“Il modello di industrializzazione – si legge nelle conclusioni del prestigioso istituto delle Nazioni Unite – ha prodotto effetti contrastanti e non sostenibili”. Con un’occupazione che dagli anni ’80 è scesa vertiginosamente e un’emigrazione che invece è tornata ai livelli degli anni ‘50. Eppure i piani di risanamento per le tre aree ad elevato rischio di crisi ambientale, cioè Gela, Augusta – Priolo e Milazzo, tardano ad essere attivati. Da qualche tempo campeggia sul sito della Regione Siciliana un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che boccia sonoramente i tre petrolchimici siciliani. È stato praticamente ignorato. Invece il “programma di assistenza per le tre aree ad elevato rischio di crisi ambientale di Augusta, Priolo Gargallo, Gela e Milazzo” è molto importante.
Il “rapporto delle attività svolte” riguarda un arco temporale che va dall’ottobre 2006 al 31 dicembre 2009. Con “più di 30 incontri in Sicilia promossi dall’Oms o in cui l’Organizzazione è stata presente” e più di 100 persone coinvolte “in rappresentanza di istituzioni, associazioni e portatori di interessi”.
Lo scenario dipinto è disastroso, da qualunque fronte lo si guardi. E simile in tutti i territori, pur con le proprie specificità. È stato innanzitutto aggiornato il quadro informativo relativo alla mortalità e alla morbosità, che tiene conto del numero di ricoveri ospedalieri. L’Osservatorio Epidemiologico Regionale (DOE), ovvero il dipartimento che si occupa dei dati riguardanti il monitoraggio dello stato di salute della popolazione, sottolinea che nell’area di Augusta – Priolo, all’interno della provincia di Siracusa, “l’analisi della mortalità per tutti i tumori evidenzia eccessi sia negli uomini che nelle donne”. Inoltre per quel che riguarda le patologie non tumorali “si è osservato negli uomini un numero elevato di decessi per le malattie psichiatriche, mentre nelle donne per malattie dell’apparato digerente”.
A Milazzo invece il vero dilemma sta nella prevalenza di disturbi respiratori, specie per i bambini e le bambine che risiedono nella provincia di Messina. Per l’area di Gela, fondamentale per gli sviluppi della provincia di Caltanissetta, gli studi si sono concentrati sul livello d’accumulo dei metalli pesanti (attestando ad esempio che le tracce di arsenico nel sangue della popolazione sono ben oltre i limiti consentiti) e sulle matrici ambientali, ovvero la proliferazione di suddetto tipo di inquinamento che ha ormai avvelenato tutto, dal cibo al suolo all’aria.
Dicevamo che il rapporto dell’Oms non è solo un elenco di dati allarmanti che già da soli dovrebbero far riflettere. Con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Università di Messina sono state anche approfondite le dinamiche socio – economico e demografiche, lo stato di vivibilità dei luoghi, la distribuzione delle patologie a seconda dell’intensità dell’esposizione. Anche qui si sono registrate similitudini e particolarità.
Ovunque si registra una scarsa fiducia nelle istituzioni che, come ricorda l’Oms, “può porre ulteriori difficoltà nelle opere di bonifica”. Qui lo studio si spinge oltre e dà qualche suggerimento politico, chiedendo una maggiore partecipazione della popolazione. Le conclusioni del rapporto diventano quindi un vademecum per istituzioni pronte a cogliere i suggerimenti. A partire dal profilo socio – economico. “Il modello di industrializzazione che ha interessato i territori analizzati – si legge – ha prodotto effetti contrastanti e non stabili (o non sostenibili)”.
Se gli obiettivi primari delle politiche di industrializzazione dei poli petrolchimici siciliani erano l’incremento dell’occupazione e la riduzione dei flussi di emigrazione, ebbene oggi possiamo dire che questi pachidermi del capitalismo hanno fallito i loro obiettivi. L’aumento dell’occupazione c’è stato solamente in una prima fase, dagli anni ’50 agli anni ’80 del secolo scorso, mentre si è dimezzata nel giro di 20 anni, passando da 14.267 unità nel 1981 a 7.130 unità nel 2001. Discorso analogo, ma invertendo i dati, vale per l’emigrazione, tornata ai livelli di 60 anni fa.
E’ evidentemente il crollo di un modello di sviluppo, e il dramma è che all’orizzonte non si vedono cambiamenti di prospettive. Senza contare che le tre aree sono ancora in attesa dei piani di risanamento e delle bonifiche promesse sin dagli anni ’90. C’è spazio per ulteriori accorgimenti nel report degli studiosi dell’Organizzazione. Si invita ad integrare gli interventi atti a ridurre le altre fonti di inquinamento ambientale come il traffico stradale. “Si raccomanda che il contenimento delle emissioni sia portato ad una riduzione di almeno il 50% rispetto ai limiti di legge”. Un’indicazione che ha una chiara valenza politica: altro che il rischio perenne di sforamento dei limiti, qui l’Oms chiede il dimezzamento di ciò che è stabilito per legge. Tanto che poco più avanti ricorda che “effetti sanitari avversi sono spesso possibili anche al di sotto dei limiti di legge”.