La privatizzazione degli enti locali, il caso della provincia di Messina

Rifiuti: una montagna di debiti

Luigi Sturniolo
  Tre enti che fanno capo allo stesso soggetto – il Comune di Messina – hanno avviato un contenzioso legale sulla gestione di rifiuti. Un paradosso che farà la gioia degli studi legali e la disperazione dei cittadini. È solo un esempio di privatizzazione dei servizi – e delle assunzioni - con capitali interamenti pubblici. E spesso privato significa impresa mafiosa. Un sistema che diventa macchina da debito
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Secondo Ivan Cicconi, uno dei maggiori esperti italiani di appalti pubblici, già consulente del ministro Nerio Nesi, stanno accumulando centinaia di miliardi di debiti. Sono le Società Partecipate. “Da un contesto (quello della cosiddetta “prima repubblica”) nel quale lo Stato aveva fondato Enti e Istituti pubblici controllati e regolati per legge (qualche decina) e gli Enti locali più significativi gestivano alcuni servizi pubblici con aziende di diritto pubblico (qualche centinaio) regolate per legge, siamo passati ad un contesto che, pur in assenza di dati precisi, può essere stimato in un migliaio di SpA o Srl controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, ed oltre ventimila SpA o Srl controllate direttamente o indirettamente dalle Regioni e dagli Enti locali.” (I. Cicconi, Il libro nero della Tav, p. 169).

Cicconi le interpreta come una evoluzione delle tangenti della Prima Repubblica. In queste società, che operano in un regime di diritto privato e che tendono ad essere fuori dalle regole e dal controllo della contabilità pubblica, la spesa pubblica, a suo modo di vedere, finisce nelle mani delle oligarchie di una partitocrazia senza partiti e di un mondo dell’impresa che sconosce la categoria del rischio.

Così, mentre si confondono i ruoli tra tecnici, politici e imprenditori, le attività economiche vengono controllate, determinate e gestite da consigli d`amministrazione nominati dai partiti. Nel caso della gestione dei rifiuti in Sicilia ci si trova di fronte a situazioni ancora più paradossali. Gli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) sono delle Spa a capitale interamente pubblico alle quali i comuni (che ne sono gli azionisti) hanno ceduto i propri compiti e le proprie prerogative. A loro volta, gli ATO appaltano il servizio di igiene ambientale ad altre società di capitale.

Nel caso di Messina, per esempio, la società incaricata di svolgere il lavoro è Messinambiente (anche in questo caso, a capitale quasi interamente del Comune di Messina). Una mente più perversa non avrebbe potuto escogitare un sistema più schizofrenico nel quale tre enti che fanno capo allo stesso soggetto ( il Comune di Messina) stabiliscono un contenzioso legale nel quale sono in ballo decine di milioni di euro (per la gioia degli studi legali, che si trovano a dirimere controversie che hanno come creditore e debitore lo stesso soggetto).

Il sistema degli ATO è stato peraltro già preso in esame dalla Commissione parlamentare d’inchiesta Pecorella sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Sicilia. In quella occasione gli ATO venivano definiti “strutture burocratiche prive di qualsiasi utilità effettiva e fonte esclusivamente di gestioni clientelari di posti di lavoro”. Carmelo Catania, invece, autore del libro «La collina della munizza», che prende in esame la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea gestita da Tirrenoambiente Spa (ancora una partecipata, ma stavolta a capitale misto), definisce gli Ato rifiuti come società di capitale “non soggette dunque ai controlli ed alle regole di trasparenza proprie degli enti operanti nel settore pubblico: ad esempio, quelle relative alle assunzioni del personale”.

E sulla società proprietaria della discarica di Mazzarrà Sant’Andrea nel 2009 l’allora prefetto Francesco Alecci nel corso delle audizioni della Commissione manifestava le proprie perplessità: “…il fatto stesso di come questa società sia riuscita, come si evince almeno dalle denunce presentate, dalle operazioni, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, a estendere l’area della superficie della discarica e quindi a rendere quanto mai permanente la condizione di essere l`unico sito di discarica presente nella provincia, condizionando di fatto tutto il resto, effettivamente testimonia anche questa situazione. Un corretto impianto gestorio, sotto l`aspetto imprenditoriale della società, non potrebbe consentire questa mancata riscossione, persistente negli anni, dei crediti vantati. Se tutto fosse legato soltanto ad un corretto assetto imprenditoriale ordinario, una società che vanta crediti per 20 milioni di euro con un ATO e per altri 25 milioni con un altro, secondo me sarebbe stramazzata al suolo. Evidentemente si riesce, in una logica molto più articolata, a trovare tuttavia la possibilità di proseguire l’attività”.

Insomma, il sistema dei rifiuti ha visto negli anni crescere l’infiltrazione mafiosa testimoniata da vari processi e varie condanne che hanno investito, oltre Tirrenoambiente, anche Messinambiente. Il magistrato Guido Lo Forte identifica da questo punto di vista, sempre nel corso delle audizioni della Commissione Pecorella, due livelli di infiltrazione mafiosa. Il primo livello (quello più basso) riguarda l’imposizione del pizzo e dell’assunzione di soggetti appartenenti all’organizzazione criminale all’interno delle imprese che operano nel settore dello smaltimento e della raccolta dei rifiuti.

Il secondo livello, invece, è “emerso nell’ambito dell’inchiesta relativa alla discarica di Mazzarà Sant’Andrea, in cui le organizzazioni di stampo mafioso mirano ad acquisire il controllo ed a gestire direttamente, per il tramite di proprie imprese, le attività del settore, riuscendo a subappaltare i lavori”.

Ovviamente, di “rifiuti zero” neanche a parlarne. Tutto deve essere conferito in discarica. Il che porta ad una ipertrofia della spesa (e, quindi, alla crescita del debito) in concomitanza con un servizio di igiene ambientale fortemente criticato. Un anomalia, da questo punto di vista viene segnalata sempre da Carmelo Catania nel suo “La collina della munnizza” laddove mette in evidenza il conflitto di interessi della Ge.Se.Nu che compare come azionista di Tirrenoambiente (interessata, quindi, ad incamerare la maggiore quantità possibile di rifiuti indifferenziati, e, contemporaneamente, ditta incaricata dall’ATOMe2 del servizio di raccolta dei rifiuti (laddove andrebbe potenziata la raccolta differenziata).

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