In seguito alla nostra denuncia, Coop risponde con argomenti prevedibili, spostando il problema invece di affrontarlo.
L`unica risposta che Coop può dare e non dà mai è quanto concretamente ed esattamente vengono pagati al produttore sul campo – non a intermediari vari ed eventuali, locali o nazionali – i frutti venduti sui banchi dei suoi esercizi. Poco importa che si tratti di Rosarno o di Corigliano, della piana di Gioia Tauro o della Sibaritide, quando sono identici i meccanismi che attraverso l`imposizione dei prezzi di vendita alla fonte implicano lo strozzamento della piccola agricoltura e il ricasco sull`ultimo anello, i braccianti, del peso enorme di tutta la catena di sfruttamento e speculazione che dai campi arriva fino ai banchi dei supermercati.
Ancora poco importa che si tratti di agrumi o di pomodoro, di Calabria o di Sicilia o di Puglia e Campania, di fresco o di prodotto lavorato nei conservifici… il meccanismo è uguale. Il male parte sempre dalla testa! Dire che Coop non compra più a Rosarno è molto grave. In ossequio al sensazionalismo giornalistico demonizzante Coop vorrebbe “cacciare dal paradiso” dei suoi canali di distribuzione i cattivi rosarnesi e continuare allo stesso identico modo in zone come Corigliano e la Sibaritide in generale – l`unica altra da cui possono rifornirsi – in cui conosciamo come, mutatis mutandis, la sostanza dello sfruttamento bracciantile non cambi.
È ancora più grave che si risponda criminalizzando un territorio di frontiera, che vive nell`abbandono totale da parte delle istituzioni un fenomeno imponente di disagio sociale stagionale che si somma a quello già presente in un`area depressa come questa. Demonizzare chi sta coi piedi nel fango per lavare la coscienza di chi, in alto, porta le responsabilità di governo dell`intera filiera è una professione troppo facile e consueta, per chi come Coop mette insieme il fare trade e il made in Italy fabbricato sul sudore dei moderni servi.
Allo stesso scopo e non altro servono i protocolli che Coop fa firmare ai produttori come pure gli attestati, quando non prevedono a premessa l`equità dei prezzi riconosciuti ai produttori e la trasparenza per i consumatori. Questa l`unica “responsabilità sociale” utile verso chi, penultimo e ultimo anello della catena, piccoli contadini e braccianti, ne sopporta tutto il peso.
L`aritmetica viene prima degli attestati di Consumers Internationale i disciplinari SA8000. Poco valgono i controlli di carta, quando basta non segnare le giornate per sfruttare manodopera sostanzialmente a nero anche se formalmente impiegata. Senza i numeri, le garanzie di Coop non hanno alcun fondamento. Si legge in un comunicato ufficiale diramato dall`azienda che “Nel 2010 è stato ulteriormente intensificato il presidio sulla filiera delle clementine in Calabria. Anche nelle campagna 2011/2012/2013, pur in assenza del clamore mediatico, abbiamo proseguito con le verifiche e col rilevare e risolvere i problemi che eventualmente si presentano, perché dietro al marchio Coop l’impegno è concreto e continuo”.
Ci dicano allora una volta per tutte quanto viene pagata ai produttori, sul campo, di norma, al di là delle eccezioni di Natale, la frutta che Coop vende nei suoi esercizi. O meglio, se per “riservatezza” non si vogliono rivelare queste informazioni, si creino seriamente canali di commercializzazione etica in cui, dietro garanzie di assunzione regolare e regolare retribuzione della manodopera, si pratichi un prezzo davvero equo e sostenibile ai produttori e si realizzi la trasparenza esponendo negli esercizi quanto loro viene riconosciuto e quanto il margine per Coop. Restiamo a disposizione per qualunque confronto.
L’11 gennaio a Roma, Livorno, Firenze, Bologna e Milano tutti davanti alla Coop