POZZALLO – Braccia spezzate e profughi spariti nel nulla. Quello che è successo nel centro immigrati di Pozzallo non è documento da un video ma da una interrogazione parlamentare di Khalid Chaouki, il deputato Pd che dal 22 dicembre si è autorecluso per alcuni giorni nel centro di Lampedusa.
Siamo in provincia di Ragusa: più a sud di Tunisi, molto vicino a Malta. L’hangar del porto adattato a centro di accoglienza è stato definito il «campo dei pestaggi». Formalmente è nato per smistare in poche ore i profughi giunti a Lampedusa o sulle coste siciliane. Persone sfuggite alle guerre mediorientali e africane. Gente da proteggere. «Ci picchiavano con i manganelli e urlavano contro tutti», racconta invece una donna eritrea citata da Chaouki. Il motivo è paradossale. Ormai da mesi quasi tutti i migranti arrivati sulle coste italiane rifiutano di farsi identificare. Il motivo è semplice: vogliono raggiungere altri paesi europei dove troveranno parenti e opportunità. Nei centri di smistamento i poliziotti si sono trovati di fronte a un inedito impasse. Secondo le testimonianze, l’avrebbero sbloccato nel modo peggiore.
Un orientamento generale
«C’è un orientamento generale che invita la polizia a non forzare l’identificazione», ci dice Chaouki raggiunto telefonicamente qualche giorno fa, all’interno del centro di Lampedusa. «Purtroppo in alcuni casi questa forzatura è avvenuta. Aspetto ancora la risposta ufficiale dal Viminale, l’interrogazione è di ottobre», prosegue. «Ho raccolto testimonianze tra diversi profughi siriani, raccontano della prassi secondo cui per forzare l’identificazione c’erano minacce o addirittura violenze. Questa è la loro versione, io ho chiesto alle autorità di verificare».
«L’impatto con questo campo è stato terribile, è un grande magazzino dove circa duecento persone dormono insieme e i bagni sono in comune», ricorda un’eritrea. «Sono scoppiati grandi disordini con la polizia, perché nessuno voleva sottoporsi al fotosegnalamento. Io e la mia famiglia abbiamo provato ad opporci, ma vedendo la reazione violenta e con due bambini piccoli, abbiamo deciso di farci fare le foto segnaletiche e di farci prendere le impronte».
Secondo la Questura solo nel 2013 sono passati da Pozzallo 4500 migranti e «non ci sono stati lamentele o denunce di abusi o violenze». Per il sindacato di polizia dell’Ugl i pestaggi sono «solo fantasie, infondate, riportate solo per colpire gratuitamente chi invece è impegnato in prima linea, mal retribuito e senza limiti di orari».
Desaparecido
«Il 26 settembre ci hanno ordinato di salire su un autobus, senza dirci dove ci avrebbero portato», racconta Y.A., profuga eritrea. «Chiedevamo e ci rispondevano: non sappiamo. Nessuno ci dava informazioni. Io, mio marito, mia madre e i miei due figli eravamo già seduti quando hanno riaperto le porte e la polizia ci ha ordinato di scendere. Nessuno capiva perché e cosa stesse succedendo. Siamo scesi tutti e all’improvviso alcune persone hanno iniziato a urlare e scappare. Ho visto la polizia rincorrere e afferrare alcuni miei connazionali. A uno gli hanno rotto un braccio. Nella confusione ho perso mio marito. Ci hanno ordinato nuovamente di salire e le porte si sono chiuse. L’autobus è partito nella confusione più totale».
La donna arriva a Cosenza in nottata. Del marito, Mahari Kidane, 33 anni, nessuna traccia. I volontari chiedono notizie ai poliziotti. «Gli agenti ne avrebbero semplicemente cancellato con un colpo di pennarello il nome nella lista», si legge nell’interrogazione. «Ho avuto una risposta informale secondo cui quella persona si sarebbe allontanata volontariamente», ci dice il deputato democratico. «Piangiamo i morti e puniamo i vivi», sostiene. «Lampedusa non è zona franca», ha dichiarato il ministro dell’Interno in Parlamento. Pozzallo probabilmente lo è stata.