Salvador de Bahia, Recife, Fortaleza, Natau: “Vorremmo che si smettesse di parlare di queste città del nord-est del Brasile come di capitale del sole e del sesso: lo sfruttamento e l`abuso di minori sono soltanto una conseguenza della povertà”. Lourdes Viana, responsabile nazionale della Pastorale dei minori della Chiesa brasiliana, lo mette in chiaro subito: “In Brasile non esiste la prostituzione minorile, perché secondo la legge sotto i 12 anni si tratta di abusi sessuali contro l`infanzia”.
Una prospettiva diametralmente opposta a quella dei tour-operator: i paradisi turistici per gli occidentali diventano inferni sociali per chi ci vive. “Il problema é l`impunitá di chi abusa di questi minori” dice alla MISNA Viana, che da oltre sei anni si occupa di questo settore e ora ne coordina il servizio per la Conferenza nazionale episcopale brasiliana (Cnbb).
Arrivano soprattutto dall`Europa e l`Italia é in vetta a questa triste classifica; difficile indicare le dimensioni esatte del fenomeno, ma i pochi dati disponibili parlano da soli. “Nella cittá di Serra Tailada – dice Viana – su una popolazione di circa 30.000 abitanti, ci sono circa 2000 bambini sfruttati. Il fatto che siano fonte di reddito per le loro famiglie, conferma che questi minori sono le prime vittime di una miseria diffusa” osserva Viana. “Attenzione a non scadere nel facile `pietismo` verso uno dei problemi tristemente più noti del Brasile” interviene padre Bartolomeo Bergese, sacerdote italiano impegnato in questo Paese da oltre vent`anni.
“Questo dramma dello sfruttamento é strutturalmente connesso alla povertá diffusa: ho sentuito di richieste per aumentare le quote di aiuto internazionale, ma non basta. Occorre restituire al Brasile e alla sua gente ciò che é stato rubato in passato” sottolinea don Bergese. “Bisogna porsi le domande sui motivi. Come era solito fare il mio compianto vescovo di Recife, dom Helder Camara, il quale diceva: `Se do un pezzo di pane mi dicono che sono un santo, se chiedo di capire che qualcuno non ha da mangiare, allora mi dicono che sono un comunista”. (Emiliano Bos, da Porto Alegre)[EB], Brasile, 30.01.2005