“Nei primi anni 90’ l’Indonesia contrasse un debito per la costruzione della centrale elettrica ‘Paiton 2’. La centrale non è mai andata a regime e il finanziamento concesso dalla Banca mondiale fu spartito dal clan di Suharto”: è solo un esempio di “debito odioso” riferito alla MISNA da Antonio Tricarico, coordinatore della Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm). “Odioso perché – sottolinea Tricarico – pur risalendo al periodo durante il quale il generale-dittatore governò per 30 anni e pur essendone stato provato un cattivo impiego, continua a pesare sulla bilancia dei pagamenti dell’Indonesia”.
Come ‘Paiton 2’ non è mai andata a pieno regime – spiega Tricarico – così in altri casi furono contratti debiti per trasferimenti di armi, per la guerra che si combatteva a Timor Est. Lo tsunami che il 26 dicembre ha cancellato tante vite in Asia ha trovato una pronta risposta di solidarietà in tutto il mondo, ma ha anche riproposto il problema del forte indebitamento dei Paesi poveri. “La moratoria proposta dal Club di Parigi (il gruppo informale che riunisce 19 Paesi creditori, ndr) servirà a ben poco” sottolinea ancora il coordinatore della Crbm.
“Non sappiamo neanche se gli interessi non pagati in questi mesi saranno addebitati lo stesso alla fine della pausa. In questo contesto è quasi infantile che Banca mondiale e Fondo monetario tentennino, visto che non sono riusciti a imporre le loro solite condizioni neoliberiste alla scarna moratoria. Sanno bene che India e Indonesia non vogliono nuove condizioni capestro su nuovi possibili prestiti e ovviamente sono istituzioni allergiche alla possibilità di concedere per una volta doni senza richiedere indietro soldi”.
Ed effettivamente gli unici Paesi dello tsunami ad aver accettato finora la proposta del Club di Parigi sono Sri Lanka e le isole Seichelles. L’India e la Thailandia hanno rifiutato. “L’Indonesia, invece – dice Tricarico – se da una parte sembra propensa ad accettare, dall’altra è animata da un forte dibattito interno. Si vuole capire se gli aiuti concessi siano disinteressati o se non siano nuovi prestiti. C’è un timore di fondo: il Paese è passato dal regime dittatoriale di Suharto alla gestione fallimentare imposta dal Fondo monetario dopo la crisi che ha colpito il Sud-est asiatico. E inoltre parliamo pur sempre di una piccola parte del debito complessivo: su 132 miliardi di dollari, sono 37 quelli dovuti dall’Indonesia a singoli Stati, 28 quelli contratti con istituzioni internazionali (come Banca mondiale e Fondo monetario) mentre il resto, cioè più della metà, è detenuto da attori privati”.
La soluzione, secondo la Campagna per la riforma della Banca mondiale, può essere la creazione di un meccanismo equo, indipendente e trasparante di arbitrato tra creditori e debitori per la valutazione della legittimità del debito e per procedere a una cancellazione con la garanzia che, nel momento in cui venga invocato l’arbitrato dal debitore, le istituzioni internazionali si facciano garanti dell’afflusso di investimenti privati. “Un po’ come succede nel caso di una ditta privata – conclude Tricarico – quando va in fallimento; il diritto fallimentare in America, per esempio, comprende perfino gli enti pubblici. Ovviamente nel nostro caso sarebbe necessario anche un coinvolgimento dei privati che detengono quote di credito nei confronti dei Paesi debitori.
I movimenti sociali indonesiani chiedono una conferenza speciale per affrontare davvero il tema debito senza la compassionevole e inutile carità di organismi illegittimi come il Club di Parigi o delle poco democratiche istituzioni finanziarie internazionali. Sono davvero legittimi quei debiti accumulati dall’Indonesia durante il regime non democratico di Suharto? Non c’è una responsabilità diretta dei Paesi donatori?” (a cura di Gianfranco Belgrano) [MB]