Quel che succede a Sigonella, gigantesca installazione militare americana appena fuori le porte di Catania, descritta giustamente come la “portaerei del Mediterraneo”, il suo impatto sul territorio, il grave rischio ambientale, e non solo, per tutti i paesi vicini, le sue strategie di morte sul piano dei conflitti internazionali e le sue squallide ma quotidiane “relazioni” con le famiglie mafiose dominanti nell’area orientale dell’isola, sono noti ormai grazie anche alla formidabile e dettagliata documentazione prodotta; questo interessante ed utilissimo seminario oltre a permetterci di “fare il punto della situazione” su ciò che è stata a ragione definita “la bomba Sigonella”, catalizza conoscenza, impegno e volontà di cambiamento, finalizzando gli sforzi di ognuno al risultato non più rinviabile di una riconversione civile dell’impianto militare.
Le gravi contraddizioni maturate dal dopoguerra ai nostri giorni ed emerse nell’ambito di numerose ed opportune riflessioni sulla presenza nella Piana di Catania della più importante base “a stelle e strisce” operante sul territorio italiano, non riguardano soltanto il livello dei rischi strettamente connessi alle attività belliche, ma giorno per giorno, inevitabilmente, esse caratterizzano ogni rapporto tra le “autorità competenti” all’interno della base e le imprese locali che attraverso meccanismi perversi ed oscure collusioni vi si aggiudicano le commesse: gare d’appalto “in odor di mafia”, assunzioni “atipiche” e contratti “capestro” nell’impiego dei lavoratori civili dello scalo hanno determinato nell’ultimo decennio una serie di conflitti e di rivendicazioni senza precedenti nella storia delle lotte sindacali all’interno degli aeroporti militari.
“Il Popolo dei Cancelli”, quei lavoratori che si sono opposti ad una vita senza lavoro e dignità, la loro lotta, ufficialmente non esistono più: così dice la propaganda dei padroni di tutti i colori e dei loro servi, di tutti i colori. Ora “tutto è cambiato”: sì, ma probabilmente “per restare tutto com’è”. Uno scenario fatto di resistenza vera di pochi irriducibili, in un contesto di aziende che cambiano solo casacca e di subalternità totale di quelli che ufficialmente vengono ancora chiamati sindacati. Ma veniamo allo specifico. Nell’ottobre del 2002, dopo 5 anni di appalto dei servizi aeroportuali alla famigerata Pae-Am, il committente americano sullo scalo, la U.S Navy, ha ritenuto di assegnare il contratto per i prossimi sette anni ad una cordata di recente costituzione, l’ALGESE (Alisud più Gesac più Servisair), che ha vinto con un ribasso del 2% rispetto all’offerta della “S.A.”, pessima riedizione della Pae-Am con qualche socio in meno, qualche dirigente in più ed un programma aziendale da far accapponare la pelle, a partire dalla riduzione dell’organico. Il biglietto da visita del nuovo consorzio consta invece di due operazioni apparentemente significative, il test “psico-attitudinale” e quello “tecnico-professionale”, per ricollocare “opportunamente” il personale (l’Alisud il personale lo conosceva, e bene, dai primi anni settanta), e la riassunzione, -stesso livello-stesso stipendio del ’97-, di un sindacalista ex Filt Cgil che la Pae aveva voluto fuori, protagonista di un angoscioso ed estenuante “tour de force” processuale dopo 7 anni ancora non del tutto concluso, come spesso accade di questi tempi, quando ha ragione il lavoratore ed ha torto il padrone.
I risultati del test sono “sorprendenti”: impiegati diventano operai, operai diventano impiegati, i soliti noti, gli “”amici degli amici”, che guadagnano posizioni e la stragrande maggioranza dei lavoratori vessata come prima, più di prima… le speranze di quanti hanno lottato per anni senza risparmiarsi mai né d’estate né d’inverno, portando avanti con coraggio e determinazione una vertenza durissima con oltre 4000 ore di sciopero e 46 giorni di digiuno, subendo cariche e denunce dalla polizia di Prodi senza mai deflettere o desistere nonostante la concertazione tra i sindacati ed il “regime”, sono state frustrate, le loro aspirazioni deluse, la loro dignità ulteriormente e gravemente ferita. E’ una lezione importante, che i lavoratori a Sigonella devono imparare per tutte le occasioni prossime venture che riguarderanno la loro realtà o quella di altri lavoratori: è una questione di classe, e non ha nulla a che fare col nome del padrone o col colore della tuta. L’Algese pianta le tende nello scalo siciliano la notte del 31 ottobre 2002, forte di un “radicamento” vincente a Capodichino. Ma tra le due realtà avvicendatesi, per quanto concerne i lavoratori, non c’è in comune solo “stipendio e contingenza”. Infatti a Sigonella l’Algese tira fuori un bel coniglio dal suo cilindro: una “piattaforma aziendale” finalizzata al contenimento ed alla compressione di tutte le voci dell’integrativo (piattaforma identica nella forma e nei contenuti a quella presentata durante la gara della sopracitata “S.A.”), nella quale stella di prima grandezza è la riduzione dell’assenteismo. Come?
Tartassando il lavoratore sulla base delle assenze per malattia: bastano sette giorni in un anno per fare perdere oltre 1.700,00 euro al lavoratore ammalato, che così oltre ad essere ammalato, sarà pure ulteriormente disperato. Piattaforma calata dall’”Olimpo” sulla testa dei rappresentanti sindacali che non solo non si oppongono minimamente ma firmano immediatamente ed unanimemente, conseguendo appunto cinque assunzioni clientelari, una per sindacato. Ai protagonisti delle lotte di ieri, irriducibili ancora oggi, l’azienda ha riservato un “trattamento di favore”. “Siccome sono troppo visibili, e qualunque riconoscimento potrebbe significare per gli altri un compromesso, una pregressa complicità, un “privilegio”, non solo non daremo loro nulla ma comprimeremo il loro ruolo, dequalificheremo il loro lavoro, li sottoporremo a note di servizio e vessazioni, appesantiremo le loro mansioni e li indurremo ad andarsene, così nessuno penserà che c’erano alleanze o situazioni di comodo”. Quei lavoratori perciò si attrezzano: questo tempo è ancora più duro e difficile di quanto non lo sia stato il passato più prossimo, ed allora bisogna ancora rimboccarsi le maniche e lottare, lottare per esserci, per lavorare, e non solo per sopravvivere ma per riaffermare una dignità che non muore.
Nascono nuove esperienze di sindacalismo di base, si organizzano (tre mesi dopo l’infausto “insediamento”) le prime assemblee . Una squadra di avvocati (da Milano a Roma a Catania) collaborano per la tutela legale dei più esposti. Il conflitto non è solo inevitabile: è giusto e necessario. Mantenere le proprie posizioni non è più sufficiente; bisogna che la classe lavoratrice, nella sua interezza, realizzi una maggiore consapevolezza ed acquisti una più profonda coscienza del proprio ruolo politico nella storia di questa regione e nella quanto mai complessa ed insidiosa realtà di Sigonella. Le vicende legate allo scalo siciliano, all’interno del quale vige di fatto l’extraterritorialità (ovvero l’impunità!) e dove ogni movimento politico – economico è legato al gioco ed alla potenza delle cosche mafiose . La globalizzazione ha ulteriormente inasprito l’ arroganza padronale ed i lavoratori si trovano a dover difendere coi denti diritti e conquiste costati decenni di dure lotte . La crescente precarizzazione del rapporto di lavoro, l’intensificarsi dello sfruttamento, l’asservimento totale dei sindacati tradizionali che per garantire la conservazione continuano a firmare accordi a perdere in nome della “concertazione”, rendono necessaria una mobilitazione senza precedenti, determinata e compatta, diretta da parole d’ordine chiare, perché il problema per la classe lavoratrice non è solo di ordine economico; il problema è politico.
Alcuni lavoratori aeroportuali di Sigonella