Pubblicato su «l`Espresso»
La vendemmia in Piemonte era la festa della comunità. Un momento tradizionale in cui erano coinvolti interi paesi. Oggi invece l’eccellenza del made in Italy si produce in baraccopoli dove i cartoni sono usati come letti e gli unici bagni a disposizione sono quelli chimici. Ogni anno aumentano i bulgari accampati per la raccolta dell`uva. Da tempo i macedoni hanno sostituito gli italiani per i lavori di fatica nella produzione di vini di prestigio: un «esercito di riserva» composto da braccianti dell’Est che vivono in condizioni disumane. Le stesse delle campagne del Sud più volte denunciate da “l`Espresso”.
Una struttura stabile
«Sicuramente c’è dietro il caporalato», denuncia Marco Gabusi, sindaco di Canelli, comune in provincia di Asti: «Arrivano almeno 500 persone, una parte si accampa a cielo aperto. Non sono ospitati da nessuno, e vengono pagati 4 euro l’ora. Con le forze dell’ordine abbiamo scoperto una decina di aziende che usano lavoratori in nero. Li prendono la mattina e li riportano la sera. Chi fa le cose in regola deve pagare anche le visite mediche, spende almeno 200 euro più subito e 10 euro l’ora lordi poi. Alcune piccole aziende vogliono invece risparmiare. Ma il fenomeno è ancora limitato».
«Nei paesi della vendemmia sta diventando una consuetudine», spiega Alberto Mossino dell’associazione “Piam”, uno tra i primi attivisti astigiani a denunciare la situazione: «Solo che erano piccolissimi numeri, poche persone che dormivano in piazza, in macchina o al massimo su una panchina. Le novità di quest`anno sono due: la presenza di una struttura stabile, ovvero una baraccopoli per un centinaio di persone. E il fatto che il piccolo paese di Canelli sia diventato un hub per i braccianti di tutto il circondario. Il sindaco ha deciso così di toglierli dalla piazza e spostarli nell’area industriale. L’intervento di accoglienza si è concretizzato in 24 posti alla Caritas, subito riempiti. Il Comune ha offerto una doccia con l’acqua fredda e due bagni chimici. Il punto è che chi incassa diecimila euro all`ettaro grazie al moscato può anche spendere qualcosa di più per ospitare i vendemmiatori».
In queste zone si producono infatti vini dai nomi prestigiosi: Asti Spumante, Moscato, Barbera, Dolcetto. «Da Nord a Sud si sta uniformando la richiesta di lavoro non specializzato e sottopagato», spiega Giancarlo Gariglio, curatore della guida Slow Wine: «Si chiede manodopera straniera per un tempo molto limitato, che andrebbe gestita in maniera intelligente. Nei vigneti piemontesi, però, i controlli sono molto forti, addirittura con gli elicotteri».
Il sindaco ha una soluzione originale. Italianizzare il lavoro. «Per ogni cittadino di Canelli assunto da una cooperativa o da un’azienda agricola, abbiamo riconosciuto 160 euro di contributo per almeno 10 giorni di lavoro», spiega Gabusi: «Venticinque disoccupati del posto hanno fatto la vendemmia. La gente non ha aderito in massa perché i tassi di disoccupazione sono ancora bassi. Vorremmo un’emigrazione da 30 chilometri anziché da mille. Con l’ordine pubblico e con gli incentivi metteremo fine a questo fenomeno».
Intermediazione di manodopera
La vicenda della baraccopoli di Canelli ha richiamato l’attenzione internazionale. La Confederation Paysanne , importante organizzazione dei piccoli produttori francesi, ha avviato una ricerca sullo sfruttamento agricolo in Piemonte. I risultati, di quest`anno, sono sconcertanti: la vendemmia è in mano a cooperative di macedoni che svolgono intermediazione di manodopera, un tempo strettamente regolamentata ma fortemente facilitata dal 2003. Lo strumento dei “soci lavoratori” garantisce un’ampia flessibilità nel lavoro a giornata. Formalmente non è caporalato, ma i risultati sono gli stessi: salari reali sempre più bassi.
I braccianti bulgari sono l’ultimo anello della catena, sono veri riservisti della vendemmia. È nato persino un giro di passaporti, perché i bulgari sono comunitari e l’ingaggio è più semplice. Spesso è tutto legale. La Bulgaria riconosce la cittadinanza ai macedoni che dimostrano le loro radici bulgare. Così molte persone ottengono un passaporto dell’Unione. «Ho fatto la raccolta delle castagne a Bari, le patate a Creta e la vendemmia in Piemonte», racconta Marko, bulgaro di 55 anni. «In Grecia si guadagnano 35 euro al giorno, in Piemonte anche 60. Ma la maggior parte dei giorni sono pagati in nero».
«La cooperativa che lavora a regola d’arte costa un po’ di più del singolo bracciante, 13 euro l’ora», dice il sindaco Gabusi: «Ma elimina le pastoie burocratiche, ti manda gente che lavora e in due giorni hai fatto la vendemmia». «A Canelli il 10 per cento della popolazione è macedone», ci spiega Julie Rouan, ricercatrice per la Confederation: «E ci sono circa quindici cooperative di questo tipo, quasi tutte gestite da macedoni, tre delle quali sono conosciute e permanenti. Altre, più dubbie, aprono e chiudono d’un anno all’altro. Nessuno è capace di ricordare il loro nome. Alcune sono gusci vuoti creati per fatturare al più basso il prezzo del lavoro. Non risultano quasi mai d’iniziativa collettiva, ma solo della volontà di un imprenditore».
Il raccolto della vergogna
L’agricoltore non è più il datore di lavoro, ma il cliente della cooperativa. Chiede una prestazione e riceve una fattura. «In teoria», spiega ancora Rouan: «per non essere colpevoli del reato di intermediazione illecita di manodopera, le cooperative devono fornire tutti i mezzi di produzione ed essere presenti sul terreno. Difficile quando una cooperativa di 120 soci fornisce più di 30 clienti diversi. A volte con un solo lavoratore sul posto per ogni cliente».
Come un virus lo sfruttamento nelle campagne italiane si estende da Sud a Nord. Da anni a Saluzzo, nel distretto agricolo di Cuneo, si crea una baraccopoli nello spiazzo del Foro Boario, la fiera del bestiame che a settembre mette in passerella le migliori vacche frisone della zona. A pochi metri di distanza centinaia di braccianti africani dormono in casupole di cartone, in fredde tende del Ministero dell’Interno o – i più fortunati – in pochi container pagati dalla locale Coldiretti.
Il tema del lavoro schiavile in agricoltura è del tutto assente nel nostro dibattito pubblico. Non così in Europa. Un’inchiesta in prima serata di France 2, “Il raccolto della vergogna” , ha suscitato un ampio dibattito tra i consumatori transalpini. I giornalisti hanno ripercorso la filiera di una confezione di broccoli dal bancone di un supermercato parigino all’azienda pugliese che faceva ricorso al caporalato. Der Spiegel e The Ecologist propongono all’opinione pubblica tedesca e inglese servizi periodici sulle drammatiche condizioni dei lavoratori impegnati stranieri nelle nostre campagne. Il rischio di compromettere l’immagine dell’agroalimentare Made in Italy è serio. Tutti discutono dell’agricoltura italiana. Tranne gli italiani.