Il nodo del regolamento Dublino e le guerre nel Mediterraneo

Profughi sulle coste siciliane. «Emergenza», nessuno vuole stare in Italia

Antonello Mangano
  Manifestazioni, scontri, scioperi della fame e fughe. Da Lampedusa a Catania, da Siracusa ad Agrigento i profughi arrivati sulle coste siciliane non vogliono lasciare le impronte e rimanere in Italia. I superstiti del drammatico naufragio sulla spiaggia catanese hanno preferito la fuga alla richiesta d`asilo in Italia. Sono rimasti solo donne e bambini. In sciopero della fame.
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CATANIA – «Il morto è morto, diamo aiuto al vivo». A metà agosto si ribaltava questo antico proverbio siciliano. Il 14 agosto il Comune dichiarava il lutto cittadino per le vittime del drammatico naufragio dei siriani di fronte alla Playa, la spiaggia della città. Sei ragazzi annegati a quindici metri dalla riva. I superstiti invece venivano trasferiti in una scuola. Le associazioni umanitarie hanno denunciato l’assenza di mediatori, medici e assistenza legale. Le autorità rispondevano polemicamente. In tutta l’isola scoppiava una nuova «emergenza»: i profughi non vogliono restare in Italia. Mentre il resto del Paese era in allarme per i nuovi sbarchi e la presunta invasione, la Sicilia affrontava il paradosso di uomini, donne e bambini che non vogliono fermarsi per nessun motivo.

In ogni caso, la sindrome dell`invasione è fuori luogo. Basta dare una rapida occhiata ai numeri per capire che non c’è nessun assalto alle coste italiane. Sono scomparsi i migranti economici (non ci sono più arrivi da Senegal, Marocco, Tunisia, tradizionali paesi di partenza). Arrivano intere famiglie da Siria ed Egitto, aree sconvolte dalla guerra civile. Un’occhiata alla carta geografica serve a comprendere che sarà lo Jonio il nuovo punto di arrivo. Partendo dal versante Est del Mediterraneo si arriva prima alle cose siciliane e calabresi che a Lampedusa.

Nessuno era preparato a questa situazione. Le prefetture hanno improvvisato centri di transito nelle aree portuali (Pozzallo, Portopalo, Porto Empedocle), dentro scuole chiuse per le vacanze (Catania), tendopoli (Priolo), persino ospedali dismessi (Siracusa). Spesso senza adeguata mediazione e con risultati disastrosi. La vera emergenza è l’improvvisazione italiana con cui si affrontano problemi strutturali.

«Freedom, Italia no»

I supersiti del naufragio catanese li hanno messi nella scuola Andrea Doria, a pochi passi dal quartiere popolare di via del Plebiscito. Alcuni uomini sono scappati. Sono rimasti in gran parte donne e bambini siriani. Quando gli attivisti si avvicinavano, mettevano le dita a V e gridavano: «Freedom, Italia no». La libertà è la Germania o la Svezia. Sono rimasti in sciopero della fame per non lasciare le impronte dalle autorità italiane. Per giorni e giorni, prima del trasferimento al Cara di Mineo. Gli stessi migranti hanno denunciato che la polizia ha ottenuto le impronte con la violenza, come documenta il video in basso.

A Lampedusa – nelle scorse settimane – è accaduto qualcosa di simile. Gli eritrei hanno inscenato una manifestazione fino al centro del paese. Niente impronte. Il 22 luglio hanno ottenuto una vittoria storica. Farsi registrare «condanna» il profugo a rimanere nel paese di approdo, secondo il regolamento europeo noto come «Dublino». Il problema, al momento, sembra insolubile: da un lato la volontà dei paesi del Nord di condividere con gli altri il carico di profughi, dall’altra la voglia dei migranti di non rimanere in paesi più scalcagnati di quelli di partenza. In mezzo nazioni come Italia e Grecia palesemente inadeguate a gestire situazione come queste.

A Siracusa, lo scorso 9 agosto, il bilancio è stato di venti eritrei feriti, tre con trauma cranico. È il bilancio degli scontri con la polizia dopo la ribellione dei migranti. «In 150 trattenuti in una stanzona calda e con soli 50 materassi, senza capirne il motivo: nessuna informazione legale era stata loro fornita né una seria mediazione culturale. I migranti che, affaticati dopo sei lunghi giorni di navigazione, erano stati sottoposti a un test per controllare lo stato di salute, sarebbero dovuti rimanere in isolamento per 48 ore», denuncia l`Asgi.

«Col nuovo regolamento Dublino 3 si sono aperti spiragli per il ricongiungimento familiare», ci spiega l’avvocato Paola Ottaviano. «Chi ha parenti all’estero può sperare di ottenere l’asilo nel paesi dove ha parenti». Nel frattempo in tanti scelgono la fuga. Da Porto Empedocle, dal siracusano, da tutti i centri temporanei. Un’avventura che può concludersi con la richiesta d’asilo in un paese gradito o con un fermo e una conseguente espulsione come immigrato irregolare.

A pioggia

Perché l’Italia non è più una meta gradita? L’International Herald Tribune ha dedicato la copertina all’Hotel Africa, un edificio della periferia romana occupato da profughi in stato di completo abbandono. È l’icona internazionale di come l’Italia tratta i rifugiati. Il periodo per il riconoscimento dello status (protezione umanitaria o asilo) può durare anche due anni. Ventiquattro mesi senza poter lavorare, spediti in posti piccoli e isolati o in megacentri da migliaia di persone come il cara di Mineo, teatro di frequenti risse e proteste per le condizioni disperate di richiedenti asilo provenienti da ogni angolo del mondo.

Al termine della cosiddetta «Emergenza Nord Africa», nata dopo il conflitto in Libia e terminata a guerra abbondantemente conclusa, molti lavoratori sfuggiti agli scontri non avevano ancora ottenuto uno status definito. Cooperative, nullafacenti, professionisti dell’emergenza e sciacalli legati ai partiti politici avevano invece ottenuto fondi a pioggia. Una misura anticrisi sulla pelle di gente miracolosamente scampata alla morte e già «selezionata» dalle onde del Mediterraneo. «Non siamo venuti in Italia per dormire», scrisse su un cartello un ragazzo durante una protesta alla stazione Termini di Roma. Era uno degli ospiti di un centro improvvisato. Uno di quelli che dichiaravano i migranti come minori per ottenere il doppio dei fondi.

Video / Catania, siriani identificati con la violenza?

Riprese e montaggio di Sonia Giardina

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