Diritti negati

Brasile: oltre 500 morti in Pará per la terra e la difesa delle foreste

  Il Parà é tra gli Stati più violenti del Brasile, dove l’impunità regna sovrana. In 18 anni sono morti ammazzati 521 persone nel conflitto per il possesso della terra. Suor Dorothy Stang, il sindacalista Soares da Costa Filho e il contadino Cláudio Branco sono le ultime vittime.
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Hanno creato un piccolo cosmo di sviluppo sostenibile. Li stanno ammazzando, uno a uno.

“La morte della foresta è la fine della nostra vita”. Non si stancavano di ripeterlo, mai. E adesso sono morti, brutalmente assassinati da chi, invece, vede nella foresta una miniera di soldi, un pozzo senza fine di ricchezze da sfruttare. Suor Dorothy Stang, il sindacalista Soares da Costa Filho e il contadino Cláudio Branco sono stati freddati con una raffica di colpi in pieno petto. La lista dei martiri per la causa amazzonica così si allunga. Nuovo sangue, nuove morti, nuovi volti si uniscono a quello di Chico Mendes o Ademir Alfeu Federicci, di tutti coloro che hanno perso la vita lottando per il popolo amazzonico, per uno sviluppo sostenibile, per la terra ai contadini.

Un triste primato. E adesso il Parà sale di prepotenza in cima a una tragica classifica: quella degli stati più violenti del Paese, in cui l’impunità regna sovrana. In diciotto anni può vantare il triste primato di 521 morti ammazzati per il possesso della terra, omicidi dei quali solo un minima parte seguiti da regolari processi.

Per i venditori di legname, i proprietari terrieri e i grileiros (coloro che si appropriano della terra prepotentemente e senza diritti) è ormai norma terrorizzare e minacciare coloro che perseguono i progetti di sviluppo sostenibile, coloro che predicano la giustizia e i diritti umani.

Contro il silenzio. Violenze da parte di fazendeiros e di madeireiros armati e incappucciati, che attaccano come furie le case dei contadini, ne sequestrano i beni, distruggono i raccolti, sradicano le palizzate, i recinti, mettendo in fuga famiglie intere, sono da anni all’ordine del giorno. L’intento è impossessarsi di ettari preziosi, falsificarne i documenti di proprietà e farne quel che si vuole. Ricavarne i legni pregiati e poi incendiare la selva rimanente che, disboscata, diventa pascolo da trasformare in terreno da coltivare, magari a soia. Da lì il passo verso il commercio è molto breve. Il Brasile è uno dei maggiori esportatori di soia del mondo.

Una spirale infernale, che cresce e continuerà a farlo se protetta dal silenzio, dalla paura, dall’omertà.

Un altro mondo è possibile. Denunciare era infatti la parola d’ordine di persone come Dorothy, Soares e Claudio. Gente che non si stancava di ostacolare, di opporsi a queste scorribande, di gridare al mondo le ingiustizie. E il tutto pienamente consci di rischiare la vita ogni singolo giorno.

Con i loro progetti di sviluppo sostenibile hanno studiato il modo di rendere armonico il rapporto fra l’imponente e fiera foresta con le esigenze socioeconomiche di interi villaggi. E i risultati sono sorprendenti. Nella sola Anapu, la culla di Dorothy e Claudio, oltre cinquecento famiglie hanno trasformato un`area ben recintata di 1400 chilometri quadrati in una comunità perfetta. E l’hanno chiamata Esperança. Qui coltivano rispettando la natura, con un’agricoltura a bassa intensità, prendendo i frutti della foresta e attingendo alle altre immani ricchezze che naturalmente offre. Un microcosmo ideale, ispirato agli equilibri atavici degli indios. Un paradiso off limits per infuriati taglialegna in cerca di mogano. Un esempio troppo pericoloso per i grandi proprietari terrieri assetati di monoculture da agrobusiness. Col lavoro di ogni giorno hanno dimostrato concretamente che lo sviluppo sostenibile si può fare, che una civiltà in perfetta armonia con la natura è realizzabile, che un altro mondo è possibile.

E le forze dell’ordine? Può essere che siano state così negligenti, incompetenti e conniventi da non muovere un dito per arginare tutto ciò? Associazioni, movimenti sociali, organizzazioni civili, Chiesa e in particolare suor Dorothy e i suoi hanno instancabilmente denunciato tutto ciò, hanno sempre gridato lo stato di tensione e di pericolo in cui erano avvolti Anapu e dintorni.

Come denuncia Jean-Pierre Leroy, relatore nazionale per i Diritti umani e l’ambiente, la polizia statale e federale è stata incapace di garantire la sicurezza nella regione. Ma quel che è peggio è che quella statale si è addirittura allineata agli interessi dei fazendeiros e dei madeireiros.

Chi vivrà… E adesso? Qualcosa cambierà? Intanto duemila soldati sono arrivati a presidiare l’area e Lula ha ordinato la creazione di un parco naturale di 8 milioni di ettari, nel nord del Pará, proprio nella zona di suor Dorothy.

Non solo. Anche l’Isitituto nazionale di colonizzazione e riforma agraria (Incra) si è pronunciato: “L’area del progetto Esperança sarà la prima terra ad essere legalmente affidata alle cinquecento famiglie che la coltivano. La prima di una lunga lista di espropri e riconoscimenti che l’Incra ha intenzione di eseguire nei prossimi giorni”. Un primo passo verso la riforma agraria tanto promessa e altrettanto rimandata da Lula o solo parole di circostanza? Chi resterà vivo, vedrà.

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