Nel territorio siciliano proliferano centri di prima accoglienza aperti dalle Prefetture in virtù dalla legge Puglia del 1995, luoghi dalle caratteristiche giuridiche affidate alla discrezionalità della polizia, talvolta veri e propri centri di detenzione informale, utilizzate dalle forze di polizia e dalla magistratura alla ricerca dei soliti scafisti da gettare in pasto all’opinione pubblica per distogliere l’attenzione dalle clamorose lacune del sistema di accoglienza e dai frequenti allontanamenti, dovuti principalmente agli effetti perversi del regolamento Dublino II che inchioda in Italia, senza una prospettiva credibile di integrazione, gli immigrati identificati dopo lo sbarco.
Per le persone coinvolte in questo meccanismo infernale la prospettiva di una lunga attesa in condizioni disumane di sovraffollamento, una totale carenza di informazioni e di assistenza legale, una grande difficoltà di accesso alla procedura di asilo e ad un vero sistema di accoglienza, nessuna prospettiva di integrazione. Il collasso del sistema di accoglienza in Italia, malgrado l’aumento dei posti disponibili nel sistema SPRAR, si ripercuoteva anche più che su Lampedusa, dove il Centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola funziona al minimo, a Mineo (CT) dove nel Cara sono attualmente confinate oltre 3500 persone, e molte altre sono all’interno della struttura senza essere state neppure censite.
In Sicilia la situazione è resa ancora più grave per la mancanza di una legge regionale sull’immigrazione, e per la latitanza del governo regionale su una tematica che è stata spesso oggetto di appassionati proclami da parte del Presidente Crocetta. Parole, solo parole, non seguite da fatti concreti e da impegni di spesa coerenti e continuativi.
Ma chi sono gli attori pubblici che trattano la materia dell’immigrazione in Sicilia? Secondo quanto riferito dagli organi di stampa, a livello regionale, l’unica iniziativa concreta in questa materia è stata la convocazione, il 4 aprile 2013, di un tavolo tecnico del coordinamento SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) della Regione Sicilia. Come si ricava dalle agenzie, “i lavori, presieduti dal coordinatore regionale arch. Marco Aurelio Sinatra, sindaco di Vizzini, hanno visto la partecipazione dei membri designati dal coordinamento regionale, in rappresentanza dei progetti SPRAR delle città di Acireale, Agrigento, Caltagirone, Castelvetrano, Castroreale, Marsala, Chiaramonte Gulfi, Vizzini, Trapani.
Dopo l`audizione tenutasi in prima commissione affari istituzionali all`ARS, nel decorso mese di marzo, il tavolo tecnico ha avviato l`attività del “laboratorio” per la definizione di una bozza di legge quadro regionale in materia di immigrazione. Così come concordato con l`assessore regionale alle politiche sociali e della famiglia, dott.ssa Ester Bonafede, il tavolo tecnico continuerà i lavori di elaborazione del disegno di legge in stretta collaborazione con il dipartimento dell`assessorato regionale competente. L`iniziativa sarebbe stata finalizzata ad offrire un contributo alle istituzioni regionali per la definizione di un quadro normativo per promuovere interventi finalizzati alla piena uguaglianza ed integrazione degli immigrati nel territorio regionale siciliano”. Alla prova dei fatti non si è visto nulla di concreto, anzi un disinteressamento rispetto a questa materia superiore a quello dimostrato nel 2011 dal governo Lombardo.
Alla fine di giugno, proprio mentre si aggravava l’ennesima emergenza sbarchi a Lampedusa e sulle coste della Sicilia sud-orientale veniva presentato un Disegno di legge regionale, dopo che alcuni parlamentari di diverse aree politiche avevano già depositato diversi disegni di legge regionali in materia di immigrazione ed asilo. Ancora carta su carta, in assenza di un dibattito che in sede legislativa portasse in tempi rapidi all’adozione di una legge regionale attesa da anni. La Sicilia rimane così l’unica regione italiana priva di una legge regionale sull’immigrazione e la gestione del sistema di accoglienza è affidato esclusivamente alle Prefetture ed agli organi di pubblica sicurezza.
Nel mese di giugno di quest’anno si svolgeva a Palermo un vertice in Prefettura nel quale le autorità coinvolte concordavano un piano per l’accoglienza dei minori con l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Vincenzo Spadafora. Alla riunione erano presenti, oltre ai Prefetti e Questori della Sicilia Occidentale, al Comandante provinciale dell`Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, anche i rappresentanti delle Istituzioni e degli Enti locali che si occupano dei minorenni, sia vittime che autori di reato. Gli incontri derivavano da un Protocollo d`intesa sottoscritto nel dicembre 2012 tra il Dipartimento della pubblica sicurezza, l`Autorità garante ed il Ministro dell`Interno. Un incontro dedicato in prevalenza al tema della repressione penale dei reati commessi dai minori o sui minori stranieri. Al termine dell’incontro, il prefetto Cirillo ha ribadito come si stia rivelando efficace la collaborazione tra il Garante per l`infanzia e l`adolescenza ed il Dipartimento della pubblica sicurezza, che insieme possono realizzare una più incisiva azione di prevenzione e contrasto alla violazione dei diritti dei minori.
I minori scafisti vivandieri
Eppure ancora il 15 agosto scorso lo stesso garante dei diritti dei minori Spadafora ha lamentato l’assenza di un quadro normativo e di risorse economiche adeguate per garantire l’accoglienza dei minori non accompagnati che giungono in Sicilia. L’emergenza si è intanto spostata da Lampedusa, che il governo ha deciso opportunamente di “svuotare”, alla Sicilia orientale. Il fenomeno ha assunto caratteristiche diverse rispetto al passato, per l’arrivo di intere famiglie provenienti dalla Siria.
Nei centri di prima accoglienza, aperti dalle Prefetture in convenzione con i più diversi enti privati, i minori non accompagnati rimangono molti giorni con gli adulti, quando non si giunge direttamente a chiamarli in causa come “scafisti”. Minori che vengono privati della possibilità di difendersi e di capire persino cosa sta succedendo loro, come è stato rilevato con una nota preoccupata dal Garante per i diritti dei detenuti per la Sicilia che in una visita del 15 agosto presso l’istituto di detenzione per minori di Acireale ha incontrato uno dei due minori egiziani incriminati dalla Procura di Catania come “scafisti vivandieri”, dopo il tragico sbarco della Playa il 9 agosto scorso.
Di fatto si consente una strisciante militarizzazione di alcune zone del territorio siciliano, affidate alla gestione delle forze dell’ordine per contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. E le conseguenze si vedono, basterebbe andare a verificare la situazione del Centro di Prima accoglienza e soccorso di Pozzallo (Ragusa) o i centri di prima accoglienza di Porto Empedocle (Agrigento) o di Porto Palo ( Siracusa), per verificare in quali condizioni materiali e giuridiche vengano “accolti” i migranti che giungono non tanto a seguito di sbarchi, quanto piuttosto dopo vere e proprie azioni di salvataggio in alto mare e che dunque avrebbero bisogno di strutture recettive particolarmente efficienti, soprattutto nel caso di minori non accompagnati e donne, molte delle quali in avanzato stato di gravidanza.
L’emergenza umanitaria permanente
Il 28 febbraio scorso si chiudeva la cosiddetta emergenza umanitaria Nord Africa che era stata aperta nel febbraio del 2011 dal Governo Berlusconi. II Ministro dell’Interno Cancellieri, con una nota del 18 febbraio, comunicava quanto deciso in questo senso dal Tavolo di Coordinamento nazionale, e soprattutto la scelta di percorsi di uscita dall’emergenza che si sostanziavano nella concessione di una somma di danaro contante (in media 500 euro) ai singoli, abbandonandoli praticamente a sé stessi.
I centri di accoglienza gestiti dalla Protezione civile venivano chiusi, e molti rifugiati buttati praticamente sulla strada erano costretti a subire lo sfruttamento dei caporali per garantirsi la sopravvivenza, mentre altri si trasferivano in diversi paesi europei caratterizzati da sistemi di accoglienza e integrazione più efficaci. Molti di loro, alla scadenza dei documenti di soggiorno italiani, creavano movimenti di resistenza per rimanere nei paesi nei quali ormai avevano trovato anche lavoro, ma nei quali non potevano regolarizzarsi, in base al regolamento Dublino II perché erano transitati precedentemente in Italia.
Da quel momento molti loro compagni giunti sulle coste italiane, in particolare in Sicilia, rifiutavano di farsi identificare. Ed in molti casi si davano alla clandestinità fuggendo dai centri di prima accoglienza, allo scopo di presentare una domanda di protezione internazionale in un paese nel quale accoglienza e integrazione non fossero solo parole stampate sulla carta. Una fuga che potrebbe essere favorita da nuovi canali di sfruttamento della clandestinità.
Con il Governo Monti il passaggio a un sistema di accoglienza ordinario avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il coordinamento e la programmazione delle diverse fasi da parte di tavoli regionali, che avrebbero dovuto coordinare l’attività dei Prefetti nelle diverse province, con il monitoraggio delle persone presenti, delle risorse impiegate, dei percorsi di inserimento attivati. Molte regioni, dalla Lombardia alla Sicilia sono state assenti in questa delicata fase di transizione e i tavoli regionali per la gestione dell’emergenza si sono riuniti pochissime volte senza produrre alcun coordinamento concreto.
Tensostruttura
Tutto è rimasto affidato alle decisioni dei singoli Prefetti e dei Questori, mentre le risorse venivano drasticamente tagliate e si accumulavano anche i ritardi nell’erogazione delle somme previste dalle convenzioni stipulate con gli enti gestori. Intanto l’emergenza si aggravava perché aumentava in modo consistente, soprattutto in provincia di Siracusa, e in Calabria, anche il numero dei profughi provenienti dalla Siria, a lungo negati dalle autorità di polizia che continuavano a definirli come “sedicenti”, e che oggi costituiscono una realtà inconfutabile. La situazione nei paesi del Nord Africa, in continuo peggioramento, soprattutto in Egitto e in Tunisia, comportava un incremento delle partenze, anche se il grosso degli arrivi, meglio dei salvataggi, era costituito da migranti sub sahariani, in particolare somali ed eritrei, che riuscivano a fuggire dalla Libia.
Persone vittime di ogni tipo di abusi ingabbiati spesso da anni in quel paese, delle quali i nuovi potentati locali, che ne controllano in armi il territorio, hanno deciso di liberarsi. E sulla loro pelle si sta ridisegnando la mappa di un nuovo racket transnazionale che nessuna autorità di polizia ha saputo finora contrastare. I periodici arresti di qualche scafista rimangono solo effimera cronaca locale ma non portano avanti di un millimetro una vera azione di contrasto che dovrebbe partire dall’apertura di canali legali di ingresso, da una pronta accoglienza e da una maggiore protezione delle vittime. Evitando soprattutto la fuga nella clandestinità, che oggi sembra dilagare, a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali.
Da ultimo le fughe di massa, di eritrei dalla “tensostruttura” di Porto Empedocle, di profughi siriani dalla scuola Andrea Doria di Catania, utilizzati impropriamente come centri di trattenimento e transito informale, luoghi di identificazione sommaria piuttosto che di vera accoglienza, confermano l’assenza di un sistema regionale di prima accoglienza, e costituiscono prova inconfutabile di una situazione ancora peggiore rispetto all’estate del 2011. Per non parlare della utilizzazione periodica del mercato ittico di Porto Palo, come luogo di trattenimento e prima identificazione di migranti appena dopo lo sbarco.