostra iniezione di carità. Lo chiamiamo disperato, schiavo, vittima. La retorica della marginalità ignora la dimensione globale del migrante. La pallida imitazione del politicamente corretto anglosassone annacqua le analisi. L’accoglienza resta la pratica prevalente anche quando lo straniero non vuole essere accolto e aspira solo a transitare. Discorsi noiosi che interessano appena pochi addetti ai lavori (lavori peraltro sempre più precari e bisognosi di “materia prima” sempre meno presente).
The complete graph
Un buon modello teorico è invece il grafo completo. Nella teoria informatica, è quella rete dove ogni punto è collegato a un altro in maniera simmetrica. Sono così le reti peer to peer dove lo scambio di dati in download e in upload è bilanciato per mantenere l’equilibrio e garantire la soddisfazione negli scambi di tutti gli utenti. Per esempio i torrent ma anche servizi di uso comune come Spotify. Non è solo un server centrale a erogare banda ma tutti gli utenti connessi.
Oggi il mondo globale somiglia al web. Il vecchio modello può essere paragonato a una rete a stella, dove gli utenti sono collegati a un solo computer. Era così il mondo basato sugli stati nazione, con le capitali come centro della stella. Ma adesso Bamako è collegata a Parigi come Marsiglia ad Algeri, Corigliano a Botosani e Accra a Rosarno. Stoccolma a Damasco e Huelva a Brasov. Tunisi a Vittoria e Lione a Marrakech.
Punti rete connessi da uomini che faticano a spostarsi e spesso perdono la vita transitando dalle frontiere. Ma anche luoghi-mondo che si incontrano, culture che viaggiano in tempo reale ed economie che si muovono con trasferimenti frenetici. Oggi i migranti scambiano con le reti denaro, cultura, esperienze. Arricchendo le rispettive patrie come mai in passato avevano fatto gli altri emigranti.
Adesso il problema è nostro. Dobbiamo rendere le reti paritarie e facilitare la circolazione. Essere connessi a questo mondo globale e pulsante è semplicemente nel nostro interesse: di paese impoverito, vecchio e provinciale.
Un buon esempio è l’esperienza della rivoluzione tunisina. Una primavera a due passi da casa, dove le nuove generazioni della capitale insieme ai lavoratori dell’interno hanno cacciato un dittatore che sembrava inamovibile. Era il 2011. Quasi stupiti per l’improvvisa apertura delle frontiere, tanti tunisini hanno attraversato il mare per vedere l’Europa. Sono stati trattati da invasori e delinquenti, in Puglia c’è stato persino chi ha organizzato la caccia coi cavalli per catturare i “clandestini”. Nessuna curiosità per quella esperienza unica. A distanza di anni il neopremier Renzi si è recato a Tunisi. Ha chiesto della nuova costituzione? Ha voluto di incontrare qualcuno dei giovani blogger che a 19 anni hanno sfidato la polizia politica di una dittatura feroce? No. Ha parlato di controllo delle frontiere. Quindi di punti rete da bloccare.
Grazie per suggerimenti e ispirazioni a :Yvan Sagnet, Sara Prestianni, Giusy D’Alconzo, Alberto Mossino
Appunti per una nuova teoria
Resilienza e grafo completo. L’immigrazione è una rete peer to peer
In biologia la resilienza è la capacità di un ecosistema di ripristinare l’equilibrio compromesso da un evento traumatico. In informatica è il ripristino di un servizio dopo il disaster recovery. In ingegneria è la caratteristica dei materiali di resistere a forti urti senza spezzarsi.
Il concetto ritorna uguale nelle diverse discipline. In psicologia è la capacità dell’individuo di affrontare le avversità, uscendone trasformato e rafforzato. Quasi una sintesi dialettica. La resilienza dovrebbe essere un concetto chiave nell’Italia che sta affrontando un urto traumatico (la crisi e il precariato) che fa riaffiorare fantasmi recenti: la povertà del paese contadino, l’emigrazione.
Nel dibattito pubblico non c’è traccia di questo concetto e del soggetto che potrebbe farlo emergere: il migrante. Ovvero chi è per sua natura abituato ad affrontare un evento di svolta voluto o imposto (la partenza come scelta o come effetto di un conflitto). E ogni giorno deve riadattare l’esistenza, la mentalità e i comportamenti per raggiungere un livello superiore.
Dal disastro uno stato migliore
Un ecosistema dopo il disastro ambientale tende a ripristinare il suo stato iniziale. Un migrante in Italia affronta la reclusione in un centro, le umiliazioni sul lavoro, le aggressioni razziste, i licenziamenti o l’incubo burocratico del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro.
Non tutti riescono. Ma le donne dell’Est, i braccianti delle campagne, gli operai della logistica sono stati negli anni veri monumenti alla resilienza. C’è più capacità relisiente in una donna nigeriana che lavora in strada anziché in tutto il piagnucoloso precariato italiano messo insieme. Il film «Smetto quando voglio» ne è un buon esempio. La risposta al mancato contratto a tempo indeterminato è la scorciatoia dello spaccio: soldi facili e vita comoda.
Gli italiani hanno un bisogno disperato di aprirsi al confronto con storie di vita resilienti. Ovviamente l’immigrazione è anche fatta di naufragi, riduzioni in schiavitù, fughe da conflitti armati. Non è però solo questo. L’immagine del migrante non può rimanere confinata nel paternalismo: un essere monodimensionale bisognoso della nostra iniezione di carità. Lo chiamiamo disperato, schiavo, vittima. La retorica della marginalità ignora la dimensione globale del migrante. La pallida imitazione del politicamente corretto anglosassone annacqua le analisi. L’accoglienza resta la pratica prevalente anche quando lo straniero non vuole essere accolto e aspira solo a transitare. Discorsi noiosi che interessano appena pochi addetti ai lavori (lavori peraltro sempre più precari e bisognosi di “materia prima” sempre meno presente).
The complete graph
Un buon modello teorico è invece il grafo completo. Nella teoria informatica, è quella rete dove ogni punto è collegato a un altro in maniera simmetrica. Sono così le reti peer to peer dove lo scambio di dati in download e in upload è bilanciato per mantenere l’equilibrio e garantire la soddisfazione negli scambi di tutti gli utenti. Per esempio i torrent ma anche servizi di uso comune come Spotify. Non è solo un server centrale a erogare banda ma tutti gli utenti connessi.
Oggi il mondo globale somiglia al web. Il vecchio modello può essere paragonato a una rete a stella, dove gli utenti sono collegati a un solo computer. Era così il mondo basato sugli stati nazione, con le capitali come centro della stella. Ma adesso Bamako è collegata a Parigi come Marsiglia ad Algeri, Corigliano a Botosani e Accra a Rosarno. Stoccolma a Damasco e Huelva a Brasov. Tunisi a Vittoria e Lione a Marrakech.
Punti rete connessi da uomini che faticano a spostarsi e spesso perdono la vita transitando dalle frontiere. Ma anche luoghi-mondo che si incontrano, culture che viaggiano in tempo reale ed economie che si muovono con trasferimenti frenetici. Oggi i migranti scambiano con le reti denaro, cultura, esperienze. Arricchendo le rispettive patrie come mai in passato avevano fatto gli altri emigranti.
Adesso il problema è nostro. Dobbiamo rendere le reti paritarie e facilitare la circolazione. Essere connessi a questo mondo globale e pulsante è semplicemente nel nostro interesse: di paese impoverito, vecchio e provinciale.
Un buon esempio è l’esperienza della rivoluzione tunisina. Una primavera a due passi da casa, dove le nuove generazioni della capitale insieme ai lavoratori dell’interno hanno cacciato un dittatore che sembrava inamovibile. Era il 2011. Quasi stupiti per l’improvvisa apertura delle frontiere, tanti tunisini hanno attraversato il mare per vedere l’Europa. Sono stati trattati da invasori e delinquenti, in Puglia c’è stato persino chi ha organizzato la caccia coi cavalli per catturare i “clandestini”. Nessuna curiosità per quella esperienza unica. A distanza di anni il neopremier Renzi si è recato a Tunisi. Ha chiesto della nuova costituzione? Ha voluto di incontrare qualcuno dei giovani blogger che a 19 anni hanno sfidato la polizia politica di una dittatura feroce? No. Ha parlato di controllo delle frontiere. Quindi di punti rete da bloccare.
Grazie per suggerimenti e ispirazioni a :Yvan Sagnet, Sara Prestianni, Giusy D’Alconzo, Alberto Mossino
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La Spoon River dei braccianti