Da dieci mesi, oltre che svolgere il mio mestiere di reporter, sono impegnato a tempo pieno come consulente nella Commissione parlamentare d`inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Una nomina politica, la mia, espressa dai Verdi-Gruppo Misto. Così come gli altri consulenti sono espressi dalle altre forze politiche presenti in parlamento. Una nomina politica che non implica necessariamente essere dei Verdi. Una nomina di stima potremmo dire, visto che, con altri colleghi giornalisti, sono considerato una delle “memorie storiche” del caso Ilaria Alpi e delle complesse implicazioni che questa vicenda da dieci anni porta con sé.
Per dieci mesi il lavoro va avanti abbastanza bene con tutti i consulenti (giornalisti, magistrati, brillanti “analisti del crimine”) impegnati a farsi largo tra una montagna di carte e fascicoli provenienti dalle Procure della Repubblica di mezza Italia, da una miriade di uffici di polizia giudiziaria ed anche dai servizi di sicurezza. In cima alla Commissione siede il presidente, l`onorevole Carlo Taormina (un presidente di “carattere” possiamo dire senza timore di sbagliarci) coadiuvato da un Ufficio di Presidenza dove siedono i deputati rappresentanti tutte le forze politiche, fatta eccezione per i Comunisti Italiani di Oliviero Diliberto e Armando Cossutta.
L`Ufficio di Presidenza è il “piccolo parlamento” della Commissione: tutte le decisioni più importanti vengono discusse e prese in quella sede. Con tutti i “riti” tipici di un`istituzione parlamentare. Amalgamare e rendere operativi come “gruppo” (“squadra, direbbe qualcuno…) una ventina di consulenti con storie, mestieri e culture diverse non è stata impresa da poco, ma nell`insieme la Commissione è riuscita in questo non facile compito.
Certo, c`è chi privilegiava piani di indagine più “tradizionali”: traffico di armi e rifiuti, per esempio; o chi tenta di esplorare piste meno battute: la presenza del fondamentalismo islamico, già presente in Somalia fin dal 1992, per fare un altro esempio tra tanti. Comunque il “gruppo” sembrava andare unito verso una direzione unica e a passo spedito: cercare di venire a capo di uno degli intrighi più complicati (e inquinati…) degli ultimi anni, la verità sul duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Uno dei “vizi”della Commissione, che non contribuivano certo a snellire il lavoro di consulenti e parlamentari, è sempre stato quello di segretare tutto, in modo quasi compulsivo. In archivio vi sono pure delle Ansa degli articoli di giornale classificati “segreti”. Nessuno ne ha mai capito la ragione. Ma tant`è, i “vizi” sono tipici degli uomini, figurasi se c`era da stupirsi per dei “vizi di procedura…”.
Il lavoro della Comissione si svolge su vari livelli di compiti, di riservatezza e di segretezza (ancora una volta…). Non tutti, tra i consulenti, potevano accedere al livello più “segreto”, quello della gestione e dell`analisi delle fonti di informazione. Fonti che si rivelano assolutamente necessarie, insostituibili, dato il particolare impegno al quale è chiamata una Comissione d`inchiesta che ha avuti affidati compiti paragonabili a quelli di un`autorità giudiziaria.
A volte le fonti, presentate “proceduralmente” dai vari consulenti non si presentavano esattamente attendibili come ci si sarebbe potuto aspettare e poteva nascere qualche “corto circuito” tra consulenti, Presidente e Ufficio di Presidenza. ma tutto si risolveva con un chiarimento, un gentleman`s agreement vellutato in tono con l`austerità degli ambienti di Palazzo San Macuto, dove hanno domicilio tutte le commissioni parlamentari e dove in tempi “molto sospetti” aveva sede l`Inquisizione. E le stanze dove è ospitata la Commissione Alpi erano, addirittura, quelle dove si decideva la sorte di coloro che venivano sospettati di tradimento verso quella lugubre istituzione. Una roba da brividi…
Sta di fatto che, sempre in quelle stesse stanze, seicento anni dopo tornava a insinuarsi quell`impalpabile tensione che manifesta l`arrivo della stagione dei sospetti… “Ma siamo sicuri che quel consulente che ha presentato quella fonte, che non ha “risposto alle attese”, fosse davvero in buona fede? Cosa voleva dimostrare? Non è che qualcuno stia tentando di inquinare o, peggio, boicottare il lavoro della Commissione?”
La china è imboccata, alcuni consulenti vengono come lasciati andare d`abbrivio su un binario morto, il loro lavoro diventa marginale, non ricevono neppure più date di scadenza sui report in preparazione. Il lavoro si concentra su linee di indagine non più decise collegialmente, persino l`Ufficio di Presidenza sembra perdere poco a poco quell`aderenza alla missione istitutiva della Commissione sul quale si fonda il presupposto stesso del lavoro da compiere insieme. Il “segreto” torna a farla da padrone.
Veniamo a me
Non ho più di fatto l`accesso al livello “superiore”, quello dove il segreto è regola. Dove il gruppo si chiude in se stesso impermeabile all`esterno. Chi ne rimane fuori sono i giornalisti. Solo i giornalisti. Le “memorie storiche” del caso.
Viene riesumata una mia vecchia nota nella quale riferendomi a una fonte che ero riuscito a intercettare in rete, attraverso quel meccanismo di “file sharing” (condivisione e scambio di informazioni) che pure mia figlia di undici anni ormai padroneggia con destrezza senza bisogno di essere una “esperta informatica”, chè subito la pratica nell`uso di Internet viene guardata prima con noncuranza poi con sufficenza e infine con sospetto. Ma come sarà mai possibile che Internet possa servire al nostro lavoro, un mezzo così privo di controllo e di risposte “certe” e tradizionalmente “certificabili”?
Come è possibile lavorare con strumenti tanto “virtuali” per cercare (e trovare!) informazioni? Non è che di Nunzio con questa storia di Internet ci vuole rifilare un bidone? Domande alle quali cerco di dare puntuali risposte, esempi, dimostrazioni. Il sospetto rimane. Il semplice esempio del funzionamento di un motore di ricerca lascia sgomenti, alcuni.
Eppure proprio attraverso una ricerca di media profondità ero riuscito a trovare un sito web dedicato a Ilaria Alpi e che conteneva informazioni molto interessanti su un traffico di uranio che Ilaria aveva appreso durante un viaggio di lavoro nel Mozambico nel 1993. Sito web che era rimasto totalmente sconosciuto fino a oggi. E molte altre cose che ora giacciono negli archivi della Commissione. Ovviamente segretate. Vengo guardato ormai come un picchiatello fissato con il pc. Quasi un corpo estraneo al “lato giusto” della Commissione.
Sciaguratamente un consulente molto titolato introduce in Commissione un personaggio che parla di fotografie satellitari segrete (naturalmente…) che sarebbero in possesso di un fantomatico esponente dei servizi di sicurezza che avrebbe potuto cederle dietro pagamento di una cospicua somma di denaro.
Conosco il consulente, con il quale non ho mai avuto un rapporto particolarmente stretto, un solitario lo definirei, sempre occupato sul suo vecchio Ibm portatile che scoppiava di documenti e files di testo. Una persona dalla quale non ti aspettersti mai che possa finire coinvolta in una storiaccia di fotografie satellitari, quattrini da pagare, cassetti chiusi e agenti del Sismi…quasi la trama di una spy story.
Sta di fatto che il consulente in questione entra in rotta di collisione con il livello più alto della Commissione, e per farla breve viene “dimissionato” in quattro e quattrotto.
Ma a lui sopravvive la fonte che aveva (forse maldestramente, forse ingenuamente…) introdotta in Commissione. Una fonte che essendo stata gestita sempre “segretamente” non solo non conoscevo direttamente ma di cui neppure sapevo il nome. E di tutta la storia delle fotografie satellitari appresi dopo. Molto dopo.
Il giorno in cui la fonte venne ascoltata per quello che aveva da dire, neppure ero presente in aula. Uscii dalla Commissione e me ne tornai a casa. Per evitare, oltre tutto, di incrociare un altro “teste” da “audire”, e che conoscevo bene: un collega stimatissimo che a sua volta mi aveva presentato una fonte (di grande valore) che avrebbe potuto aiutare la Commissione in un passaggio cruciale su quanto avvenne quel lontano 20 marzo 1994 a Mogadiscio, qualche ora dopo la morte di Ilaria Alpi. Ma ormai il clima era questo. Osservati a vista.
Per salutare il mio collega che aspettava l’audizione sprofondato in una poltrona di cuoio rosso nei lunghi corridoi di San Macuto fui costretto a farmi accompagnare da un ufficiale di polizia giudiziaria: per evitare sospetti di troppa vicinanza prima della sua audizione…
La fonte del consulente “solitario”, e dimissionato, viene fatta a pezzi durante e dopo la sua audizione: del resto sembrava un predistinato uno che si presenta con una storia tanto rocambolesca.
Il 7 gennaio scorso apro Il Messaggero e trovo una mezza pagina firmata da Massimo Martinelli che spiattella tutta la storia del consulente (sempre quello molto titolato e presto dimissionato) e della sua fonte sotto il titolo “Sventato un complotto contro la Commissione Alpi, identificato e denunciato un depistatore”. Scopro così il nome di quella fonte segreta (anzi ex segreta o non più segreta…o come vi pare a voi a questo punto). Nome che naturalmente non mi dice nulla in sé, non avendolo mai conosciuto.
Ma l’articolo contiene un paio di stranezze e un’omissione.
La stranezza è che l’articolo di Massimo Martinelli, ricco di fonti, sembra voler “restituire l’onore” al Sismi e al generale Luca Rajola Pescarini in modo “preventivo”. Nessuno dei consulenti aveva mai nei fatti (e neppure nelle intenzioni) fino a quel momento, pensato di “incastrare” il nostro controspionaggio militare nel caso Alpi. Ma certo che il Sismi e il generale Rajola Pescarini avrebbero molto da dire (e da documentare) su come andarono le cose nel 1994 in Somalia, prima e durante l’operazione Ibis che vedeva impegnati i nostri contingenti militari a fianco delle forze militari Usa, a loro volta impegnate nell’operazione Restor Hope decisa dalle Nazioni Unite.
Quindi sarebbe dovuto essere pacifico che per analizzare con il massimo dell’indipendenza quel periodo storico si sarebbe dovuto procedere ad un’analisi accuratissima dell’attività del Sismi e dei suoi ufficiali presenti in Somalia.
L’articolo de Il Messaggero appariva a tutte le letture un po’ troppo come una “excusatio non petita…”.
L’omissione invece riguardava la figura del consulente molto titolato che, intervistato in un box a piè di pagina dallo stesso Martinelli, non rivelava di non far più parte della Commissione. Ma, si sa come sono fatti i giornalisti, pensai, i soliti approssimativi…
Un giro di mail con alcuni consulenti su quell’aticolo, non dissipa i dubbi sul “perché” di quell’”uscita”. Tanto più che nell’articolo in questione si rivela anche che la Commissione (che poi, a posteriori, saprò essere solo una delegazione composta dal presidente e due deputati del centro sinistra) il 4 gennaio avrebbe avuto un incontro segreto (manco a dirlo…) con la Procura della Repubblica di Roma dove sarebbero stati portati all’attenzione dei magistrati prove inconfutabili sul depistaggio in atto contro i lavori della Commissione e soprattutto i nomi dei depistatori. E già il “registro degli indagati” si sarebbe aperto per contenere i nomi dei felloni.
Il 10 gennaio, nel pomeriggio mi telefona Giammarco Chiocci, de Il Giornale, che con piglio alla Bob Woodward della serie “tutti gli uomini del presidente” mi fa: “domani pubblico sul mio giornale che la Procura della Repubblica di Roma ti ha indagato nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio contro la Commissione Alpi secondo le indicazioni che la Commissione stessa ha portato a conocienza dei magistrati durante l’incontro (segreto) del 4 gennaio. Hai qualcosa di dire in proposito?”.
“Non dichiaro un bel nulla”, rispondo. “Tra l’altro mi sento vincolato da un segreto d’ufficio al quale ritengo di rimanere vincolato come consulente della Commissione. E a questo momento sono ancora un consulente della Commsione Alpi perché non ho riceuto alcuna comunicazione. Né dalla procura né dalla Comissione di quanto mi stai dicendo”. Punto.
Mi attacco al telefono e parlo con un deputato (del centro sinistra) della Commissione che cade dalle nuvole…poi con una paio di consulenti che mi confermano di non sapere nulla di nulla di quanto sto loro riportando: quindi né dell’incontro (segreto) alla procura di Roma, né dell’articolo de Il Mesaggero de il 7 gennaio (che provvederò io stesso a inviare via posta elettronica a tutti loro). Dopo circa un’ora Gianmarco Chiocci mi ritelefona avvisandomi che l’agenzia stampa Agi ha lanciato in rete la notizia. Chiamo l’Agi e mi faccio inviare il “lancio” e apprendo che sarei stato indagato insieme a quel certo “Bulli” (fonte segreta del consulente molto titolato e dimissionato) per truffa, calunnia e no so per quanti altri reati.
Oltretutto, sovrapporre il mio nome a quello di “Bulli” che non ho mai conosciuto in vita mia circa la “truffa da 5 milioni di dollari ai danni delle Commissione Alpi sventata apena in tempo” mi indigna profondamente. Diciamola tutta: mi fa proprio incazzare.
Torno in contatto con l’Agi e “batto” un “take” per dire che oltre a non sapere assolutamente nulla dell’intera faccenda, nulla (ma proprio nulla) ho a che fare con questo “Bulli” e la vicenda che lo vede protagonista. E riaffermo di non aver mai ricevuto alcuna cominicazione né dalla procura di Roma e tantomeno dalla Commissione. Quindi, a buon titolo, sono sbalordito (sempre incazzato nero) e in attesa degli sviluppi degli eventi…
Ieri mattina di buon’ora compro Il Giornale e Il Messaggero e nelle pagine interne, ma con grande evidenza leggo la sconcertante storia che mi riguarda intrecciata con quella di “Bulli”, milioni di dollari, agenti segreti, fotografie segrete, fonti “coperte”.
Mi precipito in Commissione Alpi (non riuscendo a levarmi dalla testa la storia di quel Palazzo che ospitava l’Inquisizione e a quelle stesse stanze dove si decideva la sorte dei traditori…)
Incasso subito l’esplicita solidarietà di molti dei consulenti presenti, tra i quali alcuni magistrati: “che carognata ti hanno fatto”, “mi dispiace davvero caro di Nunzio, non meritavi questo trattamento”, “ma che c’entri tu con “Bulli”?. Già, che c’entro io?
Decido di aspettare il presidente Taormina per un chiarimento “a tu per tu”.
Come il solito “picchiatello” mi rifugio davanti un pc per guardarmi la posta e leggere un po’ di notizie. (Vado al bagno un paio di volte per fumarmi una sigaretta. La legge Sirchia mi inchioda a comportamenti che pensavo di aver abbandonato dai tempi del liceo).
Alle 13 e 15 Carlo Taormina, a passo svelto, arriva in Commissione. (Taormina è l’unico uomo politico che non cammina ma corre, letteralmente). Gli chiedo subito ragione di quanto ho letto sui gornali e una spiegazione convincente. Mi risponde subito che lui mai e poi mai ha fatto il mio nome con nessuno e in nessuna sede, tantomeno con i magistrati della Procura di Roma durante l’incontro del 4 gennaio. E quindi, chiedo io, come sarei finito sui giornali accostato a vicende che tutti (proprio tutti) dentro la Commissione sanno perfettamente non riguardarmi?
“La colpa è dei gionalisti” mi risponde senza esitazione il presidente. “la colpa è solo dei gornalisti, scrivono sempre quello che gli pare…”. “Quindi” gli facco presente “secondo te l’Agi, Il Giornale e Il Messaggero si sarebbero inventati di sana pianta il mio nome e pure la mia iscrizione sul registro degli indagati con ipotesi di accuse tanto infamanti?”. “Questo lo devi chiedere ai giornalisti” mi risponde Taormina.
“No, non ci sto”, risondo io “quello che mi dici non è possibile: troppo accurata la ricostruzione, troppo inverosimile che qualcuno abbia deciso a freddo di scrivere il mio nome se non gli fosse stato suggerito da qualcuno. Da qualcuno dentro la Commissione. Cosa gravissima questa per la forma, il metodo e lo sostanza di quanto scritto”.
“Quindi sarei stato io, secondo te?” si irrigidisce Taormina. “Non lo so, sono qui per chiederlo a te” ribatto io. “E per chiedere ragione al presidente della Comissione della quale sono consulente come possa consentire che accada una cosa del genere”. “Guarda” taglia corto Taormina, “ti consiglio di querelare i gornali che hanno fatto il tuo nome”.
“No, no ci sto neppure a questa ricostruzione” ribadisco “che quereli i giornali che mi hanno sputtanato a questo modo è fatto che prenderò in considerazione seriamente come mi ha consigliato un avvocato, ma pretendo che la Commissione diffonda subito, ora, un comunicato stampa che riporti le parole che mi hai appena detto. Cioè che tu né nessuno dell’Ufficio di Presidenza abbiate mai fatto il mio nome addebitandomi alcunché di fronte a nessuno. Questo per un fatto sostanziale di difesa del mio nome come consulente della Commisione che tu presiedi e come difesa dell’imagine della Commissione stessa”.
“No, questo non lo posso fare, io non ho rapporti diretti con la stampa”. “Ma come non hai rapporti diretti con la stampa” replico, “non c’è rete televisiva né programma dove non ti veda un giorno si e l’altro pure…caspita se hai rapporti con la stampa!”. “Non lo posso fare e basta” chiude il discorso Taormina.
“Ma non credi” ribatto “che dopo l’uscita sui quotidiani del mio nome e la diffusione della notizia della mia iscrizione sul registo degli indagati della Procura di Roma sia necessario prendere contromisure visto che, come affermi, nessuno da quà dentro ha fatto il mio nome e ha mai pensato di addebitarmi qualcosa? Ma, scusa, secondo te i giornalisti si inventano che la Procura di Roma sta indagando su di me se non glielo ha detto qualcuno? “.
“Ah…questo lo devi chiedere ai giornalisti che hano scritto di te o alla Procura di Roma. Tu piuttosto querela quei giornali”.
“Ma non comprendi, presidente” – lo interrompo -” che in questo modo io entro mani e piedi in un conflitto bello e buono con il mio lavoro di consulente che può avere effetti molto negativi? Come posso infatti rimanere consulente della Commissione e contemporaneamente indagato come presunto depistatore della stessa Commissione? E “depistatore” poi in base a cosa?”.
“Questo lo capisco” mi risponde Taormina e conclude “se ti dovessi dimettere lo capirei”. “No, non mi dimetto” dico io ” perché non ho alcun motivo per dimettermi. Del resto hai detto tu stesso che nessuno ha mai fatto il mio nome alla Procura di Roma addebitandomi alcunché”.
“Devi querelare i giornali, non hai altra strada”.Chiude Taormina.
L’incontro finisce qui, dopo poco meno di un’ora.
Nel pomeriggio di ieri dopo aver battuto un testo all’Ansa dove riportavo tutto il mio sbalordimento e indignazione per le notizie uscite su Il Giornale e Il Messaggero decido di aspettare. Cosa altro potrei fare? Intano questa mattina, 12 gennaio, la Commissione ascolta il generale del Sismi Luca Rajola Pescarini “considerato uno degli uomini più validi del controspionaggio ai tempi della gestione del contrammiraglio Fulvio Martini” come scriveva Massimo Martinelli su Il Messaggero del 7 gennaio.
Sta di fatto che come consulente non sarò presente (per motivi di opportunità) all’audizione e non ho potuto partecipare alla stesura delle domande da porre al generale, del quale non discuto il valore e la correttezza professionale, ma sul quale, per questa delicatissima audizione in Commissione, pesa quella definizione “preventiva” di essere “considerato uno degli uomini più validi del controspionaggio” apparsa su Il Messaggero.
Ma come gli sarà mai venuta in mente a Martinelli una definizone così opportuna e calibrata nei tempi?. Ma si sa, i giornalisti scrivono sempre quello che gli pare a loro…
Io non mi dimetto. Alle 12.00 di oggi 12 gennaio 2005 non ho ricevuto ancora alcuna comunicazione ufficiale di essere stato indagato né per quale motivo lo dovrei essere.
Continuerò a svolgere con passione e interesse il mio compito nella Comissione sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma farò ogni passo, e in ogni sede, perché esca allo scoperto chi mi ha coinvolto gratuitamente in questa vicenda tanto infamante per me e la mia storia di reporter indipendente.
No, io non mi dimetto.
Roberto di Nunzio
r.dinunzio@reporterassociati.org